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45. Waterloo







Waterloo (1970)- Waterloo (Russian: Ватерлоо) 1970 directed by Sergei Bondarchuk - La disfatta appare imminente e Napoleone è invitato a mettersi al sicuro sotto la protezione della guardia Imperiale






Waterloo: a combattere non furono solo gli Inglesi (ma il merito lo presero loro)





Con la sventurata battaglia di Waterloo, luogo ancora oggi difficile da trovare e raggiungere, si conclude l'epopea di Napoleone.

A Waterloo gli Inglesi, buoni propagandisti quando si tratta di loro imprese vittoriose, metteranno un leone di bronzo come monumento, dimenticandosi che i reparti che combatterono la battaglia erano in maggioranza belgi e di nazioni alleate.

Nessuno vuol più rischiare la vita per Napoleone, il maggiore genio militare della storia deve prenderne atto e andarsene in esilio a Sant'Elena dove gli Inglesi lo relegheranno, nelle sua casa di 10 stanze.

Carlo Francesco Saverio e Vittorio Gaetano suo fratello: due rami dello stesso albero





I Didier ex della Motta in questo tempo sono divisi in due rami, il primo, quello che aveva la preminenza comitale, con Carlo Francesco Saverio, e il secondo, con Vittorio Gaetano.

La linea originale, nata dal primogenito di Vittorio Amedeo Francesco




Carlo Francesco Saverio primogenito di Vittorio Amedeo e secondo conte della Motta





Carlo Francesco Saverio e la consorte Luisa Plaisant

Carlo Francesco Saverio


Carlo Francesco Saverio Cenni biografici

2 conte della Motta VII CARLO FRANCESCO SAVERIO (nato a Torino S. Giovanni il 12 Dicembre 1756). Suo ruolo matricolare nel Reggimento Legione Accampamenti: sottotenente Compagnia P.ma Capitana il 2, Luglio 1775; sottotenente dei Granatieri il 30 Agosto 1776 ; Luogotenente nel dipartimento dì Rumilly il 29 Marzo 1777; Luogotenente Compagnia Capo nel 1778; Luogotenente dei Volontari al terzo battaglione il 26 Dicembre 1782; Luogotenente dei Guastatori il 5 Febbraio 1784; Capitano tenente nel Contingente di Tortona il 19 Giugno 1784; giubilato colla conservazione del grado di Capitano Tenente di Fanteria il 12 Marzo 1785. Cavaliere, E' detto Didier della Motta conte Carlo il 22 luglio 1796 all'atto di essere decorato del grado di Maggiore di Fanteria, Quidi prima della Reinvestitura del padre Vittorio Amedeo nel 1797. commendatore di SS. Maurizio e Lazzaro Giura 1822. Sposa (Torino S. Maria, 10 Agosto 1788) Marianna Giuseppa Domenica Luigia Plaisant.






Giuseppa Luisa Domenica Plaisant


Marianna Giuseppa Domenica Luigia Plaisan: Cenni biografici

Proveniva da una famiglia di negozianti di Casale, risalenti al mercante Matteo 1732 ed al figlio Carlandrea, decurione di seconda classe in Casale. Carlo Plaisant ricco negoziante di Casale, il 18 luglio 1783 ottenne in feudo Cellamonte nei pressi di Casale in provincia di Alessandria, con il titolo di conte per m e f. In Villanova Monferrato il palazzo Finazzi-Ferraris-Stropeni, situato nei pressi della chiesa parrocchiale, alla fine del Settecento apparteneva al conte Plaisant di Cella. La famiglia pare si estinse poi con l'ultima erede Carolina che passò celle ai conti di Viarana di Monasterolo.





Il conte Francesco Saverio e la contessa Luisa Plaisant





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Carlo Francesco Saverio, e la consorte Luigia Plaisat, lui si ritira dal servizio. L'intercessione del padre Vittorio Amedeo





Il primo ramo, quello principale originato da Carlo Francesco Saverio e Luisa Plaisant, con il loro figlio Luigi (Louis) avrà la gloria di partecipare a tutti gli scontri dopo la Campagna di Russia, nel tramonto di Napoleone. Carlo Francesco Saverio invece si ritirerà dal servizio militare fin dal 1784 anno in cui per intercessione presso il re, del padre Vittorio Amedeo, viene Giubilato e starà alla larga dalle campagne militari combattute contro l'esercito rivoluzionario Francese a partire dall'anno 1794. In effetti abiterà a Rivalta di Torino dal 1798 o poco prima lasciando Torino intorno al 1797

Il conte Francesco Saverio





Il conte Francesco Saverio in tarda età, dopo il 1822.

La contessa Luisa Plaisant





Luisa Plaisant, sbalzata da agiata figlia di un negoziante a contessa, dedicherà molte attenzioni nell'acquisto di proprietà immobiliari, prima dell'avvento della Rivoluzione Francese.

Luigi (Louis) La Motte, un Velita e le sue campagne per Napoleone





Mantenuti ed equipaggiati a spese della famiglia, i Veliti appartenevano alla Guardia Imperiale di Napoleone. Erano figli di borghesi fortunati che avevano il requisito principale per servire in quel corpo. La loro vita non era molto complicata, essendo addetti alla sicurezza del principe Borghese e di Paolina Bonaparte. Ma gli agi relativi di una vita militare prevalentemente accanto alla corte di Paolina e Camillo, vennero rapidamente dimenticati. Napoleone impiegò i Veliti di Torino in tutta una serie di acerrimi scontri e battaglie che conclusero la sua avventura dopo la campagna di Russia.






Alla Battaglia di Lipsia dove sono presenti i Veliti di Torino


sc. LE BEAU, Pierre Adrien after NAUDET - McGill University Libraries, The Battle of Leipzig. Еngraving, hand-coloured, Pennington Catalogue p. 1350.- Pierre Adrien Le Beau, Battaglia di Lipsia, incisione da un disegno di Thomas Charles Naudet- Pubblico dominio

Battaglia di Lipsia

La battaglia di Lipsia uno dei tanti cruenti scontri che caratterizzarono le campagne finali delle guerre Napoleoniche e a cui Luigo Didier La Motta partecipò come velita della guardia imperiale.

Reparti d'élite della Guardia Imperiale


Ma chi erano i Veliti di Torino, incorporati nella Guardia Imperiale? Erano reparti di élite pagati con una dotazione sicura di ben 200 franchi francesi da parte delle famiglie abbienti. I giovani rampolli di Torino che condividevano con i Veliti di Firenze questo onore ebbero con le Guardie d'Onore il compito di vegliare sul principe Borghese e sulla consorte Paolina Buonaparte.






Per i patiti di uniformi napoleoniche


Uniformi dei Veliti di Torino

I Veliti di Torino I Veliti di Torino Il battaglione “Velites de Turin” fu costituito con decreto imperiale del 24 marzo 1809, dato al Palazzo delle Tuileries a Parigi, con lo scopo di proteggere il principe Camillo Borghese e sua moglie, Paolina Bonaparte. Il principe Borghese, cognato dell'imperatore era infatti stato nominato governatore dei dipartimenti d'oltralpe.Il battaglione venne da subito inquadrato formalmente nella Guardia Imperiale e fu accasermato a Torino nell’odierno “Palazzo Campana”, dove rimase fino al 20 maggio 1814 quando, con il rientro dei Savoia in Piemonte, la struttura fu restituita ai padri filippini originariamente insediati nell’edificio (ne erano stati allontanati, infatti, nel 1801 in seguito alla soppressione dell’ordine per disposizione delle autorità francesi) La composizione del reparto si strutturava su uno stato maggiore, quattro compagnie con 150 soldati. L'organico raggiunse 626 unità e in esso vi erano 21 ufficiali comandati dal maggiore Hyacinthe Cicèron. Per accedere ai Veliti di Torino bisognava avere sana e robusta costituzione fisica, essere alti almeno 1,70 e certamente saper leggere e scrivere, infine disporre di una rendita di 200 franchi, in proprio o a carico della famiglia. A tutto questo si aggiungeva aver compiuto i 18 anni. La Guardia imperiale fornì gli ufficiali che formavano il corpo, il battaglione ebbe in dotazione le loro stesse armi e uniformi, come era stabilito secondo le linee guida dei fucilieri "de la Garde" Il reparto era un piccolo trampolino di lancio per molti giovani aristocratici, farne parte per 2 anni portava i galloni di sergente e il diritto con questo grado di essere incorporati nei battaglioni di linea. La vita dei Veliti fu tranquilla e abbastanza agiata almeno nei primi anni. Ma nel 1812 venne mobilitato per la campagna di Russia, dove non arrivò mai, si fermò infatti in Germania. Combatte tuttavia in tutte le successive campagne: quella di Sassonia nel 1813 e via, ma nell'agosto lo vediamo incluso nella 4 brigata di fanteria della Guardia, la Divisione Curial dove militavano anche i granatieri della guardia Sassone, il battaglione d'élite polacco. Combatté così inquadrato nelle battaglie di Lipsia e di Hanau. Successivamente i Veliti di Torino si impegnarono nella campagna difensiva di Napoleone sul suolo francese invaso dalla coalizione. Qui partecipò agli scontri di La Rothiére, Montmirail, Laon e Fére Champenois. L'esito disastroso della campagna di Napoleone costrinse il principe Borghese ad ordinare il 27 aprile 1814 lo sgombero dei presidi francesi da Torino. Il 15 luglio, il glorioso battaglione “Velites de Turin” venne definitivamente sciolto essendo ritornati i Savoia al governo.

Il moschetto modello 1777 “Charleville” era il modello base di fucile in dotazione, lo stesso usato dalla maggior parte dei reparti di fanteria della Grande Armata, a pietra focaia, ed era prodotto anche dalla manifattura Imperiale di Torino

Altra arma in dotazione era la piccola sciabola “Briquet” diffusamente utilizzata dalla fanteria della francese, che disponeva di corta lama di soli 59 cm per una lunghezza totale di circa 75

L’uniforme dei Veliti di Torino era quella ordinaria dei fucilieri della Guardia Imperiale, avevano come questi lo shakò e l'equipaggiamento della fanteria. La truppa indossava la giubba di panno blu con bottoniera dorata, i bottoni d’ottone erano caricati dall’aquila imperiale, tipici di tutti i reparti della “garde”. L'aquila compariva anche sulla giberna e sul copricapo posta sopra la coccarda tricolore. Lo shakò era decorato con un piumetto rosso vivo (ed ove previsto con galloni laterali arancioni) I sottufficiali indossavano sulla stessa uniforme i galloni e le finiture dorate tipiche della loro posizione. Una uniforme simile, ma meglio curata, era indossata dagli ufficiali. Questa era munita di spalline dorate e di una gorgiera di eguale colore portata sul petto. Cordelline dorate coparivano anche sullo shakò che aveva una fascia superiore in velluto. Su questa fascia erano disposte in successione delle stelle dorate. Lo shakò aveva inoltre un'aquila con la coccarda tricolore e un piumetto scarlatto inserito nella coccarda dorata il colore arancione chiaro delle finiture era riservato ai tamburini che le portavano al bavaro e ai polsini della giubba.

Il reparto ricevette anche la sua bandiera dall’imperatore, la stessa che è conservata a Torino presso il Museo Nazionale del Risorgimento. Al recto riportava la scritta: L’EMPEREUR DES FRANÇAIS AU BON DE VÉLITES DE TURIN ed al verso: GARDE IMPÉRIALE – VALEUR ET DISCIPLINE.

per approfondire vedi:

A. Mella

Licenza Creative Commons I piemontesi della Guardia Imperiale di Studi Napoleonici è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate






Paolina Bonaperte, il principe Borghese e la loro corte a Torino





Paolina Buonaparte

Maria Paola Buonaparte, chiamata Paolina Bonaparte nacque ad Ajaccio il 20 ottobre 1780 e morì a Firenze il 9 giugno 1825 a causa di un cancro al fegato. Sorella minore dell'imperatore francese Napoleone Bonaparte e principessa era dotata di bellezza e fascino. Nel 1797 si sposò con il generale Victor Emanuel Leclerc, amico di Napoleone, ma nel 1802 rimase vedova. L'anno successivo, su richiesta del fratello Napoleone, sposò il principe Camillo Borghese, di cinque anni più anziano di lei, e appartenente ad una famiglia dell'antica nobiltà romana. Irrequieta e amante dello sfarzo e della vita di corte, tenne un comportamento per i tempi decisamente anticonformista. Principessa di Guastalla nel 1806 risiedette poi a Torino, città che non amò mai, ritenendola fredda e provinciale. La sua permanenza era dovuta perché il principe Borghese era stato nominato governatore dei dipartimenti francesi in Italia.

Gli ultimi cinque giorni nizzardi furono l'occasione per trovare nel diletto qualche consolazione. Era sconsolata e cercava negli svaghi una sorta di consolazione che non le arrivava mai. Da Nizza si era portata in Costa Azzurra con tutto il seguito di suo marito, il principe Camillo Borghese ma non senza aver premura di portarsi dietro tutta una serie di avvenenti accompagnatori come il conte Maxime di Villamarest. Questi sembrava stregato da lei poiché ogni momento esaltava la sua bellezza, così non tette più in lui quando nin un duetto con Blagini la sentì cantare. Paolina era solita provocare negli uomini questo effetto e lei si divertiva in questi diletti. Rotti gli indugi il giorno 18 si partì lasciando la Costa Azzurra verso quello che a lei pareva il massimo della noia, Torino. Cos+ fatti gli innumerevoli bagagli la nostra carovana si mise in marcia al pari di un esercito comandato dal fratello. Ma quanto disordine vi regnava. Una sfilata di lacchè in livrea, i postiglioni seduti sulle cassette e agitati a guidare i traini. Dei bagagli già ho detto, che erano in una quantità incredibile e il più inutili. Paolina era adagiate su una portantina ma la salita si era fatta troppo dura e i cavalli tendevano a imbizzarrirsi. Come loro Paolina sembrava essere capricciosa, parlava del marito come un inutile pezzo di arredamento salito alle glorie solo per grazia di suo fratello Napoleone. E questo lei doveva sopportarlo. Ci furono molte pause in quel viaggio, tutte dovute alla salute di Paolina che non era al meglio. Per prima ci fermammo a Sospello, di poi si guadagnò il Tenda, ma i capricci di Paolina qui toccarono il culmine. Una colica l'aveva assalita e aveva reso il suo umore tremendo, pretendeva un clistere ma con un budello di vitello. Ma dove rinvenire un vitello? In quel per corso poi. Nonostante suo marito il principe Camillo tentasse in ogni modo di dissuaderla e di accontentarsi di altri rimedi non ci fu nulla da fare. Si cercò il vitello e domestici e scudieri le servirono alla fine il clistere, al che Paolina disse di sentirsi subito molto meglio. Arrivammo a Limone il giorno dopo e qui ammirammo la campagna del Piemonte che appariva straordinaria verdeggiante. Il viaggio si risolse con l'arrivo, dopo Cuneo alla reggia di Racconigi, dove Paolina e il marito ricevettero il saluto ossequioso delle autorità. Il giorno dopo si entrò in città con un ingresso solenne degno di una imperatrice. La damigella d'onore di Paolina aveva la sua stessa età e Paolina vi ci affezionò moltissimo. Si trattava di Adele de Sellon che fu madre poi di Camillo Benso di Cavour e alla nascita del figlio di questa Paolina volle essere madrina al battesimo nel 1810, insieme a Camillo A parte questo e il lustro bizzarro della sua corte Torino ebbe un effetto nefasto su Paolina che si alienò in breve anche la simpatia dei suoi sudditi. Era che Paolina non sopportava questa città provinciale e bigotta, cercò invece di ritornare sempre nella sua amata Francia, a Parigi, luogo più congeniale al suo stile di vita e alla sua natura. Ma il fratello gli negò sempre questo favore. Infedele al marito sempre, non per leggerezza ma per scarso amore venne abbandonata da lui e solo negli ultimi mesi della vita di lei si riconciliarono. Paolina morì nella villa di Firenze dove era stata accolta dal marito e fu una morte dolorosa dovuta ad un cancro al fegato



Per una biografia completa vedi:
https://it.wikipedia.org/wiki/Paolina_Bonaparte






Il principe Borghese consorte di Paolina Buonaparte

Don Camillo Filippo Ludovico Borghese, duca di Guastalla, VI principe di Sulmona e VII di Rossano nacque a Roma il 19 luglio 1775 e morì a Firenze il 9 maggio 1832. Grazie al suo matrimonio con Paolina Bonaparte, divenne cognato dell'imperatore Napoleone Bonaparte.
Camillo Borghese si mise al servizio francese nel 1796, distinguendosi in battaglia nelle prime campagne napoleoniche. Trasferitosi a Parigi nel 1803, abitò nel Palazzo d'Oigny di via Grange-Batelière. Qui incontrò la sorella di Napoleone, Paolina Bonaparte. Lei era appena ritornata da Santo Domingo, vedova di Victor Emanuel Leclerc, e viveva con il fratello Giuseppe a Palazzo Mabeuf.

Napoleone data notevole dote che il principe portava alla futura sposa approvò immediatamente il matrimonio, che avvenne il 23 agosto 1803, meno di un anno dopo la morte di Leclerc. Camillo ricevette la nomina a Principe di Francia nel 1805, poi a comandante della Guardia Imperiale nel 1805, colonnello, maggiore generale e Duca sovrano di Guastalla. Comandante della 27ª e della 28ª Divisione dell'esercito francese nel 1809. Commissionò al Canova la famosa Venere con l'effigie della moglie, ma il matrimonio si rivelò infelice per entrambi. La coppia ebbe numerosi amanti e si fece notare per le stravaganti usanze, usavano schiavi africani come poggiapiedi. Le loro vite furono sempre separate ma non divorziarono mai, anzi fu Paolina a convincere il fratello Napoleone a dare a Camillo il governo del Piemonte nel 1808. Camillo, amato dalla nobiltà Piemontese svolse la sua funzione con successo. Egli risiedette nella palazzina di Stupinigi e venne amato dal popolo. Il Papa Pio VII prigioniero del Bonaparte ebbe la sua tutela. Napoleone costrinse Camillo a vendere 344 pezzi della ricca Collezione Borghese, che passarono alla Francia, e furono sostituiti da Camillo con pezzi provenienti dall'Egitto e altri reperti che furono sistemati nella sua villa di Porta Piciana Caduto Napoleone Camillo ruppe con la Francia ma Roma non gli perdonava i suoi trascorsi e dovette rifugiarsi a Firenze, città anche distante da quella dove risiedeva la moglie che non voleva più incontrare. Riuscì anche a evitare il sequestro delle sue proprietà terriere che Pio VII adottava per prassi verso i sostenitori del regime napoleonico. Fu proprio Pio VII a convincerlo a riunirsi a Paolina dopo un decennio di separazione, ma Paolina morì dopo solo 3 mesi. Il fratello Francesco ereditò l'ingente patrimonio di Camillo.




Per una biografia completa vedi:
https://it.wikipedia.org/wiki/Camillo_II_Borghese






Louis La Motte, sua campagna militare contro Napoleone nel 1814





Con il ritorno effimero di Napoleone, Luigi si trovò a combattere contro di lui nella campagna di Grenoble del 1815. Non sappiamo con quanta soddisfazione. Ma questo gli valse un titolo di merito nella monarchia appena restaurata.






Alexandre Debelle (1805–1897) - Siège de Grenoble par les Alliés en 1815 - . Au centre, le capitaine Joseph-Guillaume Debelle, père de l'artiste. La scène se déroule le 6 juillet 1815 au bout de la rue Très-Cloître. L'ancien fort de la Bastille y est visible sur la droite. -between 1860 and 1861 - Musée de la Révolution française (2006) Exposition Grenoble et ses artistes au XIXe siècle au Musée de Grenoble (juin 2020 - octobre 2020) - Author Milky - Own work -This file is licensed under the Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International license.

Assedio di Grenoble

Sciolti i Veliti nel 1814 i Francesi possedevano ancora molta parte della Savoia. Alla notizia del ritorno di Napoleone l'esercito piemontese si mosse con gli alleati della coalizione per invadere la Savoia e la Provenza. L'esercito Francese, in difficoltà per gli avvicendamenti in corso nella linea di comando si era arroccato nella piazzaforte di Grenoble, difesa da 70 pezzi di artiglieria.E verso questa si diressero gli Austro Sardi al comando di Le Tour. Il generale Alessandro Gifflenga in uno scontro del 6 luglio ebbero la meglio, così evacuarono la città e la conquista della Savoia venne così ultimata. Gifflenga avanzò poi verso Parigi attraverso il Delfinato e l'Isere giungendo nella città di Vienne il 14 luglio. La battaglia di Grenoble si caratterizzò per la carica dei Carabinieri Reali che li vide impiegati militarmente per la prima volta dopo la loro recente fondazione voluta dal re Vittorio Emanuele I di Savoia il 13 luglio 1814 sul modello della gendarmeria francese. Le truppe francesi vennero caricate da uno squadrone di cavalleria dei Carabinieri Reali dando un contributo decisivo alla battaglia






Luigi La Motta, Cenni Biografici

3 Luigi Giuseppe Severino (nato a Torino S. Maria il 25 Ottobre 1793, morto a Exilles celibe addì 11 marzo 1843). Cavaliere. Suo ruolo matricolare: sottotenente provinciale il 26 Luglio 1814 (già nel Battaglione dei Veliti di Torino al servizio di Francia); sottotenente d'ordinanza in detta il 18 Ottobre 1814; sottotenente dei Granatieri d'ordinanza in detta il 1 Agosto 1819; Luogotenente d'ordinanza Provinciale in detta il 24 Giugno 1820. Ha fatto la campagna del 1815. Passato Luogotenente d'ordinanza nella Brigata d'Acqui il 1.o Gennaio 1822. Passato Tenente nel 1.o Battaglione di Guarnigione il 5 Marzo 1823. Tenente sovranumerario nel Battaglione Veterani. Capitano negli invalidi il 19 Agosto 1835.






Vittorio Amedeo Ludovico, figlio di Carlo Francesco Saverio e Luigia Plaisant, un altro militare





Vittorio Amedeo Ludovico Francesco Cenni biografici

2 Vittorio Amedeo Ludovico Francesco (nato Torino S. Maria il 19 Agosto 1791; morto celibe). Cavaliere. Suo ruolo matricolare nella Brigata Regina: sottotenente il 26 Luglio 1814; sottotenente d'ordinanza il 16 Ottobre 1814, sottotenente dei Granatieri d'ordinanza il 1 Agosto 1819, luogotenente d'ordinanza il 24 Giugno 1820. Ha fatto la campagna dei 1815. Compromesso nei moti dei 1821. Giura 1822. Passato come luogotenente d'ordinanza nella Brigata Savona il 1.o Gennaio 1822; luogotenente dei Granatieri d'ordinanza in detta. Passato Aiutante Maggiore della Piazza di Novi, con grado di Capitano il 1.o Febbraio 1826. Maggiore nel forte di Exilles il 23 Giugno 1835; nominato comandante dello stesso forte il 15 Giugno 1839. Tenente colonnello comandante della piazza di Pont Beauvoisin il 29 Marzo 1845; trasferito nuovamente al forte di Exilles il 23 Dicembre 1845. Pensione il 2 giugno 1848. Cavaliere di 4 classe Ordine SS Maurizio e Lazzaro (Calendario Generale pe regi stati S.R. ED ord. Militari 1851)






Exilles e la lowe story di Vittorio Amedeo Ludovico





Il forte di Exilles

Vittorio Amedeo Ludovico Francesco venne trasferito da Novi dove il suo reggimento era di stanza al forte di Exilles il 23 Giugno 1835 con il grado di maggiore, e dello stesso Forte venne nominato comandante nel 1839, per poi essere trasferito alla piazzaforte di Pont Beavoisin nel 1845, tuttavia l'anno stesso a dicembre ritornò a Exilles. Era cavaliere di I classe dell'Ordine di Santi Maurizio e Lazzaro. A Exilles si trovò anche con il fratello Luigi Giuseppe Severino, luogo in cui questi morì l'11 marzo 1843, mentre Vittorio Amedeo era comandante.

Tra le mura del forte si consumò anche la lowe story di Vittorio Amedeo con la consorte di un ufficiale. Vittorio Amedeo gli aveva giurato di proteggerla e occuparsi di lei nel caso questo ufficiale fosse morto. E così accadde, la consorte dell'ufficiale deceduto aveva anche una figlia. Vittorio Amedeo chiese alla vedova di sposarla e questa accettò, ma il matrimonio trovò incredibili inghippi da parte del Vaticano, non dal re, il quale concesse volentieri il permesso. La questione con il Papa si trascinò per anni, essendo necessaria pagare alla fine una tassa per ottenere il permesso anche religioso.

Non solo guerra, la vita civile prosegue anche con balli e feste.





Fonte: https://fashionhistory.fitnyc.edu/1810-1819/

La nuova aristocrazia non sarà sempre impegnata nella guerra che Napoleone scatenava spesso e volentieri fidando del suo genio militare indiscusso. Ma era ritmata anche da attimi di pace, dove i ricchi e gli aristocratici si divertivano. Non era più il Settecento il secolo dove le varie corti europee e i nobili sfoggiavano abiti elaborati e di grande eleganza. L'imborghesimento dei costumi si è attuato con la semplificazione degli abiti, adesso d'ispirazione neoclassica come vuole la moda del primo impero. Il modello greco e latino tocca anche le capigliature maschili, con i vari tagli, alla Cesare, che piaceva a Napoleone, alla Bruto e così via. Anche dall'Inghilterra arrivano modelli più sobri e Lord Brummel furoreggerà dettando la moda del periodo Regency, la reggenza inglese.

Pride&prejudice - 2005

Il celebre romanza Orgoglio e Pregiudizio racconta della vita e dello scontro della borghesia che si affaccia prepotentemente alle porte per chiedere il potere politico. La sua intraprendenza sconvolgerà le rigide divisioni di classi per strappare il primato all'aristocrazia. Lo scenario è quello dell'Inghilterra dell'Illuminismo, del settecento, anche se il romanzo è stato pubblicato nel 1813, e il film dal quale è tratto presenta costumi tipicamente dell'epoca Regency o Reggenza 1811- 1818.

In Italia questo tentativo della borghesia troverà supporto nella Rivoluzione Francese che a suon di invasioni e di eserciti porrà la borghesia in un più alto livello. Non sembra che per il popolo sia andata allo stesso modo.

The newly engaged couple. "De Nyforlovede"., 1881

















































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46. Il Congresso di Vienna







Congress of Vienna 1814 -Recolored version - Tratta dall'Originale b/n- Da Jean-Baptiste Isabey - http://www.histoire-image.org/photo/zoom/nic08_isabey_02f.jpg .attribyzione b originale stampa b/n CC BY-SA 3.0







Un Congresso nato per restaurare, ovvero opprimere





Il Congrasso di Vienna che era stato interrotto nel suo lavoro dal ritorno del Fulmine, finisce di ridisegnare la mappa dell'Europa. E non c'è di che rallegrasi. Ovunque porterà repressione e oppressione. I tempi di Stalin, in piccolo.






Vittorio Emanuele I





Vittorio Emanuele I

Vittorio Emanuele I di Savoia, detto il Tenacissimo nacque a Torino il 24 luglio 1759 e morì a Moncalieri il 10 gennaio 1824. Re di Sardegna, principe di Piemonte, duca di Savoia e d'Aosta dal 1802 al 1821. Nel luglio 1814 con la Restaurazione, costituì a Torino il Corpo dei Carabinieri Reali, da cui deriva la moderna Arma dei Carabinieri, quarta forza armata italiana. Il modello da cui nacque era la gendarmeria francese. Vittorio Emanuele I avversò strenuamente Napoleone che considerava nemico mortale. Non accettò mai compromessi e tornò in Piemonte soltanto il 20 maggio 1814 dopo la sconfitta di Bonaparte A Torino fece un ingresso trionfale dopo essere sbarcato il 9 maggio a Genova. Vittorio Emanuele I non rinunciò mai alla speranza, poi avverata, di recuperare tutti i suoi domini, nemmeno quando il Piemonte venne incorporato alla Francia come dipartimento. Invero Napoleone consigliato in questo dallo zar Alessandro I di Russia, offrì nel 1807 al sovrano esiliato la possibilità di regnare su un nuovo stato che doveva avere la funzione di stato-cuscinetto e che avrebbe compreso il senese, il grossetano e l'ex principato di Lucca. Ma Vittorio EmanueleI, che si era ridotto in Sardegna sotto la protezione Inglese, rifiutò questa proposta

A Torino e in Piemonte scoppiò la rivoluzione liberale nel marzo del 1821. Questa era in larga parte opera dei carbonari, ispirati anche da profondi sentimenti antiaustriaci, presenti sostanzialmente in Vittorio Emanuele I. Ma la rivoluzione liberale era pronta a scagliarsi contro i restaurati governi, e montarono in fretta le proteste studentesche nell'Universitò di Torino. Vittorio Emanuele I, come ai tempi rivoluzionari del suo predecessore Vittorio Amedeo III, non volle reagire con le armi e si mostrò reticente nel concedere una costituzione per il regno. Il presidio militare di Torino, stanziato nella Cittadella si rivoltò contro il governo centrale uccidendo il comandante della fortezza. Vittorio Emanuele I il 13 marzo 1821 abdicò in favore del fratello Carlo Felice, ma questi si trovava a Modena cosi Vittorio Emanuele I affidò la reggenza a Carlo Alberto, principe di Carignano, secondo in ordine successorio della corona. Da parte sua Carlo Alberto era vicino agli ideali della rivoluzionari e Vittorio Emanuele I era sicuro che come reggente quindi temporeanamente la sua figura avrebbe calmato i rivoluzionari. Carlo Alberto nei primi mesi di reggenza chiese invano a Vittorio Emanuele I di tornare a regnare. Dopo l'abdicazione visse a Nizza , a Lucca e a Modena. Nel giugno del 1822 ritornò in Piemonte risiedendo nel castello di Moncalieri dove il padre era morto. Qui anche lui si spense e venne sepolto nella basilica di Superga dove riposavano i più recenti sovrani Savoia



Per una biografia completa vedi:
https://it.wikipedia.org/wiki/Vittorio_Emanuele_I_di_Savoia





Anche il Piemonte e nella Savoia ritorna il re dalla Sardegna, con le armi degli Austriaci, è la restaurazione.

Re con la tutela dell'Impero Austriaco





I Savoia sono tornati ma questa volta regneranno con la tutela dell'Impero di Austria. Non è una situazione semplice, perché non era dato per scontato che l'Impero Asburgico avesse ancora bisogno di uno stato cuscinetto pur attratto nella sua orbita rispetto alla Francia. Ma la Francia era disposta a concedere i passi Alpini all'Austria? Ben difficilmente, così il cuscinetto piemontese che aveva funzionato nei secoli precedenti restava senza una valida alternativa. Al Piemonte sarebbero andate le fortificazioni che restavano, quelle non fatte demolire da Napoleone. Tuttavia su alcune fortificazioni l'Austria aveva gli occhi puntati. I Savoia non potevano che accettare il loro nuovo Grande Fratello, sempre però che continuasse ad avere la compiacenza di lasciare a loro lo Stato.

Intanto per tutta Italia scoppiavano moti e principi di rivoluzioni destinati al fallimento. Il fatto era che questi moti lasciavano il popolo lontano da loro, erano il frutto di nobili malcontenti, di ufficiali che spingevano ad ammutinarsi i reggimenti, e spesso ci riuscivano. Molto spesso non era messa in discussione l'autorità del re, ma si chiedevano riforme.






Si apre il buio periodo della Restaurazione, fatto di carbonari, e di passioni che accomunano tutta l'Italia.

La grande nobiltà se ne tiene alla larga e chiede capestri contro i reazionari, ribelli alla Santa Alleanza.

Ritornano anche i titoli nobiliari





Intanto i titoli sono restaurati, ma non è possibile restaurare anche la feudalità con i suoi diritti signorili, eccetto in Sardegna dove esisteva da sempre.

E le decorazioni cavalleresche





Cavaliere dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro e nello sfondo cavalieri di diversi gradi dello stesso ordine

Anche le decorazioni cavalleresche sono restaurate, i Didier potranno godere del tradizionale titolo di Cavaliere dell'Ordine dei Santissimi Maurizio e Lazzaro. Il prestigioso ordine al quale appartenevano fin dai tempi di Bartolomeo. E saranno ancora militari e cavalieri di questo ordine per quattro generazioni, poi non arriveranno a portare neppure quello, spegnendo una tradizione durata quasi tre secoli.

E il titolo di conte della Motta





Anche i discendenti di Vittorio Amedeo recuperano il titolo di conte, e il predicato della Motta, ormai vuoto del feudo e pertanto onorifico. Il predicato che diventa loro cognome, cioè Didier della Motta, anche se loro, imbevuti di cultura francese protestano e preferiscono dirsi Didier de la Motte.

Sono tornati piccoli nobili, come molte altre famiglie del Piemonte, della Lombardia, che non possono vantare nobiltà anteriore al XVIII secolo e che sussistono tuttora, con una certa inflazione di titoli comitali.

I Didier che con Bartolomeo prima e poi con Vittorio Amedeo erano vicini alla corte, al potere, al re, adesso si sono confinati nella grande casa gelida della un po miasmatica Rivalta, la vecchia Abazia dismessa nel XVIII, o nei più comodi alloggi di Torino.

Dal potere sono lontani. Non ci sono più personalità come Bartolomeo o Vittorio Amedeo, o donne come Rosalia Cavalleris, non ci sono più ne colpi di fortuna, ne arrivisti e cortigiani, che erano stati determinanti per il successo della famiglia. I Didier prima lodati per il loro ingegno adesso paiono non avere più questo indubbio merito che era stato di Vittorio Amedeo e per il quale erano stati grandemente apprezzati. Arriva ineluttabile la decadenza a cui si aggiungerà una certa sfortuna.

Intanto la gente che può permetterselo viaggia in diligenza





Durante la Restaurazione si svilupparono grandi diligenze divise in due o tre scomparti. A Torino operavano due compagnie, le Regie Messaggerie d'Italia (o Messaggerie sarde) dei fratelli Bonafous, che operavano in collegamento con le Messaggerie francesi, ed i Regi Velocife, entrambe specializzate nei servizi postali.

Nato e sviluppato nell'Inghilterra del seicento, il servizio di diligenze si diffuse nel Settecento nei paesi Europei e venne perfezionato sopratutto con l'introduzione di vetture che facevano meno scali di quelle ordinarie, ed in Italia presero il nome di Velociferi. Nell'ottocento il servizio aveva raggiunto la piena maturità e la tecnologia lo aveva perfezionato rendendo i mezzi meno disagevoli, sempre assicurando il doppio servizio di posta e bagagli. Poi venne il treno, la gente incominciò a usarlo e le diligenze di linea sparirono. Rimaneva in ciascuna stazione ferroviaria un gruppo di vetture per il trasporto dei passeggeri nelle località minori, quando questi erano scesi dal treno. Poi con il motore a scoppio vennero le corriere e delle vetture trainate da cavalli per trasporto passeggeri non si sentì più parlare.

Section Forty-seven

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47. Restaurazione







Silvio Pellico e Piero Maroncelli condotti allo Spielberg (25-26 marzo 1822), A. Scibaldi, copia da C.F. Biscarra, olio su tela, 1938 - pubblico dominio






Il re torna a Torino ma non è sicuro di restarci



Prima del Congresso di Vienna il re Vittorio Emanuele I sbarca a Genova dove viene accolto con festeggiamenti. Il periodo Napoleonico si sta per chiudere definitivamente con la battaglia di Waterloo. Si diletta con visite a giardini e palazzi e poi riparte alla volta di Torino ma con suspence. Per gli Inglesi sembra che i Savoia si trovino benissimo anche a regnare solo sull'isola di Sardegna, ma tutte le decisioni importanti sono demandate al Congresso che si svolgerò a Vienna.

Alle volte ritornano




Alle volte ritornano

Come ricorderà all’arrivo a Torino il giovane d’Azeglio: “Il 20 di maggio finalmente arrivò questo re tanto annunziato e benedetto. Io mi trovavo in parata in piazza Castello, ed ho presente benissimo il gruppo del re col suo stato maggiore. Vestiti all’uso antico colla cipria, il codino e certi cappelli alla Federico II, tutt’insieme erano figure abbastanza buffe; che però a me, come a tutti, parvero bellissime ed in piena regola” (Massimo d’Azeglio, I miei ricordi, Firenze, Barbera, 1867, p. 181)- 37 GG, 14 maggio 1814.

Restaurazione e moti del 1821





Il governo della Restaurazione aveva attuato una politica decisamente iper reattiva con il ripristino di istituzioni vecchie e il ritorno all'antico. Era l'illusione della Santa Alleanza, di proiettare o meglio ingessare nel presente cose che invece erano appartenute all'Ancien Regime.

I giovani universitari non sopportano la politica della Restaurazione, anche oggi accade che gli studenti protestino perché vogliono un Mondo migliore.



Illustration for Storia d'Italia by Paolo Giudici (Nerbini, 1929-32). Artist Tancredi Scarpelli Artwork medium Printed material Copyright notice © Look and Learn Category History, art and culture images > Look and Learn Keywords Italy Italian history historical return Vittorio Emanuele I f Vittorio Emmanuel I Turin horse - Fonte: https://www.meisterdrucke.ru/kunstwerke/400w/Tancredi%20Scarpelli%20-%20The%20revolt%20of%20the%20students%20of%20Turin%20University%201821%20-%20(MeisterDrucke-85786).jpg

Moti del 1821 in San Salvario. Litografia da disegno di Masutti. - Fonte: https://www.museotorino.it/view/s/1d2e2131443941d7b31eec2dfe7980a5

Parte della società aveva mal digerito questa politica. Si erano formate Società segrete e nel 1821 scoppiarono i moti anche a Torino, sopratutto all'Università.

I nobili legittimisti sono tornati e vogliono ancora contare



I moti del 1821 furono prettamente militari e i nobili si divisero tra quelli attaccati al passato e quelli più innovatori. Le tradizioni legittimiste erano manifestate dai quadri superiori che in maggioranza avevano interpretato i moti come un attentato alla Stato così allo stesso modo il pronunciamento degli ufficiali loro subalterni e l'abdicazione di Vittorio Emanuele I. La maggior parte di loro erano vecchi nobili con il codino, che avevano servito devotamente il re contro la Francia.



La maggior parte dei nobili di rango erano scossi da questi ideali di indipendenza e di unità. Per loro tradizione avevano dato la vita per la grandezza del regno e per il re. Volevano ancora contare, nonostante con il trascorrere dei secoli fosse diminuita la loro necessità e i loro uffici occupati dai borghesi.

Vittorio Emanuele I abdica in favore del fratello Carlo Felice, la reggenza momentanea tocca a Carlo Alberto di Savoia Carignano

Carlo Alberto di Savoia - Carignano, il secondo in ordine alla successione al trono era stato nominato reggente in attesa dell'arrivo di Carlo Felice, il re designato. Carlo Alberto però tenne un atteggiamento poco chiaro. Durante il carnevale, l'11 gennaio 1821 al Teatro d’Angennes, adesso Gianduia, in via Principe Amedeo, gli studenti universitari si misero in testa cappelli in lana rossa con fiocco nero, colori della Carboneria. Furono arrestati e tutto l’Ateneo insorse. Le forze dell’ordine diedero l’assalto all’Università.

L’Università di Torino venne occupata da un centinaio di studenti, e la repressione fu durissima da parte delle forze dell'ordine. Thaon de Revel, il governatore di Torino intimò alle truppe regie «Souvenez vous que vous avez à faire à des enfants». Ma nonostante questo ordine di mitigare la repressione, il risultato fu 38 feriti, alcuni di loro riportarono l’amputazione delle dita e un naso mozzato. 45 furono gli arresti. Racconta il Brofferio, nella sua Storia del Piemonte, che «[…] Non furono i soldati quelli che si macchiarono in più gran copia dello strazio di pochi e disarmati giovinetti; si recarono a gloria parecchi ufficiali di seguitare i passi del governatore, per far pompa sotto gli occhi suoi di devozione alla monarchia assoluta; e fu dalla mano di costoro che vibraronsi i colpi più micidiali».

Il Conte Santorre di Santarosa prese il comando della situazione. A suo dire egli era riuscito a coinvolgere anche dei reparti dell’esercito, pronti, disse, ad ammutinarsi; si erano altresì costituite delle società vicine alla carboneria, ma a struttura aperta e con obiettivi dichiaratamente costituzionali e in contrasto con la massoneria.

La costituzione è concessa a Napoli, e ci resta per otto mesi mentre in Piemonte per due mese.



A Napoli nel 1820 era stata concessa la Costituzione e questo in Piemonte dove regnava lo scontento, fece nascere la speranza di ottenerne una simile dal re. I Federati, la maggiore delle società segrete che era cresciuta notevolmente e che si era modellata come le altre su quella delle logge massoniche era formata per lo più da nobili. Questi spinti anche da un astio antiaustriaco erano in fermento.

Si parla molto poco realisticamente di guerra all'Austria.



L'Impero Asburgico era malvisto dai Piemontesi sin dal 1799, quando avrebbe voluto annettersi il Piemonte. Anche il re vedeva nell'Austria un pericolo, sopratutto perché non risorta come si sperava la Repubblica Veneta, niente era di ostacolo all'Austria per premere e annettere il Piemonte. Ma non di questo avviso sarà Carlo Felice futuro re che contava proprio sull'Austria come alleato. Insomma il Grande Fratello austriaco era bene o male accettato di buon grado dai legittimisti che avrebbero poi accusato i rivoltosi di essere gli unici colpevoli dell'invasione Austriaca.

L'Impero Asburgico è impegnato nel reprimere i moti di Napoli.



Di contro l'Impero austriaco all'inizio non prese sul serio i moti di Torino e neanche si mosse contro quelle folli idee che avrebbero dovuto spegnersi nel giro di poco. Poi però si presero paura e mossero le guarnigioni, ma nulla succedeva nel Lombardo - Veneto e la rivolta non dilagava, come avevano in mente e sperato i carbonari che avevano coinvolto nelle loro idee insurrezionali diversi parti d'Italia. L'Austria impegnata a reprimere i moti di Napoli aveva dislocata nel meridione una grossa forza, ed era vista debole in quel momento e per tali motivi gli insorti parlavano di portare guerra.

Nei caffè circolano i fogli rivoluzionari



Nei caffè fervevano le discussioni, i fogli rivoluzionari circolavano copiosi. Dopo gennaio, che aveva visto il primo episodio di rivolta, seguirono mesi di perquisizioni, sequestri di materiali e arresti.






Santorre di Santa Rosa alla guida dei rivoltosi nei moti del 1821 in Piemonte e capo della Giunta



Santorre Annibale Filippo Derossi, conosciuto come Santorre di Santa Rosa, o conte di Pomerolo, signore di Santarosa nacque a Savigliano il 18 ottobre 1783 e morì a Sfacteria l' 8 maggio 1825. Patriota, militare e rivoluzionario, eroe del Risorgimento italiano e della guerra d'indipendenza greca, nella quale morì.



Fine della rivolta Santorre di Santarosa dopo aver guidato l'insurrezione si vide preferire dagli insorti a Michele Gastone e Carlo Bianco di Saint Jorioz, questi era stati portati alla ribalta dai rivoltosi. Questi personaggi erano legati alla dottrina radicale di Filippo Buonarroti. I moderati guidati dal Santorre avevano ispirato la rivolta ma adesso? Il governo Costituzionale basava la sua creazione sulla mente del Santarosa e sull'accordo con il reggente ma adesso era crisi, troppo distanti le idee dei due gruppi. Santorre con lucidità si rese conto della situazione, ma restò al suo posto sperando che la crisi sempre più evidente si risolvesse. E quando quasi si era giunti ad un accordo, fu il reggente che, sfiduciato dal re Carlo Felice il 16 marzo abbandonò baracca e burattini. Sempre il reggente ricevette l'ordine di raggiungere Novara rinunciando alla sua carica e alla guida dei rivoltosi. La Costituzione da lui concessa era stata immediatamente revocata da Carlo Felice e Carlo Alberto fuggì segretamente a Novara nella notte del 22 marzo protetto da un drappello di cavalleggeri e riunitosi poi con i resti non ammutinati del rimanente esercito, mentre i rivoltosi e anche Santa Rosa davano l'annuncio di una guerra contro l'Austria. Santorre a distanza di non più di poche ore si recò a Novara con un manipolo di uomini. Qui tentò di convincere Carlo Alberto e le truppe che questi si era portato dietro a tornare. Il tentativo invero era alquanto disperato e infatti fallì.

«Soldati Piemontesi! Guardie Nazionali! Volete la guerra civile? Volete l’invasione de’ forestieri, i vostri campi devastati, le vostre Città, le vostre Ville arse o saccheggiate? (...) Annodatevi tutti intorno alle vostre insegne, afferratele, correte a piantarle sulle sponde del Ticino e del Po.» (Ordine del giorno 23 marzo 1821, Torino, Stamperia Reale)

Santorre, sapendo bene che la repressione sarebbe stata tremenda come era già accaduto in frangenti simili per altre insurrezioni, pensò a come scampare con la fuga.

Riunita per l'ultima volta la Giunta il 9 aprile, propose di spostare i lavori a Genova per provare un'ultima resistenza. Ricevette un rifiuto immediato rifiuto dagli altri rivoltosi e la Giunta successivamente venne sciolta.

All'inizio di aprile giunsero in Piemonte alcuni reparti dell'armata Imperiale Austriaca, in funzione di appoggio all'esercito regio. Le forze costituzionali vennero duramente sconfitte. Il governo costituzionale era caduto dopo soli due mesi.

Per una biografia completa vedi: https://it.wikipedia.org/wiki/Santorre_di_Santa_Rosa

Santorre di Santarosa, 1860 - Sconosciuto - http://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/6/6a/Santorre_di_Santarosa_1860.jpg - Pubblico dominio

Incontro dei rivoluzionari con Carlo Alberto.




Carlo Alberto (il primo a destra) con i liberali in un'illustrazione del 1834 - Fonte: Tancredi Scarpelli - http://forum.alexanderpalace.org/index.php?topic=3452.0 - Pubblico dominio

I rivoluzionari, sotto la guida del conte Santorre di Santa Rosa ottennero di incontrare Carlo Alberto all'inizio di marzo, questi era infatti convinto di poter arrivare segretamente con loro ad un compromesso. Le forti pressioni che venivano dalla piazza spinsero Carlo Alberto a concedere la Costituzione di Spagna, che era molto di più di quanto volesse dare. Ma in casi simili anche il Regno di Napoli aveva promesso e dato una Costituzione che poi il re si era rimangiato, e Carlo Alberto era solo il reggente, la costituzione poteva, calmatisi gli animi e sedati i moti, essere abrogata dal legittimo sovrano, cosa che poi avvenne.

Una Costituzione inaccettabile per l'Austria.



Ma la Costituzione di Cadice o di Spagna come viene chiamata era una costituzione decisamente limitativa della Monarchia e non sarebbe mai stata riconosciuta dall'Austria, che forse avrebbe potuto accettare una costituzione di tipo francese. Diversa era l'insistenza che si dichiarasse guerra all'Austria. Carlo Felice sconfessò Carlo Alberto che si dimise dalla carica di reggente e fuggì dalla città nella notte. La sua tattica di mantenere un atteggiamento ambiguo non aveva avuto successo anche se aveva tardato i tempi della reazione.

Comportamento di Carlo Felice che addossa tutta la colpa a Carlo Alberto e di Carlo Alberto che si vede tarpare le ali alla sua controrivoluzione monarchica quando ne sta cercando di creare l'embrione.



Carlo Alberto che aveva preso molto male l'ammutinamento dei Dragoni del re e di altre truppe di cavalleria come Dragoni della Regina e Cavalleggeri del Re alle quali era particolarmente legato, aveva cercato di attrarre alla causa Monarchica i moderati, che non amavano molto la Costituzione di Spagna. Che Carlo Alberto preparasse nei fatti una controrivoluzione appare probabile, ma lo stesso Carlo Felice tarpò le ali alla controrivoluzione, deciso invece ad un intervento immediato, ma non suo proprio, in quanto perdendo tempo, di fatto aveva lasciato la patata bollente nelle mani di Carlo Alberto. La polizia passò alla repressione, le associazioni e quelle istituzioni religiose e più vicine alla monarchia si diedero da fare per imporre il modello di suddito fedele che la Restaurazione aveva imposto.

La Costituzione di Spagna non la capisce nessuno, stampata in poche copie, in spagnolo non viene molto distribuita.



I due obbiettivi dei rivoluzionari, la Costituzione di Spagna e la guerra all'Austria erano svaniti. La Costituzione di Spagna il testo della quale era stato stampato in molte copie, non trovò la necessaria diffusione ed è dubitabile che il popolo ne capisse la sostanza e l'importanza. Questa rivoluzione resterà una rivoluzione di un gruppo sociale variegato ma legato all'aristocrazia che chiedeva cambiamenti e non di tornare indietro nel tempo.

Il proclama della Costituzione fatto da Carlo Alberto.




La rivolta monta anche nelle provincie




La rivolta in Alessandria Fossano Pinerolo

Alessandria, Fossano e Pinerolo… La sommossa di Alessandria ebbe inizio il 10 marzo alle due del mattino. Il capitano conte Palma, fatte prendere le armi al reggimento della Brigata Genova acquartierato nella cittadella, proclamò la costituzione di Spagna al grido di «Viva il Re!», acclamando nello stesso tempo Vittorio Emanuele I re d'Italia. I Dragoni del re guidati dal cav. Baronis e dal conte Bianco, capitano il primo e tenente l'altro, muovono in silenzio dai loro diversi quartieri, e riunitisi sul ponte del Tanaro s'introducono nella cittadella per la porta lasciata aperta a cura dell'ufficiale capo posto. Vi penetra con loro un numero di cittadini già federati per la causa italiana, della forza di circa un battaglione; Ansaldi, tenente colonnello della Brigata Savoia, assume il commando della fortezza, compone una giunta provvisoria di Governo formata dai cittadini Urbano Rattazzi, Appiani, Dossena, Luzzi, e degli ufficiali Palma, Baronis e Bianco, ed informa il cav. De Varax governatore di Alessandria, imponendogli militarmente di somministrare i viveri necessari alle sue truppe. Il re da Moncalieri raggiunse immediatamente Torino. Il cav. Provana di Collegno e il capitano d'artiglieria Radice arrivarono nella cittadella il mattino dell'11, la stessa sera vi giunse il marchese Carlo di San Marzano, colonnello in seconda dei Dragoni della regina. Contemporaneamente un tentativo di rivolta falliva a Fossano, dove il tenente colonnello Morozzo di San Michele aveva tentato di trascinare verso Alessandria lo squadrone lì acquartierato. Ma a Torino si sparse la voce che il Morozzo era riuscito nel suo piano e la notizia ebbe un'influenza decisiva sui congiurati torinesi. Quegli audaci non dovevano essere abbandonati a se stessi: era ormai necessario tentare l'impossibile. In città avevano avuto luogo varie riunioni e discorsi rivoluzionari al Casino Sociale, tanto che il generale conte Pietro Paolo di Gifflenga era stato invitato a compiere un'indagine; era stato inoltre incaricato di un’inchiesta sullo stato della guarnigione, per cui aveva inutilmente consigliato di allontanare alcuni ufficiali che, con il loro atteggiamento, rendevano inutile ogni tentativo di disciplina e di concordia. La guarnigione di Venaria Reale aveva minato la disciplina e la fedeltà di tale reggimento, che, per questo, era stato trasferito a Pinerolo. Ma qui gli ufficiali continuarono a tenere la stessa condotta, per cui fu facile ai promotori della rivoluzione guadagnarseli. In un importante documento, il rapporto del colonnello Maffei di Boglio, comandante il reggimento Cavalleggeri del Re, è scritto che «in Pinerolo si tenevano propositi e discorsi che annunziavano i tristi avvenimenti che ebbero luogo».

Le forze costituzionaliste in campo, inferiori di numero.

Le forze costituzionali erano composte da 4 reggimenti di linea dì 2 battaglioni ciascuno. Saluzzo (cfr: il battaglione di Gabriele), Monferrato, Genova e Alessandria. Vi erano 2 battaglioni dei cacciatori italiani, 2 della legione leggera del corpo franco e del battaglione dei cannonieri di marina che contavano 15 battaglioni in tutto, 450 uomini ciascuno; 1900 soldati di cavalleria e 6 cannoni. Volontari e Cacciatori non erano utilizzabili. Si doveva tenere guarnite le principali città: Nella cittadella d'Alessandria si trovava il reggimento Genova, mentre a Genova si trovavano i cacciatori italiani, ma qui il reggimento Regina, che presidiava i forti, non aveva ancora aderito alla causa costituzionale; Torino era guarnita dal reggimento d'Alessandria e i 2 battaglioni della legione leggera. I costituzionali a Novara potevano mettere in campo: il reggimento Monferrato, il reggimento Saluzzo, (cf quello di Gabriele che si era ammutinato) 3 compagnie del reggimento Genova, 4 compagnie della legione reale leggera, i reggimenti Dragoni della regina, Dragoni del re cavalleggeri del re, cavalleggeri di Piemonte, tutti di cavalleria, e un battaglione d'artiglieria dì marina. Per complessivamente 2300 fanti; 1080 cavalieri montati, e 450 uomini d'artiglieria con 6 pezzi. I loro avversari comandati da La Tour disponevano in Novara del reggimento granatieri guardie, di 2 battaglioni della legione reale leggera, e dei reggimenti Piemonte Aosta e Cuneo, dei reggimenti di cavalleria Piemonte Reale, cavalleggeri Savoia, di 4 squadroni del cavalleggeri Piemonte, 185 carabinieri a cavallo, 112 a piedi, 137 guardie del corpo, e 18 cannoni: Complessivamente una forza di 5300 uomini di fanteria, 1700 a cavallo, 170 artiglieri a piedi, circa 7000 uomini.

I Costituzionalisti sono sconfitti, l'ordine restaurato e l'odiata Costituzione di Spagna o di Cadice dimenticata.



In questo articolo di giornale che annuncia come la rivoluzione in Piemonte si stia spegnendo, si fa notare come i rivoluzionari usino il regio potere per attaccare il regio potere e ottenerne così dei benefici. Il che può apparire vero, poiché ne a Napoli ne a Torino si pone in discussione il re. Di più il giornale in questione mette l'accento sul fatto che il principe Carlo Alberto fosse ripugnanto dal voler salire al trono e questo è considerato un motivo tra gli altri del fallimento dei moti. Ma Carlo Alberto non era l'erede designato al trono, solo il reggente e non è che potesse fare molto. Diverso se fosse stato designato re con l'abdicazione del legittimo sovrano.

Da Lubiana le grandi potenze commentano i moti Piemontesi, parlano di Europa sporcata da un piccolo gruppo di uomini che ne turbano la tranquillità



I moti in Piemonte del 1821 erano stati percepiti dalla stampa di allora come un avvenimento conseguente a quelli Napoletani, e si considerava che spenti quelli di Napoli anche quelli Piemontesi sarebbero finiti come un fuoco di paglia. La percezione era che a muovere questi miti rivoluzionari fosse solo un piccolo numero d'insoddisfatti. E questo era in parte vero perché le masse dei poveri, dei contadini e in genere il popolo erano fuori dai grandi ideali e dai pensieri che muovevano i Costituzionalisti.

I moti hanno fallito si attende il ritorno delle truppe fedeli al re



Nella capitale Torino rientrano le brave truppe fedeli e si cerca di tranquillizzare i cittadini



La repressione dei moti del 1821 in Piemonte: viene creata la Commissione di guerra per giudicare i militari compromessi nei moti



Creazione della Commissione di guerra per giudicare i militari compromessi nei moti. Torino,13 aprile 1821 (ASAL, Intendenza generale, f. 128) - Fonte: https://alessandria1821.it/collection/creazione-della-commissione-di-guerra-per-giudicare-i-militari-compromessi-nei-moti-torino13-aprile-1821-asal-intendenza-generale-f-128/

Viene creata a Torino la commissione di guerra per giudicare i militari compromessi nei moti del 1821. A presiederla è il conte Thaon de Revel di Pratolungo. Davanti a essa, insieme a molti altri militari, compariranno il tenente Vittorio e il sottotenente Gabriele, suo cugino, entrambe sospettati di aver partecipato ai moti del 1821.

Vittorio Amedeo Ludovico: compromesso nei moti del 1821





Vittorio Amedeo Ludovico, il cadetto del conte Carlo Francesco Saverio viene indagato dalla Commissione di guerra per aver frequentato persone sospette e dalla testimonianza del cugino Gabriele scagionato di misura dalle accuse di aver preso parte attiva ai moti in Torino e marciato con i suoi uomini su Alessandria dove le truppe ribelli erano state sconfitte dal generale comandante Thaon de Revel, fedelissimo di re Carlo Felice. Non avendo il dono dell'ubiquità era chiaro che se Vittorio si trovava con il cugino non poteva trovarsi in Alessandria.

Vittorio Amedeo Ludovico: scagionato dalla testimonianza del cugino Gabriele



Gabriele, cugino di Vittorio Amedeo Ludovico, ha dato la sua testimonianza giurata che suo cugino Vittorio si trovavano presso di lui nel momento dei fatti. Vittorio Amedeo Ludovico anni dopo sarà nominato colonnello, ma per il momento viene ammonito perché restano le prove delle sue frequentazioni pericolose

Il pensiero di Vittorio Amedeo Ludovico sui moti costituzionalisti in Piemonte del 1821



Vittorio Amedeo Ludovico appartiene ad una famiglia di recente nobiltà, nonostante i titoli la madre e pur sempre la nipote di un negoziante, aristocratica e ricca ma non di antica nobiltà, così è per il padre figlio di un conte dal titolo recentissimo e legato al regime di Napoleone, e di una dama di corte. E' un militare e i moti del 1821 riguardano principalmente l'esercito. Ha contatti con alcuni grandi nobili dell'antica nobiltà ma innovatori, non coi codini e vuole cambiare le cose.

Le frequentazioni pericolose di Vittorio Amedeo Ludovico



Il clima della Restaurazione non gli piace, per questo almeno formalmente aderirà alla causa. Tuttavia al momento dell'azione vede che le cose sono confuse, il re abdica la costituzione viene concessa dal reggente in un momento controverso. Vittorio Amedeo Ludovico probabilmente non se la sente di andare fino in fondo, di seguire l'esempio del Santa Rosa. Da quanto ci è dato da sapere resta un simpatizzante dei moti, un moderato che comunque non prenderà la armi contro il re. Per questo, per le sue frequentazioni con altri nobili costituzionalisti viene ammonito. Resta il dubbio che la testimonianza del cugino Gabriele non sia del tutto vera, ma la Commissione di Guerra di una cosa è sicura, alla fine Vittorio Amedeo Ludovico non ha preso le armi contro il re e la monarchia.

"Dormivo in caserma, quindi non ho sentito niente". La testimonianza di Gabriele sull'insurrezione e sui fatti della brigata Saluzzo, nella quale militava, alla Commissione di Guerra



Gabriele ha dichiarato che lui e un suo compagno dormivano in caserma, lui non ha sentito niente. Anche se l'insurrezione non era stata silenziosa. Ma alla fine risulta completamente estraneo alla rivolta e sarà riammesso al servizio e la brigata Saluzzo sciolta per essersi ammutinata e aver partecipato alla rivolta stessa

Il pensiero di Gabriele sui moti del 1821 in Piemonte



il cavaliere Gabriele è un giovane sottufficiale, anche lui non proviene da una famiglia nobiliare di antiche tradizioni, non è legato ai vecchi codini anche se suo nonno Vittorio Amedeo il codino lo portava eccome. L'ammutinamento del suo reggimento non sorprende, doveva essere già nell'aria e nei discorsi degli ufficiali. Tuttavia Gabriele non ne è entusiasta come altri giovani sottufficiali e come data la giovane età ci si aspetterebbe. Non aderisce ai moti e sarà dichiarato completamente estraneo.
I moti del 1821 per lui non lo entusiasmano moltissimo. Almeno non così tanto da prendere parte alla difesa acerrima della costituzione di Spagna che porterà il suo reggimento alla battaglia di Novara. Probabilmente la strada che ha in mente di seguire per uscire dalla cappa creata dalla Restaurazione è diversa da quella dei cospiratori, per questo non accetta le loro idee, che comunque si compiranno sempre al grido di "Viva il re".

La carboneria e spesso la Massoneria è dappertutto




La carboneria con tutta la sua serie di simboli e segnali segreti è abbastanza diffusa nella classe aristocratica. Se gli studenti di allora scendevano in piazza a Torino con i rivoltosi che erano spesso nobili o aristocratici, gli studenti di oggi scendono in piazza con gli operai. Sono cambiati i tempi e le alleanza di popolo ma non la voglia di progresso. I protagonisti dei moti del 1821 sono i monarchici e i moderati, scarsa la partecipazione dei radicali e nulla quella dei repubblicani. I repubblicani erano presenti però a Genova e lo furono intensamente mentre in Piemonte non c'era questo sentimento. Genova era repubblicana da antica data e fu patria di Giuseppe Mazzini, un repubblicano. La persecuzione poliziesca incombeva però ovunque e si contano molti iniziatori nell'elenco degli iscritti alle società segrete come la prospera Carboneria, che aveva visto la luce nell'Italia meridionale ai tempi di Gioacchino Murat. Le due società segrete, Carboneria e Massoneria, non andavano in comune accordo, gli scopi e i metodi essendo differenti. Il bersaglio era l'assolutismo regio, considerato fuori dal tempo. Contro l'assolutismo regio, che era anche l'idea da superare secondo il giovane tenente Vittorio Didier, si erano schierati anche nobili del calibro del conte Ettore Perrone di San Martino e il principe Carlo Emanuele dal Pozzo della Cisterna, ragion per cui questi due vennero arrestati nel marzo del 1821. L'insofferenza all'assolutismo regio era montata a tal punto che persino una speranza in Vittorio Emanuele I era balenata provvisoriamente ma subito dissipata. La Santa Alleanza era l'assolutismo e la suoi trascorsi napoleonici aveva dichiarato idee liberali. Chi erano i rivoltosi: il conte Santorre di Santarosa, funzionario del Ministero della Guerra e della Marina, il marchese Carlo Emanuele di San Marzano, ufficiale dei Dragoni, e ancora il conte Giacinto Provana di Collegno, anch’egli ufficiale ed il conte Guglielmo Moffa di Lisio, ufficiale di Cavalleria. Il loro programma era serio e tutt'altro che improvvisato e travalicava le ristrette vedute Piemontesi.

In questo clima di repressione poliziesca, di sospetti, di spie, i nobili stanno coi nobili e i borghesi con i borghesi, non c'è comunicazione tra le due classi, benchè anche tra i nobili, sopratutto in qualche cadetto, il sogno della libertà, assaporato ai tempi Napoleonici, sia tutt'altro che spento.

Giuseppe Mazzini bambino:da tutto quello che ha per l'Italia - Giuseppe Mazzini From the Book of Jessie W. Mario of Life of Mazzini, Childhood of Mazzini - Fonte: https://picclick.it/Giuseppe-Mazzini-bambinoda-tutto-quello-che-ha-per-402001341254.html#&gid=1&pid=1

Genova: infanzia di Mazzini la famiglia dona per i proscritti

Carlo Francesco Saverio e il figlio cadetto Vittorio Amedeo Ludovico, il re Carlo Felice richiede giuramento di fedeltà





Il Conte Carlo Francesco Saverio e suo figlio cadetto, Vittorio Amedeo, giurano in Torino, nel Duomo, davanti al re e alla Regina, come molti altri nobili. Carlo Felice ha infatti ripristinato il giuramento di fedeltà alla corona che il suo predecessore non aveva osato reintrodurre

Nel 1822 il re Carlo Felice, che starà pochissimo a Torino, abiterà il secondo piano del Palazzo Reale: la città di Torino rea di connivenza con il regime napoleonico è poco amata da lui che sarà più occupato a restaurare l'abazzia di Hautecombe, ripristina il giuramento di fedeltà alla Monarchia.






Carlo Felice





Carlo Felice

Carlo Felice di Savoia nacque a Torino il 6 aprile 1765 e morì a Torino il 27 aprile 1831. Re di Sardegna e duca di Savoia dal 1821 alla morte, quinto figlio maschio di Vittorio Amedeo III di Savoia e Maria Antonietta di Spagna. I suoi nonni materni furono Filippo V di Spagna ed Elisabetta Farnese
Carlo Felice non aspirava al trono quando improvvisamente venne designato re dal fratello e si trovò a regnare. Considerò sempre i torinesi dei traditori della sua Dinastia per l'appoggio dato a Napoleone e poi i moti costituzionali e liberali del 1821 e infatti fu poco presente come re e men che mai lo si vide partecipare alla vita sociale cittadina. Risiedette a Torino solo quando era aperta la stagione teatrale ma il tempo rimanente lo trascorreva in continui soggiorni in Savoia, nel nizzardo, a Genova, che era una delle sue residenze favorite. Inoltre stette e nei castelli di Govone e Agliè, che aveva ricevuto in eredità dalla sorella Maria Anna. Preferì delegare ampi compiti ai suoi ministri, al conte Roget de Cholex, Ministro degli Interni, limitandosi a supervisionare il suo operato; Sul suo governo Massimo d'Azeglio ebbe a dire: «Un dispotismo pieno di rette e oneste intenzioni ma del quale erano rappresentanti ed arbitri quattro vecchi ciambellani, quattro vecchie dame d'onore con un formicaio di frati, preti, monache, gesuiti» (Massimo d'Azeglio, citato in Montanelli, L'Italia Giacobina e Carbonara, p. 344.) Carlo Felice avviò delle riforme e difesa i suoi domini dalle ingerenze pontificie o straniere. Pose un limite ai privilegi come alle esenzioni della Chiesa che apparivano lesivi dell'autorità dello Stato: l diritto d'asilo nei luoghi sacri venne abolito quasi completamente, ammise che gli ecclesiastici potessero essere citati davanti ai tribunali laici, impose il visto civile per catechismi, pastorali, libri sacri.

Ristabilì la pubblicità delle ipoteche, promulgò un codice diritto penale militare, un editto per riformare l'ordinamento giudiziario civile dal quale escluse la Sardegna. Leggi civili e criminali del Regno di Sardegna promulgate il 16 gennaio 1827 stabilivano nel diritto penale, l'abolizione del "guidatico" che riguardava la norma nel caso i delinquenti che avessero catturato altri delinquenti. Venne abolita anche la "esemplarità", che era una norma che permetteva esacerbazioni della pena capitale, nella quale rientravano lo squartamento dei cadaveri e la dispersione delle ceneri. La pena di capitale venne ristretta a un limitato numero di casi, la proporzionalità della pena fece nuovamente la sua comparsa e si distinse tra reato tentato e reato commesso. Infine, abolì la tratta degli schiavi e stabilì che le persone in schiavitù che si trovavano su una nave battente bandiera sarda fossero immediatamente liberate.




Per una biografia completa vedi:
https://it.wikipedia.org/wiki/Carlo_Felice_di_Savoia

















































Section Forty-eight

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48.Nobili senza titolo, la linea cadetta







Becoming Jane - Il ritratto di una donna 2007










la linea cadetta





Vittorio Gaetano, la seconda linea dei La Motta





La seconda linea, originata dal figlio cadetto di Vittorio Amedeo Francesco






Vittorio Gaetano e la consorte Luisa Mestiatis di Graglia, vedova Zumaglia






Vittorio Gaetano





Vittorio Gaetano: Cenni biografici

LINEA SOSTITUITA VIII VITTORIO GAETANO GIUSEPPE BARTOLOMEO (nato a Torino SS. Sindone il 25 Agosto 1768). Cavaliere. Suo ruolo nel Reggimento Provinciale di Torino: sottotenente nella 1.a Compagnia Maggiora il 21 Settembre 1786, sottotenente nella Compagnia l.a Granatieri Il 20 Settembre 1791, luogotenente nella Compagnia Ruffìa 2.da Capitania addì 11 Agosto 1792. Capitano tenente nella Compagnia P.ma Maggiora, dimessosi il 13 Giugno 1794. Sposa Luisa Mestiatis di Graglia, vedova Zumaglia.






Luisa Mestiatis di Graglia





Luisa Mestiatis di Graglia vedova Zumaglia: Cenni biografici

Luisa Mestiatis di Graglia, vedova zumaglia, era figlia del conte Mestiatis, sposà in prime nozze Michele Marco Vincenzo Pollotti di Zumaglia (nato a Saluzzo 24 aprile 1764, morto a Saluzzo il 26 Febbraio 1793, con contratto dotale £dote, maggio 1788 -dati riportati dal Manno). Costui era figlio 9 nato di Francesco Felice Domenico Pollotti (Pollotto, Poloto, Polliotti) conte di Zumaglia.(deceduto il 10 Marzo 1785), infeudato di Zumaglia(1757,5 aprile) investito (13 Aprile) del comitato per maschi. Sposato (25 novembre 1749 Rosa Caterina, del conte Biagio Imperiale Crotti di Costigliole (morto a Saluzzo il 18 Luglio 1784)

Luisa come detto era figlia di Pietro Gaetano Mestiatis (Meschiati, Meschiatis), nato a Torino, S. Dalmazzo, 6 Agosto 1731). Tenente colonnello di cavalleria, comandante di Saluzzo, di Chieri (1792). Investito (1762, 17 Agosto) Sposa Teresa del conte Luigi Rambaudi (morta a 20 anni, 1773) suoi figli furono
Luigi

Luisa (sposa prime nozze Michele Marco Vincenzo Pollotti di Zumagòlia , conosciuto come il cavaliere di Zumaglia, e in 2 nozze il cavaliere Commendatore Vittorio Gaetano Giuseppe Bartolomeo Didier, poi Didier della Motta

Filiazione:

1 Angelo Vittorio Bartolomeo Giuseppe Luigi (nato a Torino S. Giovanni il 19 Maggio 1794; morto senza linea)
2 Gabriele Maria Gaetano Giuseppe Vittorio (VIII)
3 Rosalia sposa il tesoriere Carlo Nerini.
Pubblica: All'armata francese: omaggio Di Rosalia Nerini nata dai Conti della Motta. Edition: 2 Pubblicato da Tip. Sarda di Calpini, 1859. 58 pagine.
Ha corrispondenza con Cavour
A.S.T> Raccolte Private > Carte Cavour > Corrispondenti > N-O Dettaglio: Denominazione: N-O Note storiche: Corrispondenti... Nerini Didier de la Motte Rosalia - Estremi cronologici: (1820 - 1860) ca. Quantità: 1 b.






Lettera del conte Mestiatis, padre di Luisa per ottenere aiuto per la figlia Luisa, dopo il disastroso matrimonio con il cavaliere di Zumaglia.





La lettera del conte Mestiatis per ottenere una pensione alla figlia Luisa

La tremenda lettera di supplica inviata dal padre di Luisa il conte Mestitis comandante della piazzaforte di Chieri, perché il re Vittorio Amedeo III concedesse alla sventurata figlia almeno una pensione per vivere. Il cavaliere di Zumaglia viene qui tratteggiato come uno scellerato che ha ridotto la figlia del conte di Graglia in miseria, dedicandosi a sciupare le sue sostanza. Sono le parole di un padre, un militare che cerca per la figlia una vita più dignitosa dopo un disastroso matrimonio. Ma il cavaliere di Zumaglia morirà di lì a poco e Luisa si risposerà con Vittorio Gaetano Didier.






Il cavaliere di Zumaglia





Ma chi era il cavaliere di Zumaglia?
9 - Michele Marco Vincenzo (nato Saluzzo, 24 aprile 1764; + Saluzzo, 23 febbraio 1793). Sposa (dote, maggio 1788) Luisa, del conte Mestiatis. era il nono e ultimo figlio di Francesco Felice Domenico (+ 10 marzo 1785); infeudato di Zumaglia (1757, 5 aprile); investito (13 aprile) col comitato per maschi. Sposa (25 novembre 1749) Rosa Caterina, del conte Biagio Imperiale Crotti di Costigliole (+ Saluzzo, 18 luglio 1784).

Del cavaliere di Zumaglia si ricordano le due sorelle educande, Rosa Carlotta Maria in Santa Chiara e Teresa Angelica Cecilia educanda alla Visitazione. I Pollotti proprio con il padre Francesco Felice Domenico erano stati infeudati e investiti di Zumagli, non da molto tempo. Ma la loro posizione era favorita poiché il padre aveva sposato Caterina, del conte Biagio Crotti di Costiglione, una famiglia di antichissima nobiltà feudale. Il matrimonio del cavaliere con Luisa Mestiatis di Graglia era un ulteriore passo avanti, i Mestiatis avevano una origine antica e sembra che in Torino seppellissero in San Domenico. La dote era adeguata e contessa Mestiatis ereditò dal cavaliere morto solo a 29 anni il feudo di Zumaglia.








Graglia e il castello che non esisteva più quando i Mestiatis furono investiti del feudo





Graglia, il castello distrutto nel XVI secolo

Nel 1243 il legato pontificio, cede Graglia al Comune di Vercelli. Entrerà poi sotto il controllo dei Savoia che ne investirono gli Avogadro di Cerrione che fortificheranno ulteriormente il castello. Negli anni 1540-1546 i soldati imperiali spagnoli distruggono il castello, ne rimane solo una torre gravemente danneggiata. I resti del castello furono acquistati dalla Confraternita di Santa Croce che nel 1639 diede inizio ai lavori di edificazione della chiesa. Nel 1712 dopo la vendita del marchesato, diventò conte di Graglia, Ignazio Gabutti di Ivrea e poi per testamento passa al nipote Giacomo Tommaso Ignazio Mestiatis. Con l'arrivo di Napoleone Bonaparte, dall'aprile 1801 Graglia diventa Capo di Mandamento con tribunale e Ufficio del Precettore Mandamentale.






Il brich o castello di Zumaglia





F Ceragioli - Opera propria -Il castello di Zumaglia (BI) - attribuzione : CC BY-SA 3.0

Il castello di Zumaglia

IIl Castello di Zumaglia oggi ricostruito in stile gotico, venne edificato nel 1291. Bombardamento nel 1556 delle truppe di Enrico II di Francia venne fortemente danneggiato.

Ricostruito in stile medioevaleggiante da Vittorio Buratti, un industriale che per i suoi meriti ottenne nel 1942 il titolo di conte di Malpenga, derivato dal nome di una famiglia che vantava diritti sul luogo dal XV secolo

Una causa durata diversi anni: l'eredità Zumaglia





La causa per l'eredità Zumaglia

La coppia Vittorio Gaetano e Teresa Mestiatis fu impegnata per diversi anni in una causa legale intentata loro dal conte Melano di Portula in quanto acquisitore dell'eredità Zumaglia, che presentò ricorso, in riferimento all'eredità Pollotti- Zumaglia. La Corte con Decreto dette ragione alla coppia indicata come il cavalier Giuseppe e la contessa Mestiatis Didier e si concluse in modi favorevole per loro. Si può vedere Collezione delle Sentenze e declaratorie, p 298 1 giugno 1822






Linea di Vittorio Amedeo Gaetano non porta il titolo di Conte della Motta





La linea nata da Vittorio Gaetano e dalla contessa Mestiatis signora di Zumaglia scaturirà dal secondo figlio di Vittorio Amedeo Francesco il Riformatore. Una linea cadetta, Vittorio Gaetano non sembra portare il titolo di conte, che a stretto diritto non gli spetterebbe, se facciamo capo al diritto di primogenitura tipicamente Sabaudo basato sulla successione del figlio primo nato. Porta solo il La Motta che diventa anche per lui della Motta cognomizzato. Suo figlio sarà cavaliere e verrà conosciuto fino all'estinzione della linea principale del conte Carlo Francesco Saverio semplicemente come il cavalier Gabriele.