Didier della Motta

 

 

 

 

 

 
 

Section Sixty-one

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61. Faccetta nera









 

I titolo comitale è saldamente tenuto da Antonio fino agli anni 40, e alla sua morte passa al cugino Dionigi.




 

Il titolo comitale con la morte di Antonio e l'estinzione del suo ramo passerà un po di sottobanco a Dionigi, che a quanto sembra non lo userà mai. Dionigi, era figlio di quel Giuseppe impiegato al ministero degli interni che già si diceva conte della Motta. E veramente per risolvere questa diatriba, se lo fosse stato o meno, ci vorrebbe ancora l'illustre professore Cansacchi che saprebbe dare risposta adeguata.

 





 

Dionigi





 

 





 
Dionigi Emanuele Giuseppe Angelino Claudio Gaudenzio




 
Dionigi Didier della Motta, nome completo : Dionigi Emanuele Gaudenzio Angelino, ultimo conte Didier della Motta.
Dionigi Cenni: biografici

conte della Motta IX DIONIGI (nato a Udine il 10 Luglio 1881, morto a Torino il 21 Ottobre 1963) senza discendenza. Sepoltura Rivalta di Torino, nella cappella. Quello che ne restava del patrimonio va disperso tra i parenti lontani. Nome completo: Dionigi Emanuele Giuseppe Angelino Claudio Gaudenzio
conte della Motta titolo ereditato dal cugino primo Antonio per estinzione di linea Per la XIV disposizione transitoria Finale Costituzione Repubblica Italiana I Titoli nobiliari non sono riconosciuti. Promulgazione 27 dicembre 1947 Dionigi è stato fino all'avvento della Repubblica Italiana nel 1947 l'ultimo conte Didier della Motta titolare riconosciuto e riconoscibile.
Sepoltura:
Dionigi venne sepolto a Rivalta di Torino.





 
Gabriele

 





 
Gabriele, detto Gabrielino

Gabriele, fratello maggiore di Dionigi, impiegato ferroviario è il presunto padre di Felice. Morì a soli 31 anni in Torino

 

 

 

Casale Monferrato, il reparto di soldati in tenuta da fatica al quale Gabrielino apparteneva, come sottufficiale, prima del congedo e di impigarsi nelle ferrovie.

 





 
Elena

 





 
Elena

Nata dal cavaliere Felice Didier della Motta, di professione impiegato ferroviario e da Margherita Vay, di professione sarta, la nobildonna Elena Erminia Maria lasciò il figlio naturale Felice ad una famiglia lontano da Torino dove viveva. Si sposerà in seguito il 16 aprile 1906 in Torino con Giuseppe Vacca, un onesto e rispettabile macellaio di Torino con cui ebbe una vita serena e dei figli affettuosi.

 

Il cavaliere Felice Gabriele




 
Felice Gabriele conosciuto come Felice

 

Un giovanissimo Felice Gabriele, padre di Elena, prima di sposarsi con Margherita Vay, di professione sarta e avere le figlie Giuseppina, Ida, Elena, e il figlio Bartolomeo Felice.

Il cavaliere Felice Gabriele Maria più noto come Felice(nato a Rivalta il 9 Giugno 1846) Impiegato Ferroviario. Sposa a Torino il 14 Settembre 1873 Margherita Vay (morta a Torino il 9 Luglio 1918) casalinga.

1 Giuseppina (nata a Torino il 4 Settembre 1873) sposa Canasso.

2 Bartolomeo Felice (nato a Torino il 1 aprile 1876)

3 Antoinette Ida Marie (nata a Modane l' 11 Ottobre 1878) sarta, sposa (Torino 19 Novembre 1901) Pietro Canali aggiustatore carrozzaio.

4 Elena (nata a Torino il 16 Giugno 1883; morta a Torino nel 1973) sposa Vacca, da cui vari figli. Ha in precedenza come figlio naturale nato da lei e Gabriele Didier della Motta, suo cugino primo, Felice Didier della Motta, per la cui discendenza vedi xii.
 

 

Opinione di Elena Erminia Maria sui Didier della Motta

 

Verso la fine della sua vita, negli anni 70' Elena espresse un giudizio abbastanza duro sui Didier della Motta, su quelli recenti che a lei erano stati contemporanei:

"sono piuttosto immaturi", disse, aggiunse che però suo padre era stata una persona buonissima.





 




 

 

L'importanza delle ferrovie


 
 

 

"E voi Didier chiedete un biglietto a prezzo ridotto, con tutto quello che avevate?" Scherzava un ferroviere parlando con Erminio figlio di Felice, e rammentando che il nonno di lui, anche esso ferroviere, aveva conosciuto Felice Gabriele, il bisnonno materno di Erminio, che era impiegato ferroviario. La nostalgia del passato, pur nel loro piccolo di proprietà terriere che avevano i Didier, doveva essere rimasta radicata in qualcuno di loro.
Scopriamo che quelli di Rivalta di Torino amavano parlare di un passato di una certa opulenza fatto di scuderie con buoni cavalli (cosa che sarà testimonierà un uomo il cui bisnonno era impiegato nella scuderia della casa).
Ma le ferrovie furono un mezzo per Felice Gabriele, nonno di Felce, e per Gabriele Junior o Gabrielino, di campare.
Essere impiegati ferroviari era una distinzione, chiunque all'epoca lo poteva testimoniare, a meno di non essere i macchinisti delle Torino Cuneo, dove i treni col il loro fumo nelle fermate delle gallerie ti asfissiavano e annerivano tutto.

Felice Gabriele era impiegato ferroviario e lavorava a Modane nel 1878, quando nacque la sua seconda figlia Ida. Lui e la sua consorte, Margherita Vay che morì a luglio del 1918 si trovavano in quella città di frontiera tra Francia e Italia. Felice Gabriele, che era descritto sempre come un uomo buonissimo e fin troppo generoso per quanto concerneva il suo salario, nell'aiutare gli altri, era impegnato. Il traforo del Frejus era stato aperto da pochi anni, nel 1871 e che vide passare il treno denominato "Valigia delle Indie" da Londra a Brindisi. Era il più lungo tunnel ferroviario del mondo, fino al 1882, all'apertura del San Gottardo. Già nel 1872 nella galleria si erano aperte delle fenditure e il traffico dovette essere ridotto ad un binario per sistemare le impalcature e procedere alle riparazioni

Le Tariffe ferroviarie pativano il protezionismo dei singoli Stati, come si vede da una relazione sulle linee ferroviarie del Regno d'Italia:

"Eguale la condizione della linea Genova - Modane per la Svizzera , venendo in appresso il tratto Modane - Ginevra che si trova nelle mani della P. L. M. , la quale innalzando sovra esso le sue tasse per un mezzo sicuro di favorire la sua linea Marsiglia - Ginevra benché più lunga di 43 chilometri il traffico nostro tiene. Ecco perché nel trattato austro - italiano si cercò tanto di ottenere l'adozione della clausola enunciata. Ma se ne sperano benefici che forse mancheranno ; veggasi in fatti che cosa avvenne per la linea Genova - Modane. Conseguíta nel 1875 la riduzione alla metà della sovra tassa imposta sul traffico da Modane a Saint. Jean de Maurienne, riuscimmo nel 1878 alla creazione del servizio italo - franco - svizzero con tariffe in generale più tenui di quelle Marsiglia - Ginevra . Che giovò ? La P. L. M.creava poco dopo su questa linea un'apposita tariffa ancor più ridotta . Non basta adunque d'impedire sulla linea in prolungamento un rialzo a nostro danno; quando la linea concorrente ci può vincere con un ribasso , la clausola in esame diventa illusoria."

 

 

Immagine rielaborata tratta da una stampa originale - La galleria del Frejus Imbocco a Nord, Modane - 1871 - antica stampa vintage - incisione arte foto stampe di France Mountains - The Illustrated London News Marca: Antiqua Print Gallery . Fonte: https://www.ebay.ie/itm/232751656265?hash=item3631146d49:g:EkEAAOSwBptenzjo

 

 

 

 

Operai che lavorano al tunnel ferroviario sotto il Monte Cenisio nelle Alpi.

 

 

L'illustrazione sopra rielaborata da un'incisione dell'epoca mostra degli operai che perforano durante la costruzione del tunnel del Moncenisio o del tunnel ferroviario del Fréjus attraverso le Alpi tra Francia e Italia – la galleria è stata aperta al traffico ferroviario nel 1871. L'illustrazione è tratta da un libro del 1880. Il tunnel collega Roma e Parigi, passando per Torino e Chambéry. La costruzione, guidata da Germain Sommeiller, è stata completata in soli 14 anni con innovazioni tecniche come la perforazione pneumatica e l'accensione elettrica di cariche esplosive, come mostrato qui dove i trapani sono fori per esplosivi nitro-glicerina. L'uso della dinamite ha accelerato il completamento. Avevano un "apparato speciale per l'uso della forza dell'aria compressa nella trivellazione" introdotto nel 1861. La ferrovia del passo del Monceniso funzionò dal 1868 al 1871 durante la costruzione.

 

 

Operai al lavoro con una perforatrice di rocce al tunnel del Mont Cenisio - Fonte: https://www.alterpresse68.info/wp-content/uploads/2020/07/Tunnel2.jpg

 

 

 

 

La Mont Cenis Pass Railway


 

Immagine rielaborata da:Picture of "Fell" system train, used between 1868 and 1871 - Unknown author - Internetseite für die Bestellung eines englischsprachigen Buches über Zitat: Mont Cenis Railway, the World's first mountain railway - a major European engineering achievement.- original created Created: between 1868 and 1871 date - CC BY-SA 3.0

 

 

Mont Cenis Pass Railway

Una società britannica era stata fondata nel 1864 da un certo numero di appaltatori, Thomas Brassey, Fell, James Brunlees e Alexander Brogden erano gli investitori e ingegneri britannici che ottennero il permesso dai due governi di costruire la ferrovia. Nel 1866 fondarono la Compagnia Ferroviaria del Moncenisio per la costruzione e la gestione della ferrovia. Sebbene alla fine sarebbe stato sostituita dal tunnel, credevano che, durante la sua vita, il costo del passaggio ferroviario sarebbe stato loro ripagato con un profitto. L'azienda utilizzava macchinisti e operai britannici.



Per approfondire vedi:
https://en.wikipedia.org/wiki/Mont_Cenis_Pass_Railway

 

 

La Mont Cenis Pass Railway: classi di locomotive e qualcosa sull'operatività di questa compagnia prettamente britannica


 
 

 

Locomotive
Fell aveva intenzione di avere due classi di locomotive: una per trainare carichi pesanti lentamente su pendii ripidi da Lanslebourg e Susa e una per correre più velocemente su sezioni di facile pendenza tra Lanslebourg e St Michel. Venne ignorato dai suoi co-soci. A. Alexander venne stato nominato ingegnere di locomotiva e la Canada Works di Brassey venne chiamata per costruire le locomotive. Dopo averne costruito una, i direttori scoprirono che la legge francese vietava l'importazione di macchinari stranieri soggetti a brevetto francese. Fell aveva ottenuto almeno un brevetto francese. In questa fase avanzata i produttori francesi più rinomati erano occupati, quindi usarono la Ernest Goüin et Cie. di Parigi anche se Alexander aveva riferito di loro in modo sfavorevole. Le locomotive avrebbero dovuto essere consegnate ad agosto, febbraio, marzo e aprile 1867. Le locomotive furono progettate da Alexander e i suoi progetti furono approvati dal consiglio. Il materiale rotabile venne costruito dalla Chevalier, Cheilus & Cie di Parigi.
Settembre 1867 Regolatori francesi e italiani

La compagnia chiese alle autorità di regolamentazione francese e italiana di venire a un test il 20 settembre, in vista dell'apertura del trasporto merci il prima possibile e dell'apertura ai passeggeri in ottobre. Erano ottimisti. Tuttavia, più tardi, a settembre, ebbero un test privato di successo utilizzando la locomotiva n. 3, la prima di Goüin. In ottobre, Brassey era in tournée per i suoi contratti. Il 12 arrivò al Moncenisio aspettandosi un test riuscito. Era una giornata fredda e umida. Il test era stato un disastro. Non solo la n. 3, ma altre due locomotive si erano guastate nel tentativo di completare la prova. Brassey dovette stare al freddo e all'umidità, in attesa di motori sostitutivi. Secondo Helps, il suo biografo, questo fatto portò Brassey alla morte.

Nuove locomotive

Nell'agosto 1868 Crampton andò al Moncenisio per ottenere l'approvazione di Barnes su un nuovo progetto di locomotiva. A metà novembre quattro motori furono ordinati da Cail et Cie, un produttore che aveva costruito motori progettati da Crampton per le principali compagnie francesi negli anni '50 dell'Ottocento. Dovevano essere "assunti secondo il principio dell'acquisto differito", come afferma la relazione degli amministratori.


Nel 1869, le entrate settimanali aumentarono abbastanza costantemente da £ 700 a £ 1700 prima di scendere a £ 1000 durante l'inverno. Edward Whymper usò la ferrovia nel 1869 e descrive il viaggio nel suo libro Scrambles between the Alps. Il 15 ottobre era stata effettuata una consegna di prova della posta indiana. Arrivò a Susa con 67 minuti di ritardo ma l'MCR ne ha recuperati 57. Ben presto divenne un servizio regolare.

Le velocità medie dei treni erano: St Michel e Lanslebourg: 13,2 mph in entrambe le direzioni;
Lanslebourg e La Frontière 7,9 mph verso l'alto e 10,6 verso il basso;
La Frontière e Susa 10,6 mph verso il basso e 6,6 verso l'alto.


Le locomotive Cail arrivarono nell'inverno 1869/70. Questo consentì loro di far circolare regolarmente i treni merci. Il traffico includeva carbone e materiali per l'imbocco della galleria di Bardonècchia. Nell'AGM del 10 febbraio 1870 il consiglio non fu in grado di promettere nel 1870 di pagare interessi a obbligazionisti o azionisti poiché il traffico era ancora al di sotto delle aspettative.

Nel luglio 1870 ci fu una petizione per sciogliere la società e JA Longridge fu nominato liquidatore provvisorio. La ferrovia continuò a funzionare ma il commercio era stato ostacolato dalla guerra franco-prussiana e dalla rivoluzione di settembre. Parigi era una delle principali fonti di traffico e l'assedio di Parigi ridusse il traffico di due terzi.

Il traforo del tunnel avvenne il giorno di Natale del 1870. Il primo treno attraversò il tunnel il 16 settembre 1871. Il servizio del tunnel iniziò il 16 ottobre 1871 e il servizio MCR terminò il giorno precedente. L'MCR iniziò a funzionare in perdita nel 1871. Fecero domanda al governo italiano per un sussidio ma questi gli venne rifiutato. Allo stesso tempo non poterono interrompere il servizio a causa del contratto di concessione.

Per approfondire vedi:
https://en.wikipedia.org/wiki/Mont_Cenis_Pass_Railway

 

 

La Valigia delle Indie, una opportunità sfumata per l'Italia che mostrerà la sua inadeguatezza.


 

Composizione rappresentante il treno Valigia delle Indie in primo piano e in secondo piano dello scalo dei passeggeri nel porto di Brindisi per imbarcarsi sui piroscafi - da due foto d'epoca rielaborate.- Fonte: https://www.wikidata.org/wiki/Q4007973#/media/File:Locomotiva_RA_1877.jpg created betwen 1885 -1905 +
https://www.senzacolonnenews.it/wp-content/2019/03/valigia-delle-indie-alla-stazione-marittima-653x367.jpg

 

 

Il primo volta viaggio attraverso la penisola della Valigia delle Indie avvenne 25 ottobre del 1870 e l'imbarco era Brindisi sul piroscafo Delta della P&O.
La Valigia proseguiva per il porto di Alessandria e non per il canale di Suez inaugurato l'anno prima. Da Alessandria per ferrovia passeggeri, posta e merci venivano trasportati sino a Suez, dove continuavano il viaggio attraverso il Mar Rosso sino a raggiungere Bombay.
Partendo da Londra in 44 ore si attraversava via terra l'Europa centrale; da Brindisi la partenza dal porto era alle ore 14 di ogni domenica con arrivo ad Alessandria, quindi Suez, Aden e Bombay.
Il viaggio durava 22 giorni contro i 25 impiegati via Marsiglia.
I passeggeri che vi transitarono negli anni furono oltre le 10-12.000 unita'.
Inaugurato il traforo del Moncenisio il percorso da Londra all'India si ridusse e la P&O stipulò con il governo italiano (1872) una lunga serie di convenzioni postali che per anni registrò un costante aumento del traffico di merci, di posta e di passeggeri.
Il forte volume di passeggeri e traffico col tempo mostrò la totale inadeguatezza delle strutture portuali di Brindisi, al quale problema nessuno volle porre rimedio.
L'amministrazione scaricava al Governo di Roma la causa di tutto, e il Governo faceva il sordo. La Valigia con i suoi sette giorni di servizio non era l'unica compagnia che transitava per quel porto, vi erano altre e tutte a livello internazionale.
Stanco di sopportare questo sottosviluppo di strutture e la scarsa imprenditorialità delle parti in causa, il governo Britannico si indirizzò sul ben più attivo e dinamico porto di Marsiglia.

 

 

Pubblicità, probabilmente del 1890 (coll. Juergen Klein) - Fonte: https://www.trains-worldexpresses.com/webships/400/402.htm

 

 

Terminati i lavori della tratta Adriatica, da Ancona a Brindisi, il tragitto della Valigia si prolungò fino al porto pugliese e grazie l’apertura del canale di Suez la parte di viaggio in mare veniva ridotta notevolmente. Il viaggio durava complessivamente 22 giorni. Il 25 ottobre 1870 il percorso venne inaugurato, e nel 1914 cessò con l'ultimo treno che lo fece, alla vigilia dello scoppio della I Guerra Mondiale. La “Valigia delle Indie”, o “Peninsular Express”, era in partenza dalla stazione di Londra tutti i Venerdì alle ore 21 e dopo 44/45 ore di viaggio arrivava a Brindisi. Dopo Londra, il convoglio transitava per Calais, Parigi. Un apposito treno, dal 1871, valicava il Colle del Moncenisio da Saint Jeanne de Maurienne a Susa, transitando su una ferrovia a cremagliera (sistema Fell), Modane, (il 5 gennaio 1872 in Peninsular Express attraversò per la prima volta il traforo del Frejus) ed entrando in Italia via Torino, Piacenza, Bologna, Ancona, Castellammare, Foggia. A Brindisi i passeggeri erano attesi dai piroscafi della P&O “Peninsular and Oriental Steam Navigation Company” sui quali si imbarcavano. Questo tragitto in Italia comportò lo sviluppo per le città di scambio della linea. La “Valigia delle Indie” era spinto da un locomotore a vapore FS 552 che apparteneva alla Società delle Ferrovie Adriatiche, a cui si aggiungevano due bagagliai, una carrozza ristorante e due carrozze letto della CIWL Compagnie Internationale des Wagons-Lits. Alcuni storici sostengono il nome “Valigia delle Indie” si rifaceva a un tipico contenitore cilindrico in cuoio, sempre ben chiuso con il lucchetto, usato dai viaggiatori per trasportare quanto necessario durante il viaggio.

 

 

 

 

 




 

 





 
Dionigi: il fratello Angelino muore a pochi mesi e il fratello Gabriele muore a 31 anni celibe




 

Dionigi era l'unico sopravvissuto di questo ramo della famiglia, essendo morto celibe il fratello primogenito Gabriele, impiegato ferroviario.

 

Dionigi a quanto ci è dato sapere era piuttosto schivo e diffidente con il parenti e vivrà sempre piuttosto isolato. Del resto della famiglia non ne vorrà sapere niente. Nella sua ultima abitazione lo troviamo solo con i ricordi di quella che era stata la famiglia dei Didier della Motta. Casse di oggetti vari raccolti e frutto dell'eredità del passato.

Sui suoi biglietti da visita fa stampare con il nome senza titoli o attributi solo una corona da conte. E sulla sua tomba a Rivalta di Torino non ci sarà alcun titolo di dignità nobiliare.





 
Dionigi: la sua ultima abitazione in via San Quintino 55 a Torino




 

 

Fonte: google street view

L'alloggio in Via San Quintino 55

 

In una abitazione posta in via San Quintino 55 Dionigi trascorse gli ultimi anni della sua vita. L'appartamento era ampio e in esso Dionigi vi ripose in casse, tutta una serie di oggetti appartenuti ai Didier della Motta. Erano i relitti di una famiglia che in due secoli era passata dalla Corte all'anonimato, per poi estinguersi in modo dignitoso o meno. L'alloggio era stato preso in affitto certamente durante la guerra o all'inizio del dopoguerra.

 

 





 
La fine della Prima Guerra Mondiale: l'Italia vittoriosa segue la stessa sorte dei paesi sconfitti




 

La fine della prima guerra mondiale vede l'Italia allineata tra i vincitori, sarà l'unico paese che subirà una sorte simile a quella degli sconfitti, dove si imporrà la dittatura.

 

Sin da subito emergono gli USA come potenza, a loro si deve se l'Europa non muore di fame. Il presidente Woodrow Wilson, un uomo di grandi principi, che dal lato pratico saranno disattesi, è l'unico vero padrone del campo. E da allora l'influenza degli USA in Europa e nel resto del mondo sarà incontestabile. E' la fine della vecchia Europa e l'inizio della sudditanza dell'Europa agli USA, un dominio che ha garantito in Europa per la prima volta da secoli pace e prosperità.

 





 
Un'Italia uscita a pezzi che manca di tutto. Gli alleati la riforniscono




 

Il clima dell'epoca non era dei migliori, l'Italia era uscita a pezzi dal conflitto e delusa nelle aspettative. L'influenza sperata e pretesa sui Balcani era svanita a favore della Jugoslavia e questo scatenerà un feroce nazionalismo da parte degli italiani che vorranno sempre vendicarsi verso gli slavi del sud. Per un ventennio andranno avanti nelle zone sotto loro controllo con bastonate e soprusi, fino a che l'esercito Titino pseudo comunista non si vendicherà a sua volta sterminando degli innocenti abitanti.

 

Alla fine del conflitto l'Italia è a pezzi, manca di tutto e gli alleati l'hanno rifornita di tutto, dal carbone per non gelare alle scatolette di carne. Come dopo Caporetto erano arrivate molte divisione alleate a salvare il paese, adesso arrivano rifornimenti di ogni genere. L'Italia avrebbe dovuto ricordarselo, non ci sono le risorse, non può essere mai una potenza come le Grandi Potenze. Sono altri i pregi del Bel Paese, e molti.

 

Questa penuria di ogni mezzo avrebbe dovuto essere ben presente in chi governa, e pensare a tenere l'Italia fuori da ogni conflitto. Ma di diverso avviso saranno poi il re e il compagno Mussolini, come lo chiamerà il poeta Gabriele D'Annuzio.

 





 
Falso patriottismo e falso nazionalismo alla base dell'unità d'Italia. Un Mix esplosivo d'irrealismo.




 

C'è sempre stato dall'unità sull'Italia un aleggiare di falso patriottismo e un forte nazionalismo anche di tipo etnico che ha voluto e ancora vuole sopravvalutare gli italiani. Lo slogan tipico è "Prima gli italiani" e non già "prima l'Italia" intesa come Repubblica. Se potenza non lo sei perché mancano le risorse, è meglio rendersi conto dei propri limiti, essere politicamente realistici, e coltivare la Democrazia, non disprezzarla o sminuirla con rigurgiti vecchio stile.

 





 
Il pensiero di Benito Mussolini, denigrare le democrazie. Alla prova dei fatti però è crollato (per ben due volte) facendo seppellire di bombe e di morti l'Italia




 

Così non la pensava il Duce, Benito Mussolini,
e molti italiani come lui. La dittatura che ne scaturirà, quella del Duce, era sbagliata e le potenze Democratiche che tanto disprezzava l'hanno sepolta di bombe. Che si sono prese le città e il popolo Italiano.





 

 

Discorso del 27 Ottobre 1922.
Proclama della Marcia su Roma
 

Fascisti di tutta Italia! L'ora della battaglia decisiva è suonata. Quattro anni fa, l'esercito nazionale scatenò di questi giorni la suprema offensiva che lo condusse alla vittoria: oggi, l'esercito delle camicie nere riafferma la vittoria mutilata e puntando disperatamente su Roma la riconduce alla gloria del Campidoglio. Da oggi principe e triari sono mobilitati. La legge marziale del fascismo entra in pieno vigore. Dietro ordine del Duce i poteri militari, politici e amministrativi della direzione del partito vengono riassunti da un quadrumvirato segreto d'azione, con mandato dittatoriale. L'esercito, riserva e salvaguardia suprema della nazione, non deve partecipare alla lotta, il fascismo rinnova la sua altissima ammirazione all'esercito di Vittorio Veneto. Ne contro gli agenti della forza pubblica marcia il fascismo, ma contro una classe politica di imbelli e di deficienti che da quattro anni non ha saputo dare un governo alla nazione. Le classi che compongono la borghesia produttrice sappiano che il fascismo vuole imporre una disciplina sola alla nazione e aiutare tutte le forze che ne aumentino l'espansione economica ed il benessere. Le genti del lavoro, quelle dei campi e delle officine, quelle dei trasporti e dell'impiego, nulla hanno da temere dal potere fascista. Saremo generosi con gli avversari inermi; saremo inesorabili con gli altri. Il fascismo snuda la sua spada lucente per tagliare i troppi nodi di Gordio che irretiscono e intristiscono la vita italiana. Chiamiamo Iddio sommo e lo spirito dei nostri cinquecentomila morti a testimoni che un solo impulso ci spinge, una sola volontà ci accoglie, una passione sola c'infiamma: contribuire alla salvezza ed alla grandezza della patria. Fascisti di tutta Italia! Tendete romanamente gli spiriti e le forze. Bisogna vincere. Vinceremo! Viva l'Italia! Viva il fascismo! ."

Proclama Marcia su Roma

 





 




 




 
 

 

 





 
La proclamazione dello stato fascista




 

 

Foto: Age Fotostock / World History Archive / Ann Ronan Collection - Fonte: https://www.storicang.it/a/marcia-su-roma-benito-mussolini-prende-il-potere_15338

Presa di potere del fascismo

 

L'Italia tocca il suo punto più basso, o più alto secondo le opinioni e le differenti ideologie. Ma cadrà ancora più in basso con la guerra di Etiopia, l'intervento in Libia e sopra ogni cosa l'entrata in guerra nella 2a guerra mondiale.

Il regime, insieme a interessanti eventi culturali, al tentativo di rilancio dell'economia, alla bonifica Pontina, al rilancio del cinema d'intrattenimento e a una politica sociale più concreta, cercherà nel ventennio fascista e spesso lo otterrà, il consenso del popolo. Varie personalità prima delle guerre aggressive loderanno Mussolini. Il regime cercherà anche di formare i giovani censurando tutto quello che non gradiva. Ma saranno proprio i giovani quelli che con l'armistizio del 1943 si ribelleranno e combatteranno, molti almeno, nella resistenza.

Il ricordo del Duce era ancora vivo in una parte del popolo che ne motivava la caduta con "Mussolini è stato tradito".

 





 

 
























 























 
 

Section Sixty-two

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62. Estinzione di una specie







Saving Private Ryan - 1998 - Fonte: https://www.empireonline.com/movies/features/saving-private-ryan-classic-feature/

 




 
Seconda guerra Mondiale, l'Italia alleata con i nazisti, i peggiori criminali della storia.




 

Siamo ormai negli anni 1939- 40 con lo scoppio della II guerra mondiale fomentato dalle potenze dell'Asse.

 

L'Italia entra in guerra per volere del Duce e la tacita condiscendenza del re. Il paese è poverissimo e militarmente allo catafascio.
I nostri militari viaggiano a piedi perché i camion sono pochi, e hanno tankette come carri armati. Non c'è nessun sviluppo tecnologico nei mezzi militari. E' uno scenario da operetta a cui i nostri soldati cercano di rimediare con il coraggio.
I signori ufficiali godono i privilegi della prima guerra mondiale. Vestono belle uniformi giusto per far piacere ai cecchini nemici e si guardano bene dal pranzare con il rancio della truppa.

 

La prima guerra mondiale, l'intervento in Spagna e la guerra d'Etiopia non hanno insegnato niente

 

Per Mussolini però l'importante è esserci, la sua visione è quella del coraggio e moschetto non è importante la tecnologia.

 

Benito Mussolini, il Duce e l'alleanza dell'Italia con il peggior regime criminale della storia


 

mezzobusto di Benito Mussolini - recolored - Pubblico dominio

Benito Mussolini

Benito Amilcare Andrea Mussolini noto come il Duce nacque a Dovia di Predappio il 29 luglio 1883 e morì a Giulino il 28 aprile 1945. Politico, militare e giornalista italiano, fondò il movimento fascista. Presidente del Consiglio del Regno d'Italia dal 31 ottobre 1922 al 25 luglio 1943. Assunse poteri dittatoriali nel 1925 e l'anno stesso acquisì il titolo di capo del governo primo ministro segretario di Stato. "Fondatore dell'Impero" e Duce, assunse questi titoli dopo la guerra d'Etiopia, diventando Primo Maresciallo dell'Impero il 30 marzo 1938. A seguito della disastrosa disfatta dell'esercito Italiano e della conseguente invasione delle truppe Alleate nell'Italia meridionale venne arrestato per ordine del re Vittorio Emanuela III e dichiarato decaduto dal Gran Consiglio fascista, liberato dalle truppe naziste fu capo della Repubblica Sociale Italiana dal settembre 1943 al 27 aprile 1945, stato fantoccio sotto il controllo nazista.
Stipulati i Patti Lateranensi con la Santa Sede l'11 febbraio 1929, dimostrando una capacità trasformista, in politica coloniale portò a termine la riconquista della Libia (1922-1932) Aggredì l'Etiopia tra il 1935-1936 violando il diritto internazionale e per questo L'Italia venne sanzionata economicamente da parte della Società delle Nazioni. Finanziò e sostenne i movimenti fascisti all'estero, appoggiò militarmente i franchisti nella guerra civile spagnola del 1936. Attratto nell'orbita della Germania nazionalsocialista di Adolf Hitler, stabilì con questi l'Asse Roma-Berlino del 1936 e nel 1939 firmò il Patto d'Acciaio. L'anno stesso approvò le leggi razziali. Considerando sicura la vittoria della Germania e sottovalutando le reazioni degli Alleati nel 1940, ma le conseguenze disastrose della guerra e il successivo sbarco in Sicilia delle forze Alleate portarono al suo arresto e alla sua prigionia a campo Imperatore. Liberato dai tedeschi che non trovarono reazione nelle forze Italiane, e ormai in balia delle decisioni di Hitler, costituì nell'Italia settentrionale la Repubblica Sociale Italiana. Sconfitte le forze italo-tedesche, la sera del 25 aprile 1945 lasciò Milano dopo aver invano cercato di trattare la resa. Catturato il 25 aprile dai partigiani a Dongo, sul lago di Como e fucilato il giorno seguente con l'amante Claretta Petacci.

 

10 giugno 1940 il Duce Benito Mussolini dal balcone di Palazzo Venezia in Roma parla al popolo Italiano rendendo nota la dichiarazione di guerra a Francia e Inghilterra


 

Mussolini e la dichiarazione di guerra 10 Giugno 1940 - Description English: Italian leader Benito Mussolini delivering his war declaration from the Palazzo Venezia balcony in Rome, Italy, on June 10th, 1940. Date 10 June 1940 Source ilgiornale.it Author Unknown author - The country of origin of this photograph is Italy. It is in the public domain there because its copyright term has expired

Scendiamo in campo. Il Duce dichiara guerra

 

 

 

Le parole di Franklin Delano Roosevelt, presidente degli Stati Uniti D'America sulla dichiarazione di guerra del duce Benito Mussolini


 

Il presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt definì l’attacco italiano alla Francia, noto come “battaglia delle Alpi Occidentali”, una pugnalata nella schiena: “Oggi, 10 giugno 1940, la mano che teneva il pugnale lo ha calato nella schiena del vicino. Oggi 10 giugno 1940, noi inviamo al di là dei mari a coloro che continuano con un magnifico coraggio la lotta per la libertà i nostri voti e le nostre preghiere.“

 

La parola d'ordine è: Vincere!


 

Fonte: https://cultura.biografieonline.it/italia-seconda-guerra-mondiale/11_1940-06-11-ed-mat-italia-entra-in-seconda-guerra-mondiale_672-458_resize/

 

 

Gli storici non finiranno mai di spiegarci che la dichiarazione di guerra del Duce fu una baggianata bella e buona. Dopo un saggio periodo di neutralità, con un voltafaccia improvviso e pur essendo a conoscenza dell'impreparazione militare Italiana, Mussolini tenta l'azzardo della dichiarazione di guerra a Francia e Inghilterra. Pensava a una guerra breve, non si sa su quali basi, e che la superiorità Tedesca fosse un deterrente per far finire presto la guerra.

 

 

Una guerra fascista presentata come lotta dei poveri contro gli affamatori


 

Fonte:https://twitter.com/IveserVenezia/status/1138053504558424065/photo/1

Guerra fascista

 

Guerra fascista, ma neanche tanto. Diversi personaggi intorno al fascismo erano contrari alla guerra e anche per Mussolini non dovette essere una decisione semplice. Ma la sua scelta venne dettata dalla volontà tutta fascista di fare contare l'Italia di più, di darle un posto al sole come definitiva potenza. E si cimentò pur conoscendo l'assoluta impreparazione e la mancanza di risorse in quella che sembrava una breve avventura, contando sul forte successo dell'alleato nazista.

Ma quanto aveva ragione il Duce nel dire che era una guerra contro i poveri e gli affamatori? Affamatore il governo di Winston Churchill lo era stato, basti pensare a quanti morti per fame in India per le sue politiche, un numero da fare concorrenza a quello di Stalin in Ucraina. E gli USA, durante la crisi del 1928 alla lontana tallonavano, ma era un risultato interno, un problema locale, vedi ad esempio gli affamati di Furore, il film è stato girato nel 1940 quando non si sapeva ancora dell'esistenza dei campi di lavoro dei nazisti Germania.

 

 

Furore-The Grapes of Wrath.-1940- Regia di John Ford. - con Hery Fonda - Fonte:https://hotcorn-cdn.s3.amazonaws.com/wp-content/uploads/sites/2/2018/11/21152144/furore-6.jpg

 

 

 

 

La bellissima tecnologia Tedesca, con alleati simili non si può perdere. (Stesso errore commesso dall'Austria nel primo conflitto mondiale).


 

8,8 cm Flugabwehrkanone (FlaK) 37 L/56 on display at the Deutsches Panzermuseum Munster, Germany.

photo taken by baku13 - autorizzazione GFDL,cc-by-sa-2.1-jp - Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/8,8_cm_FlaK#/media/File:FLAK36-37L56.jpg

 

 

Con queste armi, quelle dei Tedeschi, l'Italia era convinta di vincere la guerra, non era solo e soltanto colpa di Mussolini, era un pensiero diffuso in ambiente militare, negli alti comandi del Regio esercito, che evidentemente sopravvalutavano la Germania di Hitler. E poi che potevano fare le così dette Democrazie? Il vantaggio era troppo sbilanciato a favore della Germania. Vai a fidarti dell'alleato!

 

 

8,8 cm FlaK montato su traino per il trasporto esposto al museo della Battaglia di El Alamein (Egitto)

Cotton - Opera personale - Autorizzazione: CC BY-SA 3.0 - Fonte: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/a/ab/El_Alamein2.jpg

Erano pezzi davvero stupendi e una tecnologia che fin anche nelle ultime fasi della guerra la Germania riuscì a sfoderare. Ma due fronti erano troppi e le risorse mancavano, per fortuna, a questo si aggiunga l'incredibile sforzo bellico della Russia che da sola dette un contributo notevole alla disfatta Tedesca.
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Semovente da 75/18 - 1941. Era Italiano e sembra si comportò bene in Africa.

Venne prodotto in più di 200 esemplari ed era già un grande sforzo produttivo per l'Italia di allora. I gruppi semoventi delle Divisioni Corazzate e alcuni gruppi squadroni di cavalleria lo ottennero come equipaggiamento. Durante la campagna dell'Africa Settentrionale operò principalmente come cacciacarri causando più di un grattacapo agli alleati. Tuttavia era un obice che avrebbe fatto impressione nel 39-40, mentre nel 41-42 i Tedeschi avevano già in cantiere di meglio. Non è comunque da disprezzarsi.

 

La paura di restare a bocca asciutta con la conseguente figuraccia, è quella che innesca la guerra fascista



 

D'altra parte le bellissime artiglierie tedesche e tutta la tecnologia della Germania alleata dell'Italia fascista sono usate per combattere gli stessi nemici. Si comincia con aggredire la Francia ma già sulle Alpi ci sono difficoltà risolte perché la Francia è distrutta dai Tedeschi. Si va avanti in Africa perdendo l'Etiopia e tutto quello che si poteva perdere. Per terra e per mare si perde. Vista l'aggressione alla Russia, l'Italia fascista va dietro ai nazisti, ma ci mette del suo. Non abbiamo spezzato le reni alla Grecia, era uno scenario difficile, la Grecia ha spezzato le reni all'Italia salvata in estremis dalla Germania. E così via.

 

Il Patto d'Acciaio, alleanza con il Giappone militarista ma assolutamente non fascista


 

Che poi allearsi ai Giapponesi, come disse Mussolini a giustificazione, sia stato un onore, è indubitabile, quando non si vogliono considerare le ragioni. Tutti potevano immaginare dato l'impreparazione e la mancanza di tecnologia nonché di risorse dell'esercito Italiano, come sarebbe finita ma nessuno poteva immaginare che sarebbe finita così.

 

Sicuramente i capi dell'Italia fascista con il re a traino non dovevano avere molto giudizio per dichiarare guerra al mondo intero solo per imitare i Tedeschi.





 
Il ruolo dell'Unione Sovietica.




 

Stalin, che aveva finito per credere che il comunismo fosse un tutto unico con la Russia e la sua sicurezza, aveva compreso sin dagli anni 1930 che la guerra era alle porte. L'atmosfera di quel periodo era pesante anche asfissiante, si attendeva l'aggressione della Germania nazista da un attimo all'altro. Ma Stalin aveva purgato l'esercito e la Russia non aveva armi adeguate per sostenere un assalto nazista. Invano Stalin aveva cercato una solida alleanza con l'Occidente. Era considerato il diavolo e la sua politica totalitarista e crudele non era digeribile dalle forze democratiche. I piani per un'alleanza fallirono anche per l'assoluta avversione della Polonia, che preferiva i nazisti ai Comunisti. Da questo il cinico rovesciamento degli interessi di Stalin e il patto Ribbentrof con il nemico nazista. Questo permise a Stalin di guadagnare tempo e spostare in avanti la linea della possibile invasione nazista. Fu un patto che costò molto a Stalin, i comunisti del mondo non lo digerirono, adesso venivano equiparati ai nazisti, ma mentre nessuno imprigionava i nazisti, i comunisti continuavano a finire in carcere.

 

Che cosa pensava Felice dell'entrata in guerra dell'Italia con dichiarazione di guerra alla Francia e all'Inghilterra


 

" Il Duce dichiara guerra alla Francia, ma se è già mezza andata. Io volevo fare la guerra ma contro i Tedeschi, alle liste di leva non mi hanno preso perché mia madre non ha voluto. Poi la guerra adesso la fanno con i Tedeschi. Tira una brutta aria."

 

Aggressione alla Russia, quando gli aggressori eravamo noi. E siamo alla quarta, la prima era per Fiume nella I guerra mondiale, la seconda alla Francia la terza alla Grecia.

 

Fallito lo spregevole attacco alla Russia, e prima ancora riuscito per l'Italia l'ancora più spregevole attacco alla Francia, la nazione che aveva visto morire i suoi soldati per noi nei nostri campi di battaglia ai tempi della 2 guerra d'Indipendenza e nella 1 guerra mondiale, non c'era che da prendere atto che tutta la propaganda dell'epoca fascista sembrava da operetta.

Seppure il fascismo aveva sviluppato delle riforme in ambito civile, e negli anni 30' avesse avuto un certo successo, come la Germania nazista, nel fronteggiare la crisi economica, tanto che si era guadagnato una buona considerazione Internazionale (a Londra Mussolini era considerato uno statista) ma le glorie erano svanite presto, e così all'inizio del conflitto l'esercito non era adeguatamente preparato per affrontare una qualunque guerra.

Si doveva ricorre all'umiliazione di vedere volare gli aerei italiani con i motori Tedeschi. In un ventennio l'Italia che di motori la sapeva lunga aveva finito per non sapersi adeguare in un campo dove avrebbe dovuto essere eccellenza.

 

 

 

Anche i Tedeschi in Russia schierarono, sopratutto all'inizio dell'aggressione, molte compagnie e trasporti con cavalli. Ma la propaganda nazista, sempre efficace, ci presenta più spesso immagini con mezzi e tecnologie avanzate.

 

 

Il re Vittorio Emanuele III accetta e controfirma tutto quello che gli passa il fascismo, dallo scioglimento delle Camere alle leggi razziali e anche la dichiarazione di guerra alla Francia già in ginocchio. Sarebbe stato un buon notaio.


 

E Vittorio Emanuele III il re? L'avvento del fascismo con la Marcia su Roma aveva decretato la fine della monarchia prima ancora del referendum Istituzionale che la abolirà nel 1946. La monarchia per volere del Duce rimaneva tollerata vivacchiando solo di facciata. L'unica decisione autonoma Vittorio Emanuele III la prenderà a guerra già decisa, con lo sbarco Alleato, visto che non si era avverato il detto di Mussolini:"Li fermeremo sul bagnasciuga". E sarà la decisione di cercare l'armistizio e la pace separata.

 

Vittorio Amedeo III, l'armistizio, l'ultimo tentativo di doppio gioco dei Savoia, che gli Alleati si aspettavano ma che Stalin ha dovuto digerire male.


 

Armistizio e poi pace separata salvano solo in parte l'Italia da una pace ancora peggiore. L'armistizio, già nelle attese degli Alleati ma indigesto a Stalin che temeva sempre e a ragione di dover sostenere il peso della guerra da solo, portò l'Italia allo stato di Cobelligerante, un poco più vicina agli Alleati. Il solito doppio gioco dei Savoia, tentato da Vittorio Emanuele III ritardò di poco quella che era ineluttabile, la caduta della Monarchia troppo compromessa con leggi razziali e altri errori vari.





 
Lo sterminio di massa applicato da entrambe le parti grazie ai progressi della tecnologia.




 

Lo sviluppo della tecnologia renderà possibile l'applicazione, con differenti motivazioni, dello sterminio di massa, segnatamente i forni crematori, le camere a gas Naziste, il bombardamento di Dresda da parte Alleata e la distruzione di ben due inermi città grazie all'utilizzo della Bomba Atomica. Questi crimini contro l'umanità troveranno come unica giustizia il processo ai criminali nazisti di Norimberga, voluto e gestito dagli Alleati vincitori, ma per punire chi aveva voluto la guerra, non per chi aveva messo in atto lo sterminio, che entrerà incidentalmente agli atti del processo e verrà così reso pubblico al mondo. E per fortuna a vincere la guerra furono gli Alleati, non dei Santi ma comunque i meno criminali e quelli che avevano portato avanti obbiettivamente le migliori ragioni per rendere questo mondo un poco migliore.

 





 























 























 

Section Sixty-three

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63. Scarpe rotte e Bella ciao







Partigiani della brigata "Mario Costa" sfilano per le vie di Cuorgnè nell'immagine dell'Istituto storico per la Resistenza di Torino





 
Didier della Motta, una famiglia estinta

 




 

Con la morte di Dionigi, ultimo Didier della Motta legittimo e con quella di sua cugina Elena Didier della Motta, negli anni 70' ultima legittima, si può considerare chiusa la storia di questa famiglia

 

Ma noi vorremo ricordare il ramo illegittimo di Felice Didier della Motta, perché se negli elenchi nobiliari, i Didier della Motta sono estinti e questa Didier della Motta una famiglia a se stante che degli antichi ne porta solo il cognome, pure un richiamo resterebbe doveroso.

 

E ricordiamo questo ramo illegittimo perché a nostro avviso questi Didier della Motta furono rappresentativi tanto quanto quelli estinti, in quanto combattenti nella Guerra di Liberazione.

 




 

Felice & Maria Gargioni





 
Felice




 
Didier della Motta Felice, da lui discende il ramo illegittimo e non nobiliare dei Didier della Motta.
Felice: Cenni Biografici

Felice, nato a Torino nel 1904 e morto a Torino nel 1981, venne così chiamato da sua madre Elena Erminia in onore di suo padre, il cavaliere Felice Gabriele Maria, si sposò con Maria Gargione. Da questo matrimonio nacquero il figlio Erminio, così chiamato in onore della madre di Felice, Elena Erminia. Nacquero ancora le figlie Giuseppina, Anna, Francesca, e il figlio Paolo, che fu nella marina militare ma mori giovane in un incidente stradale.





 
Maria Gargioni




 
Maria Gargioni

Nata a Zurigo da una famiglia del Cremonese emigrata in Svizzera, optò per la cittadinanza italiana.

 

 





 
Figlio di padre ignoto: una infanzia da incubo




 

Felice ebbe una infanzia da incubo. Non riconosciuto dal padre Gabriele Didier della Motta, ricevette il cognome della madre, Elena Didier della Motta.

Nato figlio di padre ignoto, ufficialmente, in un tempo in cui questa locuzione riportata sui documenti ufficiali doveva essere causa di vergogna, non trovò una vita facile ne una istruzione adeguata.

Ignorato dai Didier della Motta e dai parenti di questi, visse lontano da Torino, dove era nato, con una famiglia paesana, e dovette affrontare il mondo da solo sin da giovanissimo.

 

Ripescato dalla madre che poi lo aiuterà saltuariamente, chiamata dalla famiglia di Felice "La Madrina", si dette a diverse attività come la vendita al dettaglio, il commercio, per il quale non era assolutamente portato.

 

Nel secondo dopoguerra era conosciuto come appassionato bocciofilo, e partecipò a molti tornei nella sua Torino, la città dove era nato e a cui aveva fatto ritorno con sua moglie Maria Gargioni negli anni 50.

 





 
La reazione della famiglia Didier della Motta legittima nei riguardi di Felice


 

La famiglia Didier della Motta è immaginabile che prese molto male la nascita di Felice, che portava il loro stesso cognome. Oggi per noi è difficile comprendere il motivo di tanta amarezza, ma ai tempi ancora vittoriani di quell'epoca ai Didier della Motta legittimi dovette sembrare impossibile che l'anagrafe avesse attribuito a Felice il cognome Didier della Motta, che era il loro e legittimamente portato, quello della illustre e storica famiglia che loro rappresentavano e con la quale Felice non doveva avere nulla da spartire in quanto a tradizioni storiche. D'altra parte Felice il cognome non se lo era scelto lui, gli era stato attribuito perché era quello di sua madre. Si Felice e i suoi discendenti non avrebbero ereditato niente, neppure la nobiltà, in quanto quella della madre attribuita alle donne era personale e non trasmissibile neppure al marito legittimo di queste, senza contare che Felice era figlio illegittimo. Ma probabilmente la ferita rimase profonda e i Didier della Motta legittimi poterono solo reagire con la più assoluta indifferenza e disinteresse.

 





 

 





 
La bella famiglia di Felice




 

Felice ebbe una bella famiglia, la moglie Maria Gargioni fu madre esemplare, sempre preoccupata e occupata con la prole. Da lei nacquero Erminio, Paolo, Giuseppina, Anna Maria, e Francesca. Solo la tragica morte in un incidente stradale di Paolo, negli anni 60 pesò sulla famiglia.

 

Erminio, che morirà nel 2019 sposò Maria Clementina Botto e avrà tre figli: Giuseppe, Paolo, Marco Felice.

 

Paolo, il figlio di Felice, che era morto tragicamente in un incidente stradale, era stato nella marina militare, imbarcato su una dragamine.
Di quel periodo, negli anni 50', ricorderà sempre una forte tempesta incontrata nel mare di Sardegna.


Dopo l'incidende in vespa venne trasportato all'Ospedale Civile di Cuorgnè in ormai gravissime condizioni con un suo compagno che viaggiava insieme e che anche lui non si salverà. Il fratello Erminio attendeva con il direttore dell'Ospedale, notizie, ma venne avvisato che Paolo era deceduto. Quando mamma Maria venne informata del suo decesso, disse che lo sapeva, perchè un forte vento aveva aperto le finestre del suo appartamento. "E' stato Paolo, che è venuto a trovarmi" disse.

Venne sepolto nel cimitero di Cuorgnè, e una lapide di marmo nero, rotta, venne posta a significare la sua giovane età spezzata.

 

Di lui si racconta che da bambino aveva l'abitudine di stringere un giornale per camminare, e in assenza non camminava.

Era appassionato di musica, di chitarra e compose anche canzoni, oltre che appassionato di radio e tecnica.

 

Giuseppina sposerà Remo Trione e si trasferirà in Cuorgnè dove gestirà un conosciutissimo negozio di abbigliamento, e avrà a sua volta due figli, Marina e Alessio Trione.

 

Anna Maria, ragioniera, si sposò ma rimasta vedova presto, morirà dopo aver combattuto a lungo con una terribile malattia. Lascerà una figlia, Loredana, felicemente sposata.

 

Francesca era la titolare di un ben avviato negozio da parruchiera situato nella centralissima Via Po di Torino. Morirà per una malattia allora inguaribile. Sposata divorzierà dopo avere avuto tre figli: Maurilio, Viviana e Carlo. Tutti felicemente sposati. Carlo abbandonerà il cognome paterno Piovano per quello materno Didier della Motta che passerà anche ai figli.

 

Felice e sua consorte Maria con alcuni nipoti a Superga.
Estate anni 1960

 

 

 





 
Felice in Valle d'Aosta: sua abitazione in Aosta




 

Aosta

 

Felice e Maria abitarono per diverso tempo in Aosta. Il loro alloggio era situato nella parte vecchia della città e preso in affitto. Era piuttosto rustico privo di acqua corrente e composto da uno stanzone centrale dove si svolgeva la vita della famiglia. Era molto freddo, in inverno, ricordava il figlio di Felice, Erminio, mettendo sul davanzale un bicchiere di acqua lo si trovava al mattino gelato. E freddo era anche il letto dove dormire riscaldato solo dal tepore del corpo.

 





 
Saint Pierre la chiesa dove fu battezzato il figlio di Felice e Maria, Erminio




 

 

Postcrosser - Own work - St Pierre castle in Aosta Valley - Public Domain

 

 

La chiesa contigua al castello di Saint Pierre, dove venne battezzato il figlio di Felice, Erminio. All'epoca del fascismo il comune non era più autonomo ma accorpato in quello vicino di Villeneuve. Così il figlio venne registrato a Villeneuve.
Felice e Maria per diversi anni risiedettero in Valle d'Aosta, regione bilingue, italiana e francese. Solo con la guerra vennero sfollati in un luogo più sicuro, nel Canavese, a Valperga, da dove si trasferirono a Cuorgnè per poi ritornare a Torino alla fine degli anni 50.

 

 

L'abitazione in affitto a Cuorgnè dove era alloggiata la famiglia di Felice.



 

Fonte: google street view


Fonte: google street view

Cuorgnè, via Arduino 30

 

In Cuorgnè, via Arduino 30 Felice fissò la residenza sua e della famiglia spostandosi dalla vicina Valperga, prima di ritornare definitivamente a Torino.

 

 





 

 

Il condominio in via Pedrotti a Torino, dove Felice risidette con la consorte Maria verso la fine della sua vita

 

Fonte: google street view

Abitazione di Via Pedrotti, Torino

 

In un alloggio del condominio in questa via, vicina al Cimitero Monumentale trascorse gli ultimi anni di vita Felice, con la consorte Maria che in seguito alla sua morte si trasferì. Di loro si occupava la figlia Anna. Oggi il condominio è cambiato molto, non si riconosce più la facciata in stile anni 60. Era contiguo alla ditta Benedetto Pastore, importante e storica ditta di serrande di Torino. Oggi in luogo della ditta si trova una azienda vivaistica. Il condominio aveva lo stesso ingresso attuale, anche se era in stile anni 60. Una breve e ampia scalinata accoglieva il visitatore e al lato sinistro l'ingresso era decorato con un pannello ligneo in stile per allora moderno. L'alloggio era piccolo, vi era un vano cucina contiguo alla sala da pranzo, un piccolo bagno, queste stanze erano alla sinistra di chi entrava. Alla destra si trovava un armadio a muro, e oltre una stanza da letto e contigua una sala. Dalla finestra del soggiorno si godeva la vista di una struttura bassa a cui facevano seguito dei capannoni.

 

 

Felice considerato individuo antifascista

 

Felice considerato antifascista nel 1936 in occasione della visita di Mussolini ad Aosta, città dove allora risiedeva, venne allontanato e messo sotto sorveglianza per quei giorni.

 





 
Il gioco delle bocce




 
Il gioco delle bocce

Il gioco delle bocce, a cui Felice era molto appassionato.

Il gioco diffuso in Italia e perfezionato venne esportato nel mondo grazie agli emigranti italiani. Le bocce oggi sono realizzate in bachelite, questo materiale povero le ha rese molto più economiche e accessibili. Godono di una buona popolarità in Slovenia (dove sono dette balinanje), in Croazia, in Sud America, Francia, Australia e Nord America.

Fonte: http://www.grandvoyageitaly.com/piazza/games-italians-play-the-history-of-bocce





 
Lotta ai Nazifascisti




 

Dopo il 1943 insieme al figlio Erminio fu combattente partigiano nelle brigate d'assalto Garibaldi, e venne ferito nella battaglia di Ceresole, unico vero scontro armato di grandi proporzioni con i nazifascisti. Scontro che vide anche l'intervento dell'allora ministro Paolini, ferito e trasportato fortunosamente in salvo, e del principe Valerio Borghese.

 





 
La battaglia di Ceresole Reale




 
La battaglia di Ceresole, ferimento del ministro Paolini

 

Scontro di Ceresole


Nella valle dell’Orco la X mas inizia un'azione di rastrellamento, in uno scontro il gruppo di artiglieria “Colleoni” perse 4 uomini. I marò fecero la loro comparsa nei paesi di Pont Canavese, Lanzo e Alpette nei giorni che seguirono, sostegno delle Brigate Nere puntarono su Sparone, Ribordone, Prascondù e in Val Soana. Preparati e per nulla colti di sorpresa le unità partigiane si ritirarono sopra Noasca. Ci fu qualche scontro ed entrarono in azione i pezzi da 75/13 del “Colleoni”, ma si trattò di qualche colpo sparato in direzione delle montagne. A partire dal 5 agosto un periodo di piogge e di frane provocate dai partigiani sopra Noasca misero in difficoltà le forze della R.S.I. L'11 agosto Pavolini venne ferito. Il 25 luglio 1944 Alessandro Pavolini, segretario del partito fascista Repubblicano, annunciava con orgoglio alla radio la nascita delle Brigate Nere, definite “forze della riscossa...in cui fiammeggerà, in una seconda primavera, il vecchio fuoco dello squadrismo.” Pavolini incontrò a Torino i federali, qui si erano formati i reparti di Brigate Nere con buona affluenza di persone. Il segretario del partito aveva in quei giorni aveva ricevuto da Mussolini l’incarico di sentire il comandante Borghese per capire che cosa questi avrebbe fatto in caso ormai visibile della sconfitta della Germania e della resa delle forze tedesche in Italia. Pavolini, assieme al Federale di Torino Giuseppe Solaro, al vice federale Lorenzo Tealdy e allo stesso Melega, la mattina stessa raggiunse Cuorgné, incontrando il capitano di corvetta Beniamino Fumai, comandante del battaglione “Sagittario”. Fumai disse che Borghese si trovava dalle parti di Ceresole Reale, e li avrebbe provvisti della guida di un militare, terminato il rancio, per raggiungere più facilmente la località. Pavolini parlò così con il principe Borghese e ci fu anche un breve scambio di fucilate fra le truppe della R.S.I. e i partigiani. Pavolini decise di avanzare lungo la strada stretta e piena di tornanti che porta a Ceresole Reale per ispezionare la zona, ma il federale Melega si oppose all’iniziativa, i partigiani erano ancora troppo vicini. Pavolini troncò la discussione e riprese la marcia, senza curarsi delle proteste degli uomini che gli stavano intorno. E in effetti nella zona si trovavano la IV divisione “Garibaldi” , 5 brigate, oltre la brigata di manovra “Spartaco II”, i distaccamenti di Giustizia e Libertà con un totale di 60 uomini, cinquantina di cechi circa che avevano disertato dalla Wehrmacht ed erano comandati dal tenente Mirko Vrana, 24 , delle squadre della divisione Garibaldi e ancora dei serbi, dei russi, dei iugoslavi, un turco, un inglese. L'auto di Pavolini dopo breve venne assalita e colpita da numerosi colpi di arma da fuoco. De Benedictis rimase ferito ad una spalla, il colonnello Quagliata venne colpito al ventre. Melega ricevette due proiettili, dei quali uno sulla fibbia del cinturone, che lo fece cadere a terra, l'altro alla mascella. Tealdy e Pavolini rimasero feriti nell’azione, Pavolini fu colpito ai glutei dalle schegge di una bomba a mano lanciata dal Gino Seren Rosso di Cuorgné. Indossando una divisa senza segni distintivi particolari i partigiani non lo riconobbero, così rimase disteso sulle rocce a poca distanza dalle loro posizioni. Solo al tramonto Pavolini venne raggiunto da forze della R.S.I. con un reparto di “Alpenjager” tedeschi. Qui prestarono i primi soccorsi a Pavolini e de Benedictis. Pavolini non era in grado di camminare, si dovette improvvisare una barella con un telo militare e due rami per portarlo al sicuro. Le truppe della R.S.I. pagarono un duro prezzo , il colonnello Quagliata e diversi altri militari furono colpiti, i partigiani subirono gravi perdite: erano infatti caduto tara gli altri il militante comunista Battista Goglio, detto “Titala". La X mas aggirò i partigiani e li costrinse a ritirarsi, e le truppe della R.S.I. presero la località di Ceresole. Continuando ad avanzare si spinsero in direzione dei passi del Nivolet e della Galisia. Pavolini dall'ospedale di Cuorgnè venne portato nella sezione chirurgica delle Molinette a Torino, e qui ricoverato. Il quotidiano “La Stampa” commentò l’accaduto, sottolineando in un articolo del 4 agosto 1944 sottolineando come Pavolini avesse “lasciato la sede comoda e sicura per affrontare... gli agguati di elementi asserviti al nemico ”.
La degenza di Pavolini fu piuttosto lunga, perché trascorse circa un mese prima che il segretario del partito potesse camminare da solo, sia pure con l’aiuto di un bastone. Intanto, le sorti della guerra apparivano irrimediabilmente segnate, e la fine si avvicinava anche per Pavolini, che cadde sotto i colpi del plotone di esecuzione nel tardo pomeriggio del 28 aprile 1945.

Fonti:

Massimo Albertan Min e Fabrizio Dassano
Associazione culturale "I Luoghi e la Storia"

 

 

La battaglia di Ceresole

 

Alla battaglia di Ceresole fu presente il segretario del PFR Pavolini che in automobile procede sulla strada impervia e in salita cadendo vittima di una imboscata. Nessuno lo ha trattenuto dal lanciarsi in avanti, ma era difficile poterlo fermare visto il suo credo fascista di sempre Avanti. Un personaggio, il ministro Pavolini, tipicamente squadrista, e che dello squadrismo anarchico ne riproponeva gli aspetti.
Il principe Camillo Borghese, il Principe Nero è incerto sul da farsi. La montagna non è il suo ambiente e lo sa benissimo, lui comandante di sommergibili, costretto a impegnare i suoi ragazzi in operazioni antiguerriglia più adatte agli Alpenjagger. Non ha sottovalutato l'avversario, sa che di fronte a lui ci sono non uomini di una razza inferiore come li considerano i nazisti, ma combattenti, alcuni esperti. E poi ha lasciato andare Pavolini per i fatti suoi dopo un dialogo sulle future intenzioni: Sanno benissimo che la fine della Germania nazista è imminente, voleva sapere come Borghese si sarebbe comportato.
I partigiani acquattati sui monti classificano Alpenjagger (sbagliando) le truppe tedesche che vedono salire su per i dirupi.Tra Noasca e Ceresole la strada è piena di tornanti, qui i tedeschi piazzano i loro panzer.
I partigiani discutono: per fermare tutto quell'esercito non c'è alternativa se non far saltare la diga che hanno alle spalle, la diga di Ceresole. C'è un attimo di tensione, di ripensamento. La diga spazzerebbe via il nemico ma anche tutta la popolazione della valle. Non si può fare. Allora cosa fare?
Il tempo è poco, i tedeschi incalzano, la Decima sta arrivando. Ma quello che appare chiaro è che sul campo le migliori forze della R.S.I e qui a Ceresole ci furono i migliori come la Decima , la Sagittario, ben armate ben organizzate, non avevano la minima idea di come si combatteva la guerriglia sul campo. Si da manuale l'hanno imparata ma solo teoria. E poi perché imparare quella roba, loro si sono arruolati per andare in battaglia contro gli Alleati o al massimo contro i Titini comunisti. Questi banditi e badogliani comunisti che diavolo vogliono combinare?
Sarà proprio una unità della Decima a cadere in una imboscata. Alla richiesta di resa, si sentirà solo il grido:La Decima muore ma non si arrende. Al che i partigiani apriranno il fuoco, alcuni sbigottiti per la sorte di questi ragazzi che hanno scelto la Bella morte. Il comandante del drappello, raccolto dai partigiani morente, dirà di aver fatto una grande stupidaggine. Forse, ma data la posizione del reparto era difficile tentare lo sganciamento.
Nella battaglia morirà anche il comandante partigiano Titala, lasciando un improvviso vuoto negli uomini del suo reparto. Titala, nome di battaglia di Goglio, era un fervente comunista, in guerra viene descritto come un uomo integerrimo, leale, giusto. Nella decisione sulle esecuzioni dei prigionieri che sono riconosciuti per aver commesso crimini contro la popolazione o contro i partigiani, non voterà mai.
Titala morirà quel giorno mentre osservava con un binocolo la posizione del nemico, colpito alla testa da una raffica, tradito dal riflesso del binocolo. Morirà di colpo lasciando una sensazione di disperazione e sconcerto, proprio quando l'operazione di sganciamento dei partigiani era sul finire e il suo drappello di retroguardia era l'ultimo.
Importanti nella battaglia furono i soldati cechi. Veramente eccellenti combattenti, pari e a volte anche superiori alle SS tedesche, perfettamente organizzati e con una incredibile padronanza tattica. Non si finirà mai di dire che avranno una importanza fondamentale nella battagli e che se fossero stati di più e avessero avuto munizioni, ne avrebbero cambiato la sorte.
E proprio contro questi magnifici combattenti la Decima e le unità tedesche faticheranno non poco.

 

 

Combattenti Cechi nella Resistenza

 

Ma sentiamo come vengono descritti i combattenti della Resistenza: Tra i combattenti di varie nazionalità che si unirono ai partigiani si distinsero i soldati cechi. Inquadrati nelle forze del Terzo Reich, nell’Esercito Governativo del Protettorato di Boemia e Moravia, in Italia decisero di disertare. Uniti alla resistenza erano temutissimi dagli avversari ed essi svolsero un ruolo fondamentale nella lotta partigiana. Sul piano quantitativo, qualitativo, strategico e tattico furono una forza di notevole impatto, tanto che lo scontro di Ceresole condotto con lodevole tatticismo è in parte merito loro. I cechi erano addestrati molto bene e poterono portano sul campo di battaglia la loro esperienza, come fecero precedentemente nella battaglia di Canischio.





Fonte:

C. Coda - G. Riccabone • L a battagLia di Ceresole Reale 10-11 agosto 1944.
 

 

 

La battaglia di Ceresole

 

La battaglia di Ceresole durò tredici giorni e la Valle Orco intera ne venne coinvolta. Protagonista ne fu la 77° Divisione “Garibaldi” ed il suo comandante Battista Goglio, che vi perse la vita con altri quattro italiani e un cecoslovacco. Spartaco era il nome di battaglia di Goglio seppure è ricordato come “Titala”. Ad Alpette il luogo dove era nato risiedette subito dopo l’8 settembre dando vita un gruppo di resistenza rapidamente accresciutosi. Vissuto all’epoca delle lotte operaie, era nato nel 1894, aveva combattuto contro il nascente fascismo. Perseguitato ed imprigionato dai fascisti aveva poi dovuto accettare lavori instabili e saltuari. Dopo l‘Armistizio passò subito all’azione. Ad Alpette diede rifugio a ex prigionieri di guerra, a giovani che non avevano nessuna intenzione di essere fascisti e poi brevi ragazzi di Salò. La battaglia di Ceresole non fu una sorpresa per il comando partigiano del Canavese. Essi si aspettavano una reazione dopo che le loro forze, i "ribelli" avevano disturbato e occupato montagne e fondovalle. Il comando Tedesco inviò infatti contro di loro le migliori forze della R.S.I alla fine di luglio. Le forze erano in numero notevolmente superiore, ma peccavano notevolmente di pratica tattica nell'affrontare la guerriglia, essendo solo state preparate con insegnamenti teorici. La formazione partigiane operanti nella zona erano i garibaldini di Titala, i giellini di Bellandy questi nella valle di Ribordone, i matteottini di Piero-Piero, in Val Soana. I comandanti partigiani vista la superiorità degli avversari pianificarono una ritirata progressiva verso l'alto delle montagne, a partire dalla zona di Valperga e Cuorgnè, che erano state poste per prime sotto attacco. La 77esima “Garibaldi” era ripiegata su Ceresole ed era questo luogo l’ultimo baluardo prima di abbandonare la vallata e scendere nelle Valli di Lanzo dove si sarebbe riunita alle forze garibaldine lì operanti. Ma l'11 agosto Titala fu colpito in azione proprio alla fine dell’ultimo giorno di battaglia, quando restato con la retroguardia aspettava l’arrivo del buio per abbandonare le posizioni. Morì subito, mentre era intento ad osservare i movimenti delle truppe avversarie con l'unico binocolo della brigata.

Fonti:

Liborio La Mattina
6 Settembre 2014
in BLOG, Ceresole Reale>br/>

 





 
Battista Goglio, comandante della 50 brigata d'assalto Giuseppe Garibaldi




 
Il comandante partigiano Battista Goglio

Battista Goglio nacque ad Alpette nel 1894 località sulle montagne del Canavese. Proveniva da una famiglia di agricoltori e fu fautore dell'associazionismo proletario in varie località della sua zona. Fondatore di una cooperativa incendiarono nel 1922 dai fascisti e che tre anni dopo chiusero. Militante comunista, nel 1920 sostenne l'occupazione delle fabbriche torinesi che mise fine al biennio rosso. Venne incarcerato, poi condannato al confino per essere stato uno dei principali militanti del Partito Comunista Italiano Rilasciato per vivere dovette adattarsi a cambiare spesso attività. Trovato lavoro in piccole officine torinesi, si stabilì nella soffitta di un grande caseggiato, luogo ideale per fuggire a tentativi di arresto. Nella sua Alpette ritornò all'Armistizio, caduto il fascismo, fondò con antifascisti del luogo e ex militari un gruppo partigiano denominato Aquila. A questo primo gruppo si unirono diversi prigionieri di guerra di varie nazionalità tra i quali Inglesi liberati a Locana. Razziate le armi nella Caserma dei Carabinieri Reali di Cuorgnè come alla polveriera di Lombardore il gruppo fu a Feletto, San Benigno Canavese e ancora a Cuorgnè, tutte località dove effettuò veloci colpi di mano. A questo punto Goglio prese il nome di battaglia di Spartaco, ma tutti quelli che lo conoscevano lo chiamavano Titala. Arrestato nuovamente nel novembre 1943 e incarcerato per più di due mesi a Ivrea, ottenne grazie a dei parenti dei documenti falsi ed evase dalla prigione. Libero Titala ottenne il comando del gruppo Aquila adesso riorganizzato in 50a brigata Garibaldi, intitolata a Mario Zemo Fonte;

http://www.sentieriresistenti.org/comandanti/titala.pdf

 





 
 

Durante il 1944, nella primavera cercò di aumentare di numero i militanti della brigata: a fine maggio, un gruppo di 21 cecoslovacchi arruolati nelle SS disertò e si unì ai suoi partigiani, 33 avieri ed un ufficiale della caserma di Altessano a luglio disertarono, unendosi alla "Mario Zemo" portando con sé tre camion carichi di armi, munizioni, viveri e sigarette. Sul piano propriamente militare il 31 luglio attaccò in una imboscata un'autocolonna della Whermacht a Valperga, che provocò una operazione repressiva nazifascista appoggiata dall'aviazione. Vennero prelevati ostaggi, saccheggiate e incendiate abitazioni a Corio, Canischio, Alpette e Pont Canavese. Questa imponente offensiva costrinse le unità partigiane ad un ripiegamento verso le montagne più in alto. La 50^ brigata Garibaldi e la 49^ cercarono di rallentare il più possibile l’avanzata delle forze della R.S.I verso l'alta valle. In tredici giorni i combattimenti si ebbero lungo il torrente Orco (battaglia di Ceresole Reale). Titàla cadde l'ultimo giorno, quando la manovra di sganciamento dai nazifascisti si era conclusa con successo, mentre era alla guida della retroguardia e scrutava i movimenti del nemico con un cannocchiale aspettando il buio per lasciare la postazione.

Fonte:
http://www.sentieriresistenti.org/comandanti/titala.pdf

 





 
Alessandro Pavolini, Ministro della R.S.I




 
Il ministro Alessandro Pavolini

 

Alessandro Pavolini nacque a Firenze il 27 settembre 1903 morì a Dongo il 28 aprile 1945. Giornalista, politico, scrittore e gerarca fascista italiano, fu Ministro della cultura popolare del Regno d'Italia e segretario del Partito fascista Repubblicano. Prese parte alla Marcia su Roma nel 1922, federale di Firenze nel 1929. Caduto una prima volta Mussolini il 25 luglio 1943, Pavolini si rifugiò nella Germania nazista dove cercò di ricostituire il fascismo in Italia. Fondò le Brigate nere, milizia volontaria della Repubblica di Salò attiva dal luglio del 1944. Catturato a Dongo venne giustiziato dai partigiani.

Per una biografia completa vedi:
https://it.wikipedia.org/wiki/Alessandro_Pavolini

 

 





 
Junio Valerio Borghese comandante della X MAS




 
Il principe Junio Valerio Borghese

 

Junio Valerio Scipione Ghezzo Marcantonio Maria dei principi Borghese, questo il suo nome completo, più noto come Junio Valerio Borghese nacque a Artena il 6 giugno 1906 e morì a Cadice il 26 agosto 1974. Militare e politico italiano, apparteneva alla famiglia principesca Borghese. Giovanissimo studiò all'Accademia navale di Livorno, dove divenne uno specialista di sommergibilisti. Ufficiale quindi nella Regia Marina entrò nella Xª Flottiglia MAS del Regno d'Italia. Comandante, nell seconda guerra mondiale divenne noto per le audaci imprese nel mar Mediterraneo. A fianco dei nazisti, dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, proseguì la guerra contro l'esercito anglo-americano. In questo frangente comandò il troncone della Xª Flottiglia MAS della Repubblica Sociale Italiana rimasto al nord. La sua X Mas però dipendeva direttamente dal comando Germanico e non dal R.S.I. Alcuni dei suoi componenti si distinsero più per fatti di violenza e crimini che per azioni di guerra cosa che getterà una sinistra ombra su questo reparto. Va detto che il principe Borghese fu del tutto rammaricato e alieno da queste cose. Aderì alla Repubblica Sociale Italiana e fu sottocapo di Stato Maggiore della Marina Nazionale Repubblicana. Terminata la guerra detenuto per tre anni, fu condannato a 12 anni di reclusione per collaborazionismo. Subito liberato per effetto dell'amnistia Togliatti, fu Presidente del Movimento Sociale Italiano dal 1951 al 1953. Nel 1970 fu autore di un colpo di Stato, poi fallito (golpe Borghese).
Credits: Questo articolo in sunto è tratto da Wikipedia.org.
Per una biografia completa vedi: https://it.wikipedia.org/wiki/Junio_Valerio_Borghese

 

 





 
Il mal di pancia che molti provano verso chi ha servito l'Italia nella resistenza.




 

 

Oggi aver servito nella resistenza provoca in chi lo sente un certo mal di pancia. La resistenza richiama nella loro mente più che altro il comunismo, il terrore della rivoluzione rossa. Roba da Kim Jong-un.

 





 
Due Sessioni

Questa foto del 2016 presenta delle entusiaste sponsor delle "due sessioni". L'élite al potere cinese si è riunita a Pechino per le "due sessioni" annuali - incontri politici della Conferenza consultiva politica del popolo cinese e dell'Assemblea nazionale del popolo.
Il Comunismo Cinese sarebbe più propriamente un Neoliberalismo sotto l'egida del rigido controllo nazionalistico Cinese. Del Comunismo tradizionale non resta che il nome.

Fonte:https://www.thatsmags.com/beijing/post/12608/photos-best-weirdest-moments-of-china-s-two-sessions



 




 

Niente può essere più shoccante per un popolo piccolo borghese come quello Italiano, fatto di piccoli proprietari, piccoli imprenditori, negozianti che il terrore rosso.

 





 

Friendship of the People (Soviet Republic), Stepan Karpov, 1923-1924 - Fonte: https://fermer.ru/blog/49115/sssr-kak-eto-bylo-311721?page=5



 
Unione Sovietica

La bandiera rossa, con i simboli di falce e martello, adottata, quando esisteva dall'Unione Sovietica.
Questo regime prevedeva che la libertà dei suoi cittadini fosse condizionata dal raggiungimento del benessere comune.L'Unione Sovietica, prima del suo dissolvimento fu l'unica potenza a competere con quella degli USA.





 

Per questo alcuni sono portati a parteggiare per i nazisti e i fascisti, non importa di quali crimini si sono macchiati o che tipo di governo instaurasse il III Reich.

 

Si preferisce tenere gli occhi chiusi sul fatto che resistenza furono anche le forze superstiti del Regio Esercito Italiano, le divisioni di Cefalonia, e sul fatto che esistevano brigate partigiane di diversa formazione politica, per non dire delle divisioni Tedesche che si ribellarono passando dalla parte dei partigiani.

 





 

Cefalonia - Film (2005)





 
Quell'Italia che non smetterà mai di essere fascista




 

Ma niente, una certa Italia che fascista non ha mai smesso di esserlo, che ha sempre considerato il 25 Aprile indigesto, non poteva accettare che un gruppo di banditi comunisti badogliani liberassero prima degli Alleati parte del Nord Italia. Negli anni 70 una persona avversa a questa festa della Resistenza scriveva: "tra poco ci beccheremo il 25 aprile, con le solite bandiere rosse come da copione".

Gli slogan che piacciono tanto agli italiani

 

Per non parlare di certi vecchi slogan ad effetto, recuperati archeologicamente dalla storia, che però sembra piacciono tanto agli italiani. Qualcuno di questi può dar luogo a equivoci, tipo il Putiniano e nazionalistico-patriottico slogan russo "Dio Popolo Famiglia", che in molti preferiscono a "I Have a dream" o che preferiscono all'impegnativo: "L'Unione, la Costituzione e l'applicazione delle leggi." o ancora che preferiscono a: “Così come non vorrei essere uno schiavo, così non vorrei essere un padrone. Questo esprime la mia idea di democrazia.”; magari aggiornando i termini di schiavo e padrone. Insomma gli ottimi slogan come questi ultimi non mancano e non c'è bisogno di certe dichiarazioni nazionalistiche.

 

 

Felice ed Erminio, due Comunisti Badogliani

 




 

Per Felice, che, come il figlio Erminio, comunista non lo fu mai, anzi tutt'altro, fu naturale combattere per il re (i nazisti li definivano Banditi, comunisti Badogliani) e lo fece dove poté trovare forze ben organizzate, cioè le brigate Garibaldine. Il suo nome da partigiano era "Savoia" per capire quanto fosse radicata l'affezione per la Casa Regnante, nonostante Vittorio Emanuele III avesse firmato le leggi razziali. Come era stato possibile che il Duce e il re avessero accettato una porcheria simile che alla nostra mentalità di oggi fa ribrezzo? A questa domanda Felice scuoteva la testa senza sapersi dare una risposta. Che avessero così terrore dell'alleato nazista?

La storia non può dirci come avrebbe governato il figlio di Vittorio Emanuele III il re Umberto II, che regnò solo per un mese prima della proclamazione della repubblica, ma che si fece carico delle colpe del padre e fu sempre onesto, leale, uomo di alti ideali.

 





 
Felice: ferito nella battaglia di Ceresole Reale




 

Felice, ferito a un piede durante la battaglia di Ceresole, venne soccorso dai compagni, medicato dal dottore e poi trasportato in salvo attraverso i passi montani fino zona franca francese, dove restò nascosto come sottufficiale francese.

 





 
Erminio vicino a Titala nell'ultima retroguardia partigiana




 

 

Il figlio Erminio invece faceva parte dell'ultima retroguardia con Titala, o Spartacus, che nella battaglia di Ceresole Reale proteggeva la ritirata e la relativa manovra di sganciamento.

Testimone della morte di Titala, da cui non si trovava a molta distanza, e come tutti preso dallo sconforto e dall'amarezza della perdita, proseguì la ritirata, ormai senza cibo e munizioni. Si rifugiò in Francia ma venne catturato da un reparto nazista e chiuso nel carcere di Grenoble in attesa di conoscere la sua sorte.

 





 
Erminio: in Francia catturato dalle SS e rinchiuso nel carcere di Grenoble




 

La permanenza in quel carcere grazie alla presenza di sentinelle cecoslovacche che si alternavano alle SS, riuscì meno dura. Come per altri prigionieri le sentinelle chiudevano gli occhi e poteva raggiungere la recinzione e parlare con gli abitanti che gli offrivano viveri. La vicina sede delle SS e La presenza di queste rendevano incerta però la sua prigionia. Le stragi e crudeltà dei nazisti continuavano incessanti e i maquis francesi rendevano la pariglia. L'avanzata degli alleati era imminente e le SS decisero di eliminare tutti i prigionieri. Gli Alleati sopraggiunsero un attimo prima che i nazisti potessero porre in atto questa decisione. Così nel silenzio che segui al trambusto della precipitosa fuga delle SS si fecero vivi gli Alleati che liberarono i prigionieri.

 




 
Erminio: salvato per miracolo dagli Alleati




 

Salvo per miracolo Erminio fece ritorno in Italia per riunirsi alla sua famiglia, anche se in quel paese la lotta non era ancora finita.

 

Erminio: prigioniero dei Tedeschi nella caserma de Bonne


 

Fonte:http://grenoble-cularo.over-blog.com/2021/10/grenoble-occupee-2eme-partie-1943-1944-les-allemands.html

Caserma de Bonne Grenoble

 

 

 

Erminio: prigioniero dei Tedeschi nella caserma de Bonne


 

Fonte:http://grenoble-cularo.over-blog.com/2021/10/grenoble-occupee-2eme-partie-1943-1944-les-allemands.html

Caserma de Bonne

 

 

 

La liberazione di Grenoble da parte degli Alleati


 

Fonte:https://cdn-s-www.ledauphine.com/images/A138809E-7D16-49AF-A1A4-6C408672D8D3/NW_raw/toute-la-ville-s-est-rassemblee-sur-le-cours-jean-jaures-en-debut-d-apres-midi-ce-22-aout-1944-pour-assister-au-defile-des-americains-et-des-resistants-quelques-jours-plus-tot-le-15-aout-1944-les-allies-avaient-debarque-en-provence-entre-bormes-et-saint-raphael-dans-le-var-photo-musee-de-la-resistance-et-de-la-deportation-de-l-isere-1565795858.jpg

Liberazione di Grenoble

 

Il 22 agosto 1944

Questa giornata pose fine a undici mesi di occupazione di Grenoble da parte di un esercito tedesco che il mese precedente aveva 15.000 uomini equipaggiati con carri armati, aerei, cannoni, mortai per assaltare la macchia del Vercors.

Grenoble viene liberata ma presto conterà i suoi morti: 840 fucilati, più di 2000 uomini uccisi in combattimento e altrettanti dispersi, 1150 deportati, metà dei quali non sono tornati. Ma in questo giorno del 22 agosto, non è il lutto che segna Grenoble, è l'esplosione di gioia nel trovare una città svuotata dei tedeschi che hanno finito di fuggirla la notte prima, per ordine del loro capo di sinistra memoria, il generale Karl Pflaum.

L'arrivo degli Alleati è infatti imminente, solo 7 giorni dopo lo sbarco del 15 agosto in Provenza mentre il piano prevedeva 3 mesi! Un'avanzata folgorante grazie in particolare all'azione della Resistenza che li informò sulle posizioni del nemico, li guidò sulle strade più sicure, moltiplicò le operazioni di guerriglia e di sabotaggio.

I maquis che già il 21 controllava la periferia di Grenoble vi entravano all'alba del 22 con il tenente Raymond Muelle, che il 1 agosto era stato paracadutato a Dieulefit (Drôme). Nel pomeriggio, un battaglione motorizzato americano rinforzato con maquisard affrontò i tedeschi a Pont de Claix, quindi entrò a Grenoble. Grenoble viene liberata ma i combattimenti non sono ancora finiti. I proiettili caddero sulla città, sparati da Gières e Domene. Il 24 agosto americani, guerriglieri e giovani di Grenoble, dopo aver recuperato le armi abbandonate dai tedeschi, hanno preso d'assalto, sequestrato le batterie di artiglieria e fatto 400 prigionieri. Due giorni dopo il Polygone fece la sinistra scoperta di 2 fosse comuni dove in luglio la Gestapo aveva fucilato 48 persone, sul Chemin des Buttes ribattezzato Rue des Martyrs at the Liberation. Grenoble deve guarire le sue ferite ma Grenoble è liberata e già onorata di essere stata elevata al grado di Compagnon de la Liberation dal generale De Gaulle. Erano passati poco più di tre mesi, il 4 maggio 1944.

 

Fonte: https://grenoble-le-changement.fr/2016/08/22/22-aout-1944-grenoble-liberee/

 

 

Karl-Pflaum il controverso comandante Tedesco a Grenoble
Karl-Pflaum

 

Karl Pflaum cenni storici Nato il 17 novembre 1890 a Passau, Bassa Baviera, Karl Pflaum prestava servizio come ufficiale di carriera dal 1910, quando entrò nell'esercito reale bavarese come guardiamarina. Dopo aver combattuto nella prima guerra mondiale, rimase nella Reichswehr, l'esercito della Repubblica di Weimar. K. Pflaum comandò durante la seconda guerra mondiale prima il 19° reggimento di fanteria, unità tradizionale in Baviera, poi nell'autunno del 1941, la 258a divisione di fanteria, un'unità che combatté sul fronte russo. Sofferente di problemi cardiaci, lasciò il fronte orientale per assumere il 20 settembre 1942 un comando meno prestigioso, quello della 157a Divisione di Riserva (157. R-D), composta in gran parte da truppe di montagna. K. Pflaum rimane Generalleutnant. Il 157. R-D fu particolarmente responsabile della ricerca e persecuzione dei maquis a Glières (Alta Savoia), nel Giura, nel Vercors e fu coinvolto in altri abusi durante il suo ritiro nella valle della Maurienne. Il generale Pflaum lasciò la guida della 157a nell'agosto del 1944, per motivi di salute ma anche per il ritiro inglorioso della sua divisione in Savoia. Prima di entrare in Italia, la 157. R-D divenne la 157. Gebirgsdivision, poi la 8. Gebirgsdivision. Incriminato per crimini di guerra da un tribunale di Lione, K. Pflaum è stato assolto per problemi cardiaci. Alcune fonti affermano che morì negli anni '50 ma, secondo il Lexicon der Wehrmacht, morì nel 1972.

 

Fonte: http://museedelaresistanceenligne.org/media6113-Karl-Pflaum#fiche-tab

 

Karl Pflaum Legenda: Generalleutnant Karl Pflaum, comandante della 157a divisione di riserva tedesca, sotto Heinrich Niehoff, senza data (presumibilmente nel 1942 o 1943) Genere: immagine Tipo: Fotografia Fonte: © Collezione Peter Lieb Tutti i diritti riservati Dettagli tecnici : Riproduzione di fotografie analogiche in bianco e nero. Data documento: 1942 o 1943 Località: Germania Fonte: http://museedelaresistanceenligne.org/media6113-Karl-Pflaum#zoom-tab

 

la Jeunesse Europe Nouvelle, arruolati nelle SS


 

Ausiliari francesi della JEN (Jeunesse europe nouvelle) attaccati alle SS. Nel mezzo Guy Eclach arrestato e poi fucilato nel 1945

Fonte: http://grenoble-cularo.over-blog.com/2021/10/grenoble-occupee-2eme-partie-1943-1944-les-allemands.html

 

 

Le truppe Tedesche e in particolare le SS avevano in molti giovani un fascino particolare, anche improntato ma non sempre e non solo alla loro ideologia di combattimento. Questi ragazzi si arruolarono per desiderio di combattere assecondando l'ordine stabilito, il nuovo ordine che i nazisti promettevano di portare in Europa. Poi poco importava se si doveva convivere con una realtà fatta di spietatezza e abusi. Le SS d'altra parte erano pronte a combattere per Hitler fino alla morte ma non tutte erano altrettanto pronte a morire. Anche loro si arresero in buon numero senza gesti troppo eroici.

 

 

Grenoble liberata: la fucilazione di sei giovani collaborazionisti


 

Unknown author or not provided Record creator Roosevelt, Franklin D. (Franklin Delano), 1882-1945 - Title - WWII: Europe: Grenoble, "FIRE! - Members of French Forces of the Interior carry out the death sentence of six young frenchmen convicted of collaborating with the Germans" - Date circa 22 September 1944 Collection National Archives and Records Administration Blue pencil.svg wikidata:Q518155 Franklin D. Roosevelt Library (NLFDR), 4079 Albany Post Road, Hyde Park, NY, 12538-1999. Record ID - NARA Logo created 2010.svg This media is available in the holdings of the National Archives and Records Administration, cataloged under the National Archives Identifier (NAID) 196291. This tag does not indicate the copyright status of the attached work. A normal copyright tag is still required. See Commons:Licensing.

 

 

 

Il caso di sei giovani accusati di collaborazionismo e fucilati fece molto parlare di sé a Grenoble. I giovani vennero traditi dal fatto di calzare scarpe tipiche dell'esercito Tedesco, vennero regolarmente processati ma dato il periodo cruento la sentenza non poté che essere la pena capitale. In quel tempo non si contavano le vittime della Gestapo a Grenoble e nei dintorni, persone torturate e massacrate anche per motivi futili. Ma come in Italia anche in Francia molti la fecero franca.

 

 

Ma qualcuno dei collaborazionisti, per il momento riesce a farla franca




 

Erminio a Grenoble, liberata dagli alleati, restituisce come può i favori fatti dai Cecoslovacchi, dando loro del cibo.
Ma si stupisce che nella caserma dei russi, i cosacchi di Vlassov abbiano solo cambiato mostrine e segni distintivi. Ma non erano loro che avevano commesso vari crimini di Guerra contro la popolazione locale? "Non siamo SS, siamo cosacchi di Vlassov", avevano detti alcuni prima di colpire come le SS. Per Erminio non sono brave persone, e non fanno onore ai loro compagni che hanno combattuto per i nazisti ma magari non si sono macchiati di crimini. "Quelli non erano per niente bravi, non erano brave persone", ricorderà molto tempo dopo.

 





 
La triste mansione di qualche ragazzo di Salò




 

Qui vorremmo solo ricordare che a mettere sui convogli i prigionieri, uomini , donne, vecchi, bambini, sopratutto ebrei, diretti ai campi di concentramento nazisti, c'era anche qualche bravo ragazzo della RSI. Chissà se avessero avuto chiara visione di quello che si sarebbe rivelato l'orrore dello sterminio, come si sarebbero comportati.





 
Pensiero di Felice ed Erminio sulla famiglia Didier.




 

Felice, giustamente, non si considerava nobile, e mai si disse tale. Pacificatosi con Elena, sua madre, dalla quale ebbe diverso aiuto, non pensò mai alla nobiltà, ma ebbe molta stima del re e dei Savoia. Anche per lui, giustamente, nobiltà e titolo erano estinti. Allo stesso modo Erminio, che tuttavia per pura passione e curiosità fece diverse ricerche sull'antica famiglia, riportandone alla luce il passato. Ma non si disse mai nobile e tanto meno conte. Non lo fecero, non ne sentirono il bisogno. Fedeli in questo al detto che la nobiltà si riconosce dall'animo buono e dalle azioni buone e non dal vantare illustri antenati o dal portare un cognome che era appartenuto ad una famiglia di importanza storico nobiliare.

 

Uno sguardo a cosa diceva e dice ancora secondo la tradizione nobiliare, su chi ha o non ha diritto alla nobiltà

 
Lo stato nobiliare

 




Ordinamento dello stato nobiliare.
Approvato con Regio Decreto 7 giugno 1943, n. 651
Della prerogativa Regia e delle distinzioni nobiliari


Art.XL

Le successioni dei titoli, predicati e attributi nobiliari hanno luogo a favore dell’agnazione maschile dell’ultimo investito, per ordine di primogenitura, senza limitazione di gradi, con preferenza della linea sul grado. I chiamati alla successione debbono discendere per maschi dallo stipite comune, primo investito del titolo. I titoli, i predicati e gli attributi nobiliari non si trasmettono per linea femminile, salvo quanto dispone il primo capoverso dell’art. 45

Art.XLI

I figli naturali, ancorché riconosciuti, non succedono nei titoli e predicati nobiliari.

 



E quello che comunemente è la trasmissione della nobiltà
 

La successione nei titoli nobiliari, normalmente disposta nell'atto di concessione del titolo da parte del sovrano o del capo dello stato, può avvenire per soli maschi primogeniti, in favore dei discendenti maschi, ma anche in favore di tutti i discendenti, maschi e femmine (per queste solo a titolo personale e comunque sempre senza trasmissione ai discendenti in linea femminile, con l'eccezione di casi rarissimi). Il titolo nobiliare si trasmette ai soli figli legittimi, non agli adottati, né ai naturali, né ai legittimati per rescriptum principis, ma solo ai legittimati per subsequens matrimonium, salve sempre diverse statuizioni del sovrano.


Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Voce: nobiltà

https://it.wikipedia.org/wiki/Nobilt%C3%A0

 

 

 





 

Erminio & Maria Clementina Botto





 
Erminio




 
Erminio Innocente Didier della Motta, un rappresentantante del ramo illegittimo e non nobiliare della famiglia comitale estinta Didier della Motta.
Erminio: Cenni Biografici

Erminio Innocente, nato a Saint Pierre, Villeneuve, in Valle d'Aosta nel 1928 e morto a Cuorgnè, Torino nel 2019, venne così chiamato in onore di sua nonna paterna Elena Erminia Didier della Motta, ed ebbe una gioventù avventurosa, ma finita la guerra lavorò e risiedette sempre in Italia. Da prima occupato nel settore chimico come perito chimico in una storica fabbrica di Cuorgnè, l'Elettromettallurgica di proprietà della famiglia Trione. In seguito al matrimonio con Maria Clementina Botto, figlia di Ceresa Angela e di Giuseppe Botto, si impiegò nella ditta Botto, una industria locale che produceva brozine. A questo alternò l'attività di assicuratore per diverse compagnie. Ma è come presidente della Filarmonica di Cuorgnè che viene ricordato con il maestro Guido Forni. Socio della A.R.I e radioamatore diplomato, in gioventù compose poesie e canzoni, la pricipale delle quali venne incisa su disco.





 
Maria Clementina Botto




 
Maria Clementina Botto

Nata a Cuorgnè, in provincia di Torino da Rosa Angela Ceresa e da Giuseppe Botto, studiò dalle suore Orsoline di Rivarolo dove si diplomò come dattilografa. Sposata con Erminio Innocente Didier della Motta ebbero tre figli, Giuseppe, Paolo e Marco. Si dilettava di pittura, nature morte e viste di paesaggi interpretate in modo personalissimo, era molto abile nei colori e preferiva la tecnica della tempera. Morì dopo una lunga malattia e grandi sofferenze, nell'ospedale della sua città.

 

 

Le decorazioni di Erminio.




 
Stella al merito delle Brigate d'assalto Garibaldi.

 

Erminio venne decorato con la stella a 5 punte delle Brigate d'Assalto Garibaldi nel 1947, per i servizi resi in guerra. La medaglia era coniata a modello della Stella al merito degli Stati Uniti d'America ma presentava al centro l'immagine di Garibaldi.

 

 

Medaglia di Cavaliere della Repubblica.(Vecchia versione)

 

Erminio venne decorato con la medaglia dell'ordine al merito della Repubblica, con il grado di Cavaliere della Repubblica, durante il mandato del Presidente della Repubblica Italiana Francesco Cossiga, negli anni 80', per il suo impegno nella Filarmonica.

 





I quadri di Maria Clementina Botto

 

 

 

 

Uno dei molti quadri di Maria Clementina soprannominata Marika o Maricche da sua nonna paterna Maria Carbonatto che insieme al nonno paterno dopo essere emigrati in a Budapest in Ungheria e ritornati, avevano fondato in Cuorgnè una della prime officine meccaniche, la Ditta Botto, che chiuse negli anni 1980.

I quadri di Maricche si caratterizzano per i colori che sapeva stemperare molto bene, pur come dichiarava lei stessa, da dilettante. Lasciò molte tele in prevalenza a tempera , e nature morte o paesaggi.

 

 
























 























 

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64. Nascita di una nazione







‌‌Anna‌ ‌Iberti‌‌ ‌fotografata da ‌‌Federico‌ ‌Patellani‌,‌ ‌fotografo‌ ‌del‌ ‌quotidiano‌ ‌il‌ ‌Tempo, 1l 2 giugno 1946 - Fonte: ‌https://www.donne.it/repubblica-italiana-2-giugno/#gref





 

 

Proclamata la Repubblica. E siamo alla seconda volta

 




 

Finalmente c'è la Repubblica Italiana, proclamata nel 2 giugno 1946.

La prima Repubblica Italiana venne proclamata nel 1802 e durò fino al 1805, trasformandosi poi nel napoleonico Regno d'Italia. Era uno stato dipendente in tutto dalla Repubblica francese, voluta da Napoleone Bonaparte, che fu il primo e unico presidente della Repubblica Italiana. Il suo territorio che escludeva il sud Italia, lo stato Pontificio, il Veneto, le regioni del Trentino del Friuli, la Sardegna, il Piemonte, territorialmente corrispondeva all'incirca al settentrione dell'Italia di adesso, con 12 dipartimenti con capoluoghi: Novara, Cremona, Ferrara, Reggio, Como, Brescia, Mantova, Milano, Modena, Bologna, Forlì, Bergamo.





 
La nuova Repubblica Italiana




 

Dopo l'ennesima batosta della II guerra mondiale e con la speranza infranta di tenerci lontani da nuove guerre, nasceva questa tecnicamente seconda Repubblica Italiana, che a parte la presenza di un presidente della Repubblica, si differenziava molto dalla precedente napoleonica, essendo la sua forma scelta dal popolo con referendum istituzionale, che poi si doterà del suffragio universale. Questa Repubblica retta con una Costituzione redatta abbastanza bene, tenne conto della taratura delle diverse forze politiche, che rappresentavano e ancora oggi rappresentano i cittadini.

 

La speranza di stare lontani dalla guerra, a parte gli impegni ONU, andrà delusa, poiché l'Italia entrerà nella NATO e questo organismo diventato con la caduta della Russia comunista assai aggressivo, accompagnerà gli USA in alcune imprese belliche. Si tratterà per fortuna d'interventi parziali su realtà circoscritte. Ma resta che non una delle promesse fatte dalla Nato a quello che poi sarà l'ex presidente dell'Unione Sovietica, Michael Gorbaciov, in particolare quella di non espandersi a Est in Europa, portando i missili ad un tiro di schioppo da Mosca, è stata rispettata.

 

Tutti gli interventi internazionali Nato sono stati naturalmente dai dubbi vantaggi per l'Italia, ma senz'altro a vantaggio degli interessi Americani. Non ultimo dei quali l'impresa in Afganistan conclusasi anche con la ritirata del contingente Italiano. Era evidente, finiti gli interessi Americani in quel paese non importava più restarci, e portare la libertà o combattere il terrorismo erano diventati obiettivi senza più senso. Ma questo è e sarà sempre il gioco delle Potenze Internazionali, e gli USA in questo gioco non sono certo i peggiori. L'Italia in questo contesto ha rispettato tutti i suoi impegni con gli alleati.





 
Umberto II di Savoia, l'ultimo re d'Italia




 



 
Umberto II ultimo re d'Italia

Umberto II di Savoia, nome completo Umberto Nicola Tommaso Giovanni Maria di Savoia nacque a Racconigi il 15 settembre 1904 e morì a Ginevra il 18 marzo 1983. Luogotenente Generale del Regno d'Italia dal 1944 al 1946, ultimo Re d'Italia dal 9 maggio 1946 al 18 giugno. In seguito al Referendum istituzionale del 2 giugno che scelse la forma repubblicana in luogo della monarchica, il Consiglio dei ministri trasferì il 13 giugno ad Alcide De Gasperi le funzioni accessori di capo provvisorio dello Stato. Questo venne definito un "atto rivoluzionario" da Umberto II. In realtà era un atto dovuto al popolo Italiano in quanto Umberto II di fatto per effetto del referendum costituzionale non poteva più essere considerato Re d'Italia o avere qualche funzione accessoria come capo dello stato ormai chiaramente repubblicano. Regnò poco più di un mese a tale motivo venne soprannominato Re di maggio.

Per una biografia completa vedi:
https://it.wikipedia.org/wiki/Umberto_II_di_Savoia





 
Con la Repubblica cosa ne è degli ex nobili e del titolo comitale?

 




 

I nobili con la Repubblica sono stati graziati da una norma costituzionale abbastanza moderata per un paese sconfitto, se si considera il periodo, un paese che avrebbe anche potuto dire basta oltre che alla monarchia anche ai titoli e predicati vari, sull'esempio dell'Austria, che proibisce l'uso dell'appellativo Von. Si poteva ritornare alla legge Rivoluzionaria francese che nel caso dei Didier era mettere solo il cognome Didier, senza predicato o mettere Didier La Motta. Non è stato così, la normativa provvisoria preferì sancire il non interesse giuridico per i titoli nobiliari. La nobiltà attuale ancora cerca di riprendersi dallo shock.

Che gli ex nobili esistenti si accontentino di tenersi il predicato cognomizzato, se ce l'hanno, come riconoscimento di appartenenza a una di quelle famiglie storiche dell'ex Regno D'Italia. Così il titolo di conte della Motta non viene più riconosciuto, ma resta il predicato.

 

Controlli su chi è legittimato a portare il titolo? Nessuno, alla Repubblica non interessa, essendo i titoli privi di valore giuridico. Interessa ai privati, le liste nobiliari sono triplicate in pochi decenni, inserendo titoli e predicati anche dei più strani. La nobiltà per chi non è nobile, può ancora attirare e andare di moda, ma molti segnali indicano che in futuro non sarà più così.

 

In Italia ci si può dire nobile, o titolarsi Marchese o magari anche Principe. E' insignificante e negli atti pubblici il titolo non compare.





 
Il futuro della nobiltà, per quelli che sono nobili.


 

Ma allora la nobiltà in Italia è un dinosauro in estinzione? Tutt altro, la nobiltà in Italia, seppure meno visibile che nel passato, sembra godere di buona salute, è più come un vecchio ritrovatosi ragazzino o meglio un ragazzino invecchiato ma ancora agile. E' ancora in grado di giocare un ruolo nella trasformazione dei valori in atto nel mondo odierno. I nobili italiani oggi si riaggregano nel nome dei loro valori comuni e non si dimenticano di ricordarci e farci conoscere il ruolo positivo che ebbe e ha tuttora la nobiltà. Poi ci sono e saranno sempre le eccezioni, tipo quei nobili che in quanto nobili si vogliono fare belli con le penne di altri, cioè dei loro antenati, che spesso hanno faticato non poco per mantenere il ruolo di aristocratici. C'è poi tutta la parte della memoria storica con genealogie e blasoni, quella giuridica e molto altro. In tali materie citiamo solo per esempio l'associazione Vivant.it che mantiene più che mai vivi i valori nobiliari, e per la parte relativa all'araldica citiamo solo l'opera veramente notevole dello scomparso Federico Bona, che ci ha lasciato lavori come "Il Blasonario Subalpino" e altre opere, tutte insuperabile sia per rigore storico che per vastità. Ricordiamo anche le pregevolissime e altrettanto precise opere di Gustavo Mola di Nomaglio, come il suo: Dizionario Araldico Valsusino. Ma molti altri autori dovrebbero essere citati.

 




 
Savoye Bonne Nouvelle


 

E gli ex reali d'Italia? Anche gli ex reali d'Italia hanno saputo ritagliarsi uno spazio nel moderno panorama, e magari con grande nostalgia per le glorie passate e quelle perse continuano una tradizione che dura un millennio. Casa Savoia è più viva che mai, e con la modifica della legge Salica cambierà anche il modo di successione. La legge Salica o dei Franchi Sali, imponeva la successione solo ai maschi primi nati, e traeva la sua origine dal modo di concessione dell'Imperatore del Sacro Romano Impero. Sparito questo pare difficile credere che la Legge Salica sia immutabile e proceda motu proprio in seno alla famiglia dei Savoia. Vittorio Emanuele, erede e figlio dell'ultimo re d'Italia, ha modificato questa legge, pur trovandosi al centro di una disputa dinastica. Ed Emanuele Filiberto, suo figlio, non pensiamo abbia in mente per il futuro di mutare questa decisione presa dal padre. Ricordiamo anche che i due principi tra le altre tradizioni hanno riformato l'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro.





 
La fine della famiglia Didier della Motta

 




 

Nel 1963, con la morte dell'ex conte Dionigi, senza discendenza, e nel 1973 con la scomparsa dell'ultima rappresentante della famiglia, Elena, anche il casato dei Didier della Motta si considera estinto.





 
Stemmi e blasoni che furono della famiglia Didier della Motta




 

I blasoni distinguevano famiglie nobili e no, ma quali erano il blasone o meglio le armi dei Didier della Motta? Citiamo per la correttezza delle informazioni date da Gustavo Mola di Nomaglio nel suo Dizionario Araldico Valsusino.

DIDIER DELLA MOTTA

dalla Savoia in Torino e Rivoli (dove dimoravano belle prima metà dell'800) Arma: Di rosso alla sbarra d'argento

a questo segue la nota (16)

questa l'indicazione in SPRETI e collaboratori Enciclopedia Storico Nobiliare cit. Vol II Milano 1929 pag. 614 confermata ne Le Blason pag.321 e in RACCOLTA DI ARMI St.p.1000 D/214.coerente raffigurazione in BLAZONERIA St.pag 982 f.81
SILVIO MANNUCCI nel Nobiliario e Blasonario del Regno D'Italia Roma v2 p 136 indica tuttavia D'azzurro allo scaglione accompagnato in punta da una stella a 6 raggi il tuto d'oro.
Seguito dal Libro d'oro della nobiltà italiana vol.4 1916 1919. Roma 1918 p.264.
Nell'Armorial du Duchè de Savoie [Lajolo], cit. p.132 ad una famiglia Didier de Saint Jean de Maurienne è attribuita - D'argento, ad un cuore infiammato di rosso con il capo di azzurro carticato di tre stelle d'oro.


Che dire? Il blasone riportato per ultimo potrebbe essere quello acquisito a Saint Jean de Maurienne dalla famiglia quando ancora era inserita nel patriziato cittadino.

Il blasone con gli smalti di rosso è stato da noi visionato con le armi riportate integralmente con i loro svolazzi e che mostrano un cimiero di estrazione cavalleresca indicante tre generazioni di nobiltà, questo dovrebbe corrispondere all'epoca fine del settecento quando i Didier con i figli di Vittorio Amedeo poterono vantare una nobiltà di tre generazioni. Questo in teoria potrebbe essere anche stato il blasone portato dal ramo primgenito dei Didier della Motta estinti nel 1862.

Il secondo blasone con gli smalti di oro e di azzurro potrebbe essere stato portato dal ramo cadetto, essendo la famiglia divisa in due rami, e in particolare da Antonio, quando fu conte ed iscritto nel Libro d'oro della nobiltà italiana.
Tutte queste sono solo supposizioni. Da parte sua il Manno non da indicazioni di stemmi.

Bartolomeo come capitano del palazzo Reale portava due stemmi diversi, uno risalente forse a suo padre e un altro risalente forse alla nonna paterna.

Il mistero dell'evoluzione di tutte queste armi resta da svelare e per ora si brancola nel buio più assoluto.

Ma la legittimità a portare queste armi? Scomparsi i Didier della Motta legittimi, per il Regno d'Italia la nobiltà non si trasmetteva ai figli illegittimi e tanto meno questi avevano il diritto di portarne il blasone. Se erano figli riconosciuti dal padre, potevano portare il blasone brisato ma spesso portavano le armi della famiglia paterna. Oggi chiunque può scegliersi uno stemma e portarlo come meglio crede, sempre che questo stemma non sia registrato come un marchio di fabbrica.

 

 

 




Ossa vecchie e la leggenda dell'antica maledizione


 
 

 

Esiste una maledizione su questo cognome? Visti i tragici eventi da cui sono stati colpiti le persone che portavano questo cognome dalla sua origine, verrebbe il dubbio di sì. Ma è solo un sospetto, perché la risposta certa è no, non esiste nessuna maledizione, solamente un concorso di cause sventurate che hanno portato la rovina e la sventura su questa come su molte altre famiglie nobili delle quali poi se ne sono perse perfino le tracce. Sta di fatto che prima di assumere il predicato "della Motta", quando i Didier erano solo Didier, la fortuna arrideva loro, anche se Claude il procuratore fiscale è mancato ancora giovane. Dopo essere saliti di fortuna e di grado, da quando Vittorio Amedeo assunse il predicato unendolo al cognome Didier che era a lui proprio, sono piovute disgrazie e una inarrestabile decadenza che uno dopo l'altro ha colpito tutti i rami di essa. C'è chi potrebbe pensare che l'oscura maledizione abbia avuto origine da prima, perché Barthelemy o Bartolomeo, assunte le armi dei de Columnis de Ollis non ne assunse il cognome. Sembra che la mancata promessa di continuare la famiglia de Columnis de Oliis sia alla base della supposta sventura. Altra voce, altrettanto destituita di fondamento, sarebbe che il mite abate Baudisson, fulminato dalla censura che Vittorio Amedeo gli lanciò, privandolo della cattedra e dell'insegnamento, e che gli capitò tra capo e collo, furibondo per questo, giurò di vendicarsi e lanciò una terribile maledizione, che tuttora dura. Ma non possiamo proprio immaginarci o gli spettri dei tracotanti Columnis de Ollis o l'abate Baudisson intento a lanciare il maleficio, e queste leggende le releghiamo con le altre con il fantasma del monaco che, a volte, qualche membro della famiglia raccontava di aver visto nella casa di Rivalta di Torino nelle sere di novembre.

 





 
Luigi Einaudi, primo presidente della Repubblica Italiana




 
Luigi Einaudi primo presidente della Repubblica Italiana

Luigi Numa Lorenzo Einaudi nacque a Carrù il 24 marzo 1874 e morì a Roma il 30 ottobre 1961. Secondo presidente della Repubblica Italiana, e primo ad essere eletto dal Parlamento italiano, era un politico, un insigne economista e giornalista nonché accademico. Membro dell'Assemblea Costituente, è considerato tra i padri della Repubblica Italiana.
Credits: Questo articolo in sunto è tratto da Wikipedia.org.
Per una biografia completa vedi:
https://it.wikipedia.org/wiki/Luigi_Einaudi





 
E oggi? La storia va avanti, e continua a essere strumentalizzata, politicizzata, distorta.




 
 

 

Il Parlamento ha proposto come data in cui celebrare “tutte le vittime dei regimi totalitari” il 23 agosto, giorno della firma del patto Molotov-Ribbentrop, perché a detta dei proponenti la risoluzione “la Seconda guerra mondiale, il conflitto più devastante della storia d’Europa, è iniziata come conseguenza immediata del famigerato trattato di non aggressione nazi-sovietico del 23 agosto 1939”.

Con queste premesse, basate su dichiarazioni storiograficamente false, l'Europa come tale non può andare da nessuna parte. Come è possibile assimilare Nazismo e Comunismo in questo modo? E' indubbio che si sono macchiati in differente misura di crimini, come le Democrazie occidentali. Ma che dei parlamentari, che dovrebbero essere storicamente istruiti, arrivino a considerazioni simili, vuol dire che essi hanno perso la neutralità e la lucidità di giudizio storico, o forse che vogliono manipolare a loro talento la storia per usarla ai propri fini.
 

 

 

 

Attoniti riportiamo alcune parti del dettato della risoluzione, piena di dati assolutamente contrari a quello che gli storici ci dicono.

B9-0098/2019

Risoluzione del Parlamento europeo sull'ottantesimo anniversario dell'inizio della Seconda guerra mondiale e l'importanza della memoria europea per il futuro dell'Europa

(2019/2819(RSP))

Il Parlamento europeo,
 

 






 




 



 

Ma scherziamo? E' senza nessun dubbio la più grande fandonia propinata dopo quella che l'Incendio di Roma è dovuto a Nerone, il quale suonava la lira e componeva versi sull'Urbe che bruciava. Con panzane simili non si fa l'Europa.





 
Una immagine per l'Europa 1.




 
 

 

Una immagine rappresentativa dell'Europa di oggi, sopratutto quella di Bruxelles dove, ma anche in molte altre parti, sono presenti numerose e laboriose Musulmane che si possono ancora vedere, per adesso, nel loro costume tradizionale. Non siamo Jihadisti Cristiani come i Crociati, che vengono spesso evocati per comodità dai Jihadisti di paesi Arabi dove mai hanno messo piede, ma abbiamo imparato il rispetto per le diverse culture, e questa immagine non ci scandalizza per niente. Tuttavia nella nostra ignoranza avremo da proporre anche l'immagine che segue come rappresentativa delle origini dell'Europa, almeno quella del passato.

 





 
Una immagine per l'Europa 2.




 
 

 

Questa è un'altra proposta, la nostra, dell'identità Europea, se proprio la si vuole trovare. Una donna Vandala, cioè appartenente a quel numeroso gruppo di tribù dai quale dopo l'invasione dell'Impero Romano, civiltà che guardava storicamente all'Oriente, ebbero origine i vari regni Romano Barbarici. Questi regni acquisirono poi una religione orientale, il Cristianesimo, di matrice prettamente ebraica, abbandonando le loro divinità pagane. Solo che le popolazioni germaniche erano considerate stupide, flebili, anche paurose dai Romani, che non le temevano. Questo può crearci oggi un grande imbarazzo, ma bene o male, queste sono le nostre origini.

 





 
Commiato per un casato senza castelli




 

Estinta la famiglia Didier della Motta cosa ne rimane? Rimane il cognome che prosegue nei discendenti del ramo illegittimo di Felice.

Questi sotto tutela della madre, visse di fatto con una famiglia di onesti agricoltori. Felice non ereditò niente dagli estinti Didier della Motta, i sopravvissuti di allora erano così nobili da non volerne sapere nulla di lui. Non riconosciuto da suo padre, cresciuto senza le cure e l'educazione della madre, che per motivi contingenti dettati dalla società di allora fu costretta ad allontanarlo, quando si sposò creò una propria famiglia, la quale conosceva pochissimo o niente della storia dei Didier della Motta, dai quali era sempre stata tenuta lontana.

La sua situazione di figlio illegittimo naturale riconosciuto dalla madre, lo poneva giuridicamente con il Regno d'Italia, nella posizione di non avere alcun diritto sulla nobiltà e tanto meno sul titolo nobiliare, sia per linea paterna che per linea materna, e questo era valido anche per i suoi discendenti. Come non aveva titoli per ereditare dalla famiglia nobile in questione.
Con la Repubblica Italiana la posizione riguardo alla partecipazione all'asse ereditario muterà fino a non porre più differenze fra figli legittimi, illegittimi, naturali, legittimati o adottivi.
Quella riguardo la nobiltà e i titoli, è per la Repubblica Italiana insignificante, in quanto nessuna nobiltà è più riconosciuta.

Del resto le antiche tradizioni e memorie storiche che caratterizzavano i Didier della Motta, come i loro valori, sono andati così persi irrimediabilmente.

Quella che era stata con Vittorio Amedeo la caratteristica nobiliare della famiglia, la riuscita negli studi e il lustro acquistato nell'Ateneo, erano già sparite da un pezzo anche nei Didier della Motta originari.

 


 

Non ci sono stati castelli in questo casato ma ci sono personaggi che hanno vissuto a modo loro e come potevano, il loro tempo.

 

"Principibus placisse viris non ultima laus est".

Vittorio Amedeo