Vittorio Amedeo: un raccomandato ma meritevolissimo
Vittorio Amedeo Francesco fu fin da giovanissimo di grande ingegno, un letterato, un raccomandato meritevolissimo. E fu grazie
all'acutezza del suo ingegno che ricoprì alcune cariche nella regia Università di Torino.
Vittorio Amedeo Francesco e la consorte Rosalia Cavalleris di Rivarossa
Vittorio Amedeo
Vittorio Amedeo Francesco: Cenni biografici
1 conte della Motta
VI VITTORIO AMEDEO FRANCESCO (nato a Venaria il 1 Maggio 1730, morto a Torino S. Francesco da Paola il 18 Novembre 1808) Testa il 23/1/1795 (Testamenti Del Senato poi Corte di Appello di Torino secoli XVIII e XIX MAZZO 1 57 DIDIER Vittorio). Cavaliere, dottore collegiale in leggi I' 1l Agosto 1751. Censore e avvocato fiscale della regia Università di Torino ad interim il 30 Ottobre 1761, fisso il 12 Novembre 1762. Titolo e impiego di Senatore il 6 Ottobre 1768.
Consigliere regio an. Patenti 11 apr. 1777 “mentre copriva e copre ancora oggi la carica di censore” Cariche del Piemonte dal secolo X fino al 1798 Torino Tomo II voce Didier t.2 P 68-74
Riformatore degli studi di Torino il 23 Maggio 1777.
Conservate sue: “Memorie del Censore Senatore Didier per ottenere in rimunerazione delle varie sue incombenze un'aggiunta in suo favore ai dritti, che si percevono nella consecuzione de' gradi sugli esami, ed altre provvisioni del Magistrato. 10 gennajo 1769.”
Archivi stato Torino, Livelli: MATERIE ECONOMICHE / ISTRUZIONE PUBBLICA /
REGIA UNIVERSITA' DI TORINO .
Consigliere di S.M. Vittorio Amedeo III.
regie patenti di infeudazione del feudo della Motta, con titolo e dignità comitale. Accordate 14 gennaio 1791 al Sig. Comm. et sen. Didier (Cariche del Piemonte dal decimo secolo al dicembre 1798 Torino a voce Didier tomo 2 p 68-74
In feudato della Motta (feudo della Motta presso San Pietro Mosezzo, Novara), Motta (La) nel feudo di San Pietro Mosezzo, smembrato e infeudato come contea il 14 Gennaio.(Guasco) diploma del 25 gennaio. Investito il 31 Gennaio 1791 Investitura del 31 gennaio col titolo Comitale per maschi e una femmina. reinvestito il 3 Marzo 1797 (Nda: Il 7.3.1797 il nuovo re, Carlo Emanuele IV, proclama un editto in cui dichiara tutti i beni feudali esistenti nei suoi Stati sciolti da ogni dipendenza. Con l'editto seguente del 29 luglio 1797 si considera la fine della feudalità e delle investiture .)
(Antonio Manno DIZIONARIO FEUDALE ANTICHI STATI CONTINENTALI DELLA MONARCHIA DI SAVOIA)
Biblioteca della Società storica subalpina - Volume 56 - Pagina 67
1911 -
Nel feudo di S. Pietro Mosezzo. (vedi S. Pietro Mosezzo). Smembrato ed inf. a DIDIER Vittorio Amedeo l'79l l 4 genn. C.
Sposa a Torino S. Filippo il 14 Ottobre 1752 Rosalia Bartolomea Cavalleris di Rivarossa, dama di camera dei principi della duchessa dì Savoia (María Antonia Fernanda de Borbón y Farnesio Infanta di Spagna, Figlia di Filippo V re di Spagna)
Rosalia Cavalleris di Rivarossa
Rosalia Bartolomea Cavalleris di Rivarossa Cenni biografici
Rosalia Bartolomea Cavalleris di Rivarossa, dama di camera dei principi della duchessa dì Savoia (María Antonia Fernanda de Borbón y Farnesio Infanta di Spagna, Figlia di Filippo V re di Spagna che, molto religiosa, introdusse la severa etichetta Spagnola alla corte dei Savoia) il 18 Luglio 1760
(nata nel 1735; morta a Torino S. Francesco da Paola il 5 Ottobre 1813), figlia di Carlo Bonifacio e Anna Margherita Avezzana.
Sposa a Torino S. Filippo il 14 Ottobre 1752 Vittorio Amedeo Francesco figlio del Commendatore Bartolomeo Didier.
Nel1788 compare come dama di camera della Principessa di Piemonte (Marie Adélaide Clotilde Xavière de France, dal 1796 regina di Sardegna, in esilio nel 1799 morta nel 1808)
...
Pensione
11 pratile 1806
Didier, nata Cavalleri Rivarossa, Agne-se Rosalia Bartolomea donna di-
camera della regina
Filiazione:
1 Maria Teresa Caterina (nata a Torino SS. Stefano e Gregorio il 9 Agosto 1753) Poetessa
2 Angela Gabriela Lucia (nata a Torino S. Filippo il 22 Settembre 1754, morta a Torino S. Giovanni il 24 Ottobre 1755).
3 Francesco Antonio Bartolomeo Enrico (nato a Torino S. Giovanni il 6 Settembre 1755, morto a Torino S. Giovanni il 29 Gennaio 1760).
4 Carlo Francesco Saverio (VII)
5 Anna Giovanna Maria (nata a Torino S. Giovanni il 7 Settembre 1758), dama di camera destinata alla contessa di Provenza il 12 Dicembre 1792. Pensione di £ 400 il 17 Gennaio 1792. Sposa:
1N... Gandolfo, sostituto avvocato fiscale a Cuneo.
6 Giuseppe Martino Carlo (nato a Torino S. Giovanni il 11 Novembre 1759, morto a Torino SS. Sindone e sepolto nella reale cappella il 23 Febbraio 1763).
7 Felice Camillo Ludovico (nato a Torino SS. Sindone il 20 Luglio 1762).
8 Pietro Agostino Giacinto Maria (nato a Turino SS. Sindone il 25 Novembre 1765, morto a Venaria il 18 Dicembre 1767).
9 Vittorio Gaetano Giuseppe Bartolomeo (VII)
10 Giacinto Luigi Maria (nato a Torino SS. Sindone il 19
Giugno 1773).
11 Maria Margherita Virginia sposa il conte Giovanni Robert de Rostang.
Vittorio Amedeo il Riformatore
Poeta, in gioventù doveva vivere alla Venaria immaginandosi in un mondo Arcadico popolato da pastorelle e pastori, quando non era impegnato a Torino nel laurearsi in ambo leggi, cioè diritto canonico e civile.
Sorprende per la sua giovane età l'acutezza della sua tesi sull'imperium. La passione per la poesia di natura prettamente pastorale e Arcadica lo accompagnerò per tutta la sua vita.
"Ho scritto folle di poesie" dirà. La sua produzione
sarà anche in Latino, in piemontese e Italiano.
Avrà una fortunata e discreta ascesa con Vittorio Amedeo III, quando ottenne il titolo di Senatore,
Rifomatore, Consigliere regio e sarà redattore delle nuove Costituzioni Universitarie che regoleranno
gli studi del regno di Sardegna.
L'Università degli Studi di Torino
"Palazzo università cortile interno Torino" di Franco56 - fotografia personale. Con licenza CC BY-SA 3.0 tramite Wikimedia Commons.
Università degli Studi di Torino
www.torinoxl.com.Con licenza CC
Galleria dei Dotti
La Galleria dei Dotti, nella corte d’onore del palazzo dell’Università, ha una storia lunga quasi tre secoli, ha visto transitare e successivamente sostare nei suoi porticati illustri sapienti e grandi maestri della conoscenza.
Il duca dà inizio ai lavori per la costruzione del nuovo palazzo accademico in via Po nel 1713, affidando il progetto a Michelangelo Garove, coadiuvato da Pier Francesco Garoli e Giovanni Antonio Ricca.
La Galleria dei Dotti, il tempio delle muse.
La galleria rimane pressoché invariata fino ai primi anni del XIX secolo, quando tutti i reperti archeologici vengono trasferiti nella più idonea sede del museo di archeologia, nel palazzo dell’Accademia delle Scienze,
e la galleria destinata a esporre i busti degli uomini illustri che hanno insegnato nell’Università torinese.
Nella Galleria dei Dotti trovano spazio 54 opere scultoree, dedicati agli insigni maestri che hanno dato lustro all’ateneo sabaudo.
I più grandi nomi della storia torinese trovano posto nei porticati dell’università, da Gioberti a Francesco Ruffini, da Luigi Cibrario a Amedeo Avogrado, Lagrange, Amedeo Plana, Giuseppe Timermans, Amedeo Peyron, Luigi Gallo, Pier Carlo Boggio, Giuseppe Dionisio, Luigi Mattirolo, Cesare Alfieri di Sostegno, Carlo Boucheron, Paravia e tanti altri che hanno lasciato il segno nell’istituto nel corso dei secoli.
La Galleria dei Dotti, il tempio delle muse
Oltre ai monumenti dedicati ai dotti all’interno del cortile dell’ateneo è possibile ammirare due intense opere marmoree concepite da grandi artisti del panorama torinese: la fama che incatena il tempo realizzata nel 1788 dai fratelli Ignazio e Filippo Collino.
Dopo trecento anni, entrare nel palazzo dell’Università e passeggiare tra i porticati della galleria dei Dotti lascia una sensazione di piccolezza transitando ai piedi delle statue di personaggi tanto importanti.
Credits:
La Galleria dei Dotti, il tempio delle muse
Storie, Storie di Torino / Di Patrizia Guariso / 5 Marzo 2016
La Riforma Universitaria finanziata con i soldi della soppressione anche del monastero di Rivalta
Il Vallardi, nella sua magnifica storia dell'Università di Torino ci dice come venne finanziata la Riforma Universitaria e come in molte parti non venne
attuata:
Piacque all'accorto Sovrano il consiglio del Caissotti, e ordinò che altre costituzioni per l'università
si compilassero sotto la direzione del gran cancelliere. Ma mentre colorivasi questo disegno,
conoscendo Carlo Emmanuele, come i novelli ordinamenti
sarebbero riusciti infruttuosi, ove fosse
mancato il mezzo di sopperire alle maggiori spese,
richieste dal quotidiano progredire delle scienze andava ripensando in qual modo egli potesse mettere
insieme il necessario danaro, senza assottigliare
il publico erario, ed opprimere con nuove
gravezze i suoi popoli. Quando uno gliene occorse assai opportuno. Erano nei regii stati due badie,
denominate l'una di Rivalta sotto il titolo dei santi
Pietro ed Andrea, l'altra di Casanova. La prima
fruttava a que' tempi cento fiorini d'oro; la seconda
cento sessanta. Vedendo il re qual utile
fosse per ridondare all'università da una parte di questa entrata, l'anno 1770 ebbe ricorso al sommo
pontefice Clemente XIV, il quale sopprimendo l'abbazia di Rivalta, né assegnò la rendita allo studio
di Torino, e riservò a favore del medesimo una pensione perpetua di lire dodicimila sulla badia di
Casanova.
Intanto sul finire del 1771 era compiuto l'ordinamento
delle nuove costituzioni universitarie ,
e il re ne segnò l'originale il 9 di novembre. Ma
essendosi fatte dai deputati alla stampa moltissime correzioni, le quali parvero necessarie per la maggiore accuratezza ed intelligenza del testo, S. M.
annullò il primo originale , e conservando l'antica data ne segnò un altro il 14 di marzo del 1772.
E correndo il mese di giugno dell'anno stesso
furono publicate in tutti i regii stati, in uno
coi regolamenti compilati dal magistrato della riforma. Sebbene a queste costituzioni siasi
poscia derogato in molte parti, nondimeno sono pur quelle, secondo le quali reggesi tuttavia la nostra università.
Vittorio Amedeo III di Savoia re di Sardegna
Vittorio Amedeo III
Vittorio Amedeo III di Savoia nacque a Torino il 26 giugno 1726 e morì in Moncalieri, 16 ottobre 1796. Re di Sardegna, duca di Savoia, principe di Piemonte nonché conte d'Aosta dal 1773 al 1796, si sposò nel 1759 con la più giovane figlia di Filippo V re di spagna e Elisabetta Farnese. Maria Antonietta di Spagna. Salì al trono nel 1773 e, per quanto conservatore, portò avanti numerose riforme amministrative sino alla dichiarazione di guerra alla Francia rivoluzionaria nel 1792. Fu il padre degli ultimi tre re di Sardegna del ramo principale dei Savoia (Carlo Emanuele IV, Vittorio Emanuele I e Carlo Felice); Con Carlo Felice, morto senza eredi la linea principale dei Savoia si considera estinta e la successione passò nel 1831 i Savoia-Carignano.
L'acquisto della commenda di San Victor da parte del padre di Vittorio Amedeo, Bartolomeo
Bartolomeo, il padre di Vittorio Amedeo, dopo il matrimonio si era ritrovato proprietario terriero alla Venaria,
aveva comperato una commenda di Santi Maurizio e Lazzaro come si usava ai tempi per garantire
il proseguo della nobiltà ai discendenti. La terra era ancora la ricchezza preminente in quei tempi.
Se per 3 generazioni si teneva la carica di commendatore
la nobiltà sarebbe stata trasmissibile alle future generazioni.
Le Costituzioni
Le regie Costituzioni Universitarie
La compilazione delle regie Costituzioni Universitarie sono la fatica più importante di Vittorio Amedeo.
Le redasse in Italiano e in Francese ma per motivi legati a problemi riguardanti la stampa videro la luce
posteriormente alla data indicata del 1772. Le costituzioni regolavano non solo
l'insegnamento universitario ma anche le scuole di ogni ordine e grado
Vittorio Amedeo dottore in "Ambo Jus"
Card title
La sua tesi di dottorato:
Victorius Amedeus Didier e Venatoria regis Villa ad honestæ missionis gradum anno 1750. calendis Junii hora 5. pomer
Vittorio Amedeo fece parte del Magistrato della Riforma e come tale viene considerato il principale compilatore delle
Costituzioni Universitarie del 1772
I componimenti poetici
I componimenti poetici
Vittorio Amedeo compose moltissime poesie, da grande appassionato della metrica si cimentò nei sonetti.
La sua opera più famosa resta :"Per la venuta alla Venaria delle Altezze di Vittorio Amedeo duca di Savoia e Maria Antonia Ferdinanda
infanta di Spagna". Il componimento appartiene alla sua giovinezza.
Scrisse in tre lingue
e compose le sue opere in Italiano, Latino e Piemontese. Il suo autore
prediletto era Orazio, il poeta Latino del quieto vivere.
Conoscenza con il Baretti.
In Inghilterra il giornalista e scrittore Baretti pubblica un volume di memorie dove, tra i diversi personaggi
illustri del suo Piemonte, cita anche Vittorio Amedeo. Fingendosi lui gli fa, nella finzione
letteraria, inviare tre lettere a suoi conoscenti. Sono lettere ironiche e piene di brio,
la prima dove Vittorio Amedeo si dice entusiasta dello stile gotico della cattedrale di Vercelli,
e sappiamo come al contrario Vittorio Amedeo acclamasse lo stile opposto, quello neoclassico.
La seconda dove loda le stufe Inglesi che ha posizionato nella sua tenuta di Moncalieri, evidentemente
Vittorio Amedeo non doveva amare le stufe o forse si ironizza sul fatto che la
gelida casa sia apparentemente super riscaldata grazie a queste stufe. E una terza lettera di altro argomento.
Il Baretti conosceva bene Vittorio Amedeo, e nell'ironia ce lo mostra come una persona galante e sempre
pronta a infilarsi in qualche nuovo posto. Questo tratto caratteriale corrisponde a come ce lo
descrive più tardi il Morardo.
Giacomo Leopardi, dotato di poca propensione all'ironia, giudicherà il Baretti:
« spirito in gran parte altrettanto falso che originale, e stemperato nel dir male,
e poco intento o certo poco atto a giovare, e sì per la singolarità del suo modo di pensare e vedere,
benché questa niente affettata, sì per la sua decisa inclinazione a sparlare di tutto,
e il suo carattere aspro e iracondo verso tutto, il più delle volte alieno dal vero ».
Non abbiamo riscontri sull'effetto che fecero le lettere su Vittorio Amedeo, ma possiamo pensare
secondo quanto sappiamo del suo carattere che ne abbia tranquillamente sorriso, e che il suo giudizio sul Baretti,
nonostante il caratteraccio di quest'ultimo, non fosse negativo.
Giuseppe Marco Antonio Baretti
Giuseppe Marco Antonio Baretti
Giuseppe Marco Antonio Baretti
Conosciuto anche con lo pseudonimo di Aristarco Scannabue (Torino, 24 aprile 1719 – Londra, 5 maggio 1789),
fu un polivalente letterato italiano, ora critico letterario, ora traduttore, poeta, anche giornalista,
si cimentò in composizioni da drammaturgo, lessicografo e linguista.
Di carattere irriverente e ribelle, Baretti si distingue per il fiero spirito di indipendenza,
che lo condusse a non schierarsi. La sue è un'autonomia di pensiero che non trova riscontro negli intellettuali italiani
del suo tempo. Viaggiò a lungo in Italia e in Europa, ma visse e lavorò per un per oltre un trentennio a Londra, città
che gli era congeniale e più adatta al suo spirito. Studiò e insegnò con grande impegno e passione le lingue
e queste gli permisero di conoscere altre culture.
Il suo fu in genere uno stile discorsivo e a cui applicò la finzione, tipici connotati della stampa periodica inglese di allora,
come lo Spectator e il Tatler di Joseph Addison e Richard Steele. Baretti assunse la 'maschera' di Aristarco Scannabue
e fece della sua Frusta letteraria una originale arma polemica contro quelli che considerava ostacoli allo svecchiamento della lingua e della cultura
italiane oltre che un impedimento all'accessibilità e più ampia diffusione della cultura.
Vittime dei suoi bersagli furono la stucchevole poesia d'Arcadia, gli imitatori e difensori di Petrarca,
le pratiche passatiste dell'Accademia della Crusca. Caratteristica la sua lotta all'erudizione accademica,
al bigottismo religioso.
Vittorio Amedeo anche se poeta e letterato coltivò interesse per la fisica,
e questo è anche dimostrato dalla sua grande amicizia negli anni 1790 con il ben più giovane abate Eandi, fisico e matematico.
Antonio Maria Vassalli Eandi
Eandi
Antonio Maria Vassalli Eandi nacque a Torino, 30 gennaio 1761 morì in Torino, 5 luglio 1825.
E' stato un abate, professore di fisica e matematica all'Università degli studi di Torino,
nonché latore di missioni diplomatica nel periodo rivoluzionario.
Si interessò e insegnò le materie di fisica e matematica. Ricercartore e un pedagogista,
studiò sotto l'insegnamento di Giovanni Battista Beccaria. Scrisse tra le altre opere:
Memoria sopra il bolide degli 11 settembre 1784 e sopra i bolidi in generale, che compose nel 1786.
credits:
Con Vittorio Amedeo, quando era diventato Censore fisso, l'Amministrazione dell'Università fece istallare un sistema Celeste
o globo celeste nel Teatro Anatomico,
appeso alla volta, questo tra il 3 maggio e il 6 giugno 1764. Non sappiamo
come questo sistema Celeste fosse, forse si trattava di un modello
in legno che proveniva dalla vasta collezione di modelli e manufatti della regia Università.
Un modello ben conservato non di globo celeste ma di planetario, posizionabile a terra,
si trova nelle collezioni di Palazzo Madama. E' uno strumento
scientifico che riproduce la configurazione del
sistema solare come era conosciuto alla metà
del Settecento, con i pianeti fino a Saturno e
le fasi lunari.
La Sfera Celeste
Il Sistema Celeste
L’uso di raffigurare la sfera celeste con tutte le costellazioni sopra una sfera materiale risale agli antichi Greci.
Ne troviamo una testimonianza nell’Almagesto, dove Tolomeo descrive come costruire un globo celeste di rame con i relativi cerchi di riferimento per individuare la posizione delle stelle elencate nel suo catalogo stellare. Fu questo l’uso che ne fecero gli astronomi fino a Ottocento inoltrato.
Sul globo le costellazioni sono viste specularmente rispetto alla loro posizione in cielo.
Un divulgatore scientifico francese del Settecento
Che cosa era un planetario? Data la passione scatenata all'epoca per la fisica e specialmente
per l'astronomia cerchiamo meglio di capire di cosa si parla. Vediamolo parlando prima dell'Abbè Nollet
un Piero Angela di allora che nel Settecento aveva fans da vendere, un vero divulgatore scientifico eccezionale.
Per questo ci aiuteremo
prendendo alcuni paragrafi dal veramente pregevole articolo:
Tra arte e scienza: il restauro del planetario
di Pietro Piffetti
Clelia Arnaldi di Balme, Stefania De Blasi,
Paolo Luciani, Giuseppe Masson
Jean-Antoine Nollet, detto
l’Abbé Nollet.
La serie di lezioni è stata pubblicata a Parigi in sei volumi tra il 1743 e il 1764 e ha avuto un tale successo da essere riedita più volte nello stesso secolo.
Il fisico francese aveva raggiunto una discreta notorietà in tutta Europa come insegnante,
oratore e costruttore di strumenti scientifici.
Nel 1739 era stato accolto come membro all’Académie royale des sciences de Paris
e la sua carriera di conferenziere era apprezzata dagli accademici come dai frequentatori dei salotti
internazionali interessati alle curiosità naturalistiche e agli esperimenti scientifici
Come egli stesso affermava, il gran numero di Corsi da lui tenuti
dimostrava
che la scienza era argomento adatto per tutti,
soprattutto per il pubblico femminile. Nel
1739 il fisico fu chiamato da Carlo Emanuele
III per tenere un corso al figlio Vittorio Amedeo, principe del Piemonte, futuro Vittorio
Amedeo III. Inoltre, dieci anni dopo l’abate
Nollet intraprese un lungo viaggio in Italia
per raccogliere informazioni sulle conoscenze
scientifiche del paese oltre che per controllare le proprietà terapeutiche delle scariche elettriche,
che allora era un argomento molto dibattuto.
Di nuovo trascorse molto tempo a Torino. La visita della capitale sabauda aveva però un obiettivo nascosto:
il fisico era stato incaricato dal re di Francia di
documentarsi sulla produzione di seta in Piemonte, regione che risultava all’avanguardia
in questo campo con tecniche e manifatture
moderne e prodotti di estrema qualità.
Il primo viaggio dell'abate Nollet a Torino
Nollet a Torino nel 1739 aveva portato
per Carlo Emanuele III tutta una serie di strumenti che il re aveva poi lasciato in dono all’università.
Dieci anni dopo, trovandosi di nuovo
in città, Nollet ne aveva verificarne lo
stato di conservazione.
Nei primi inventari del “Gabinetto di Fisica” dell’università torinese,
si ritrovano elencati alcuni di questi strumenti, in un inventario di metà Settecento del Gabinetto dell'Università
si trovano 232 macchine fisiche che comprendono gli strumenti di Nollet e
gli strumenti realizzati da Giuseppe Francalancia "machinista".
Credit
RIJKSMUSEUM / SCIENCE PHOTO LIBRARY
Caption
18th century illustration of a planetarium, shaped as a wooden box and decorated with planets and zodiac signs. Print by Nicolaas van Frankendaal in 1759.
Rivoluzione Copernicana ormai si è affermata
Verso la metà del Settecento la cosiddetta rivoluzione copernicana si era
ormai imposta in tutto l’ambiente scientifico.
Tuttavia l’insegnamento della nuova teoria planetaria,
che in quegli anni di grande agitazione intellettuale si voleva estendere non solo
ai privilegiati che potevano accedere all’istruzione superiore, ma anche a una classe
di media borghesia che grazie alla rivoluzione industriale poteva disporre di adeguati mezzi,
incontrava non poche difficoltà.
La configurazione
La configurazione prevista da Nollet rispecchia ovviamente la struttura del sistema solare come era nota alla metà del Settecento, quando già da più di un secolo il cannocchiale era uno strumento fondamentale per le osservazioni astronomiche;
si trattava però del cannocchiale acromatico.
I pianeti conosciuti
pianeti erano quelli visibili a occhio nudo e noti dall’antichità: Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno oltre alla Terra, alla quale si erano aggiunti i satelliti più luminosi: i quattro di Giove, scoperti da Galileo, e i cinque di Saturno, di cui il primo scoperto da Huygens e gli altri quattro da Gian Domenico Cassini. Il planetario secondo Nollet era il necessario strumento didattico per integrare l’esposizione della struttura del sistema solare.
Credits:
Tra arte e scienza: il restauro del planetario
di Pietro Piffetti
Clelia Arnaldi di Balme, Stefania De Blasi,
Paolo Luciani, Giuseppe Masson
Jean Antoine Nollet
Jean Antoine Nollet
Jean Antoine Nollet, o anche l'abate Nollet (19 dicembre 1700 – 25 aprile 1770).
Membro dell'Académie Royale des Sciences di Parigi nel 1740.
Fu un fisico sperimentale francese, e un abilissimo dimostratore settecentesco.
I suoi studi di teologia lo appassionarono poco e volse i suoi interessi
alla scienza. Assistente di Charles François de Cisternay du Fay e
poi di rené-Antoine Ferchault de Réaumur, entrò ben presto entrò
in contatto con i principali divulgatori fisici newtoniani.
Bernardo Bellotto 1721-1780 -View of Turin near the Royal Palace - 1745 - Galleria Sabauda Torino
Vivere nella Torino Barocca
La grande nobiltà, quella delle antiche famiglie, o anche solo quella che risale al XVI secolo, vede nei Didier dei parvenu, dei borghesi arricchiti, magari dotati di buon ingegno ma sempre borghesi,
insomma versipelle che si trasformano in nobili, dei mostri votati al successo solo grazie al favore regio.
Sono i nuovi arrivati alla Torino dell'epoca, che usa il barocco per farsi splendente in modo da coprire con stucchi e decorazioni quel titolo regio che i Savoia hanno ottenuto troppo di recente. Bisogna ricordare che i Savoia erano si duchi, ma sono re solo dal 1720, anche se prima Vittorio Amedeo II ha avuto la breve parentesi come re di Sicilia dal 1713.
Nel club esclusivo dei grandi regnanti, Francia, Spagna, Prussia, Austria, i Savoia come re sono considerati con sottostima. Sono doppiogiochisti, che come ebbe a dire Luigi XV "non iniziano una guerra sotto una bandiera senza finirla sotto un'altra". Ma questo era possibile dirlo di ogni altro regno.
Del resto la Savoia e il Piemonte erano terra di passaggio dove i passi Alpini avevano per i contendenti un interessa strategico, per questo la dinastia si dotò di un esercito e di formidabili fortezze. Un regno battagliero perché stato cuscinetto tra Francia e Austria, due potenze in eterna lotta fra loro.
La Torino del settecento
Dirck Jansz van Santen (1636–1708) - AVGUSTAE TAVRINORVM PROSPECTUS - 1682 - Koninklijke Bibliotheek - public domain
Questo bel prospetto della città di Torino fu pubblicato nel 1682 dagli eredi di Giovanna Blaeu nel quarto volume dei Cittadini d'Italia. Questa veduta della città deve certamente essere attribuita all'attualità del libro di città: la mappa fu disegnata e disegnata da Giovanni Thomaso Borgonio (c. 1620-1684) che pubblicò nel 1680 a Torino una grande e influente mappa della sua zona natale, il Piemonte. Questa veduta della città è stata probabilmente disegnata nell'ambito dell'indagine.
Torino nel settecento
Ma come era Torino? La Torino medioevale centrata sul castello di Piazza castello è cresciuta
e in epoca barocca si è rifatta il look.
Da città capoluogo con Emanuele Filiberto passerà a capitale del Ducato.
I Savoia ne faranno nel 600 il loro centro di potere, non dimenticando la parte militare
caratterizzata dalla Cittadella. Il Palazzo reale,
il quattrocentesco e freddo Duomo, dove Carlo Felice volle far murare la finestra principale
per poter assistere alle messe senza gelare,
il Santuario della Consolata, questi saranno i luoghi dove si svolgeranno
le cerimonie sacre della corte. Il Corpus Domini, il Santuario di Santa Maria del Monte
o Monte dei Cappuccini con la Cappella della Sindone, saranno sempre più legati
alla corte. Nello studio Universitario, situato presso il Comune, si
incontreranno ancora i collegi delle varie professioni, in equilibrismo tra
il potere Ducale e quello municipale, questo ultimo faceva punto di riferimento nella
chiesa del Corpus Domini.
Un mercato popolare in Piazza San Carlo. Dipinto conservato alla GAM, opera di
Giovanni Michele Graneri (1752)-Fonte:https://www.piemontetopnews.it/wp-content/uploads/2022/04/GAM-Giovanni-Michele-Graneri_Piazza-San-Carlo_1752.jpg
Piazza San Carlo detta piazza Carlina
Il mercato di piazza Carlina a Torino nel 1751.
Molte erano le piazze di Torino animate da mercati. Tra queste, la Piazza delle Erbe ossia Piazza San Silvestro, oggi piazzetta del Corpus Domini dove si vendevano farine e granaglie, la Piazza del Grano, la Piazza del Vino e quella del Burro,
inglobata nell’isolato del Palazzo di Città, mantenendo però la storica denominazione di “Corte del Burro”. Erano quindi mercati specializzati
in singoli generi. Ambulanti, coltivatori, produttori di ciascun genere si ritrovavano nel mercato specializzato per ogni quartiere.
Era lo stesso criterio delle botteghe e dei negozi, tutti raggruppati nella stessa via e in vie differenti per ogni specializzazione.
Sarebbe stato difficile acquistare un martello per esempio in via dei Pelliocciai, o in via degli Stipettai o ancora alla contrada del Fieno.
Giovanni-Michele-Graneri-Torino-1708-1762 - Il-Mercato di Porta Palazzo_ VIII secolo - Fonte: https://www.piemontetopnews.it/wp-content/uploads/2022/04/Giovanni-Michele-Graneri-Torino-1708-1762-Il-Mercato-di-Porta-Palazzo_XVIII-Secolo-2.jpg
Porta palazzo
Il mercato di Porta Palazzo a Torino nel 1700.
La Piazza Palazzo della città, anticamente chiamata piazaza delle Erbe, dove si svolgeva il mercato delle erbe.
La Cittadella
Mario Antonio Rossi - Opera propria - Museo Nazionale dell'Artiglieria di Torino visione d'insieme - autorizzazione: CC BY-SA 3.0
La Cittadella
La cittadella di Torino (sitadela 'd Turin in piemontese) era una fortezza a forma di pentagono che sorgeva nel tratto della antica cinta muraria
localizzata a sud est dell'attuale centro storico. Costruita intorno agli anni 1564 e non più tardi del 1577 deve
il suo progetto a Francesco Paciotto su commissione di Emanuele Filiberto di Savoia. Il nuovo Duca
voleva rendere più moderne le difese della città, visto lo spostamento
della capitale da Chambery a Torino. Ebbe il suo momento
di gloria all'epoca della guerra di Successione Spagnola, quando nel 1706
l'esercito di Luigi XVI l'assediò.
Smantellata in epoca Napoleonica, oggi ne sopravvive il Mastio,
cioè l'ingresso e i due piani di esso,
storica sede del Museo nazionale di artiglieria
Le architettura barocche serviranno in prevalenza a celebrare gli spazi della corte.
Ma la vecchia Torino quella dei vicoli dal sapore medioevale si ritrova dietro questa facciata
asservita al nuovo ordine Barocco e non ha mai smesso di esistere. La rintracciamo con le sue intrusioni
architettoniche.
Il fianco est di Palazzo Madama ha ancora il suo aspetto medioevale, incorporato un tempo alla
Porta Decumana. Nel castello vi si svolgeva la vita della corte dei Savoia -Acaja, un potere
feudale dove, come dell'epoca, le istituzioni locali avevano un loro rilevanza, poi
soverchiate dal potere accentrato dei Savoia in un'epoca in cui i sovrani volevano
contare.
Vediamo, spostandoci lungo l'antico quadrilatero Romano, la chiesa
di San Domenico. Qui regna il gotico, una eccezione nelle chiese cittadine
dominate dal Barocco.
San Domenico era molto frequentata dai tempi antichi
e non aveva perso il suo fascino religioso dovuto all'intestazione del Santo fondatore dei Domenicani.
Ma il Barocco ha fatto la sua inevitabile irruzione anche qui,
aggredendo e sostituendosi nell'interno con le sue tipiche decorazioni. Furono come
sempre i Savoia che grazie ad abbondanti elargizioni resero possibile questo cambiamento.
Ma qualcosa sopravvive del medioevo, oltre alla struttura esterna. La cappella delle Grazie,
posta verso la sinistra dell'altare, ancora sorprende per i suoi affreschi del trecento
In via Tasso, che sta non distante da San Domenico, si trova l'Albergo della Corona Grossa, meglio detto Casa Broglia, già un tempo possesso dei Broglia, nobili di Chieri.
Nella zona del Duomo vi era la piazza delle Erbe che adesso si chiama Piazza Palazzo.
Qui si svolgevano i mercati.
Il Corona era una osteria dove agli ospiti si offriva vitto alloggio e letto appropriato al loro rango. Era molto frequentati non solo da forestieri ma anche dai torinesi, per questo motivo vi si affiggevano gli ordini e i bandi cittadini.
Il Corona Grossa possedeva delle scuderie e nel 1379, stando a un conto in queste erano alloggiati i cavalli del principe.
Elevato su quattro piani
come albergo venne ancora usato nell'ottocento, prima di essere in tempi moderni
adibito ad abitazione, dove oggi si svolgono anche attività commerciali. Rovinato parzialmente da un bombardamento nelle seconda guerra mondiale,
il suo impianto resta abbastanza simile a quello originario, e nel primo piano si può ammirare il soffitto ligneo risalente al medioevo
Il Palazzo reale
Royal Palace of Turin or Palazzo Reale, is a palace in Turin, northern Italy. It was the royal palace of the House of Savoy. It was modernised greatly by the French born Madama Reale Christine Marie of France (1606–1663) in the 17th century.
Peter Broster - Royal Palace of Turin - CC BY 2.0
File:Royal Palace of Turin (8062072145).jpg
Palazzo reale
Il Duomo o Cattedrale di San Giovanni Battista
Torino: Cattedrale Metropolitana di San Giovanni Battista - Source Flickr: Torino 2.2012 076 - Author stephane333
Permission (reusing this file) Checked copyright icon.svg -This image, which was originally posted to Flickr, was uploaded to Commons using Flickr upload bot on 29 March 2014, 09:55 by Threecharlie. On that date, it was confirmed to be licensed under the terms of the license indicated.
w:en:Creative Commons- attribution share alike : This file is licensed under the Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic license.
Duomo o Catedrale di San Giovanni Battista
La Cappella della Santa Sindone
Pequod76 -La Cappella della Sacra Sindone vista dalla torre campanaria del Duomo di Torino. - attribution: CC BY-SA 4.0
Cappella della Santa Sindone
Il Sacro Monte dei Cappuccini
GJo - Monte dei Cappuccini, facciata principale della chiesa - attribution: CC BY-SA 3.0
Monte dei Cappuccini
La chiesa del Corpus Domini
Franco56 - fotografia personale -Chiesa Corpus Domini - Torino - Italia
Permission details: GFDL - attribution: CC BY-SA 3.0view terms
Corpus Domini
Il Santuario della Consolata
Georgius LXXXIX - Opera propria - Santuario della Consolata di Torino, dalla Piazza della Consolata - pubblico dominio
Santuario della Consolata
Quello che resta del Medioevo a Torino
HieuMarco - Opera propria- Castello-Casaforte degli Acaja (XIV secolo)- retro del Palazzo Madama - attribuzione: CC BY-SA 4.0
K.Weise - Opera propria -Anonimous old (Middle Age?) House in Turin, 4 Marzo square - attribuzione: CC BY-SA 3.0
Via Broglia
Passaggio da Ducato a regno
Nel primo Settecento il Ducato sarà regno, e Torino rimarrà centrata su questi edifici: Il Duomo, Santuario della Consolata,
Il Corpus Domini, Santuario Santa Maria del Monte e la cappella della Santa Sindone.
Come era vista la Corte dall'esterno? Possiamo fare riferimento a quanto descrive Montesquieu:
La tirchieria, secondo lui vi regnava sovrana, questo a demerito del re Vittorio Amedeo II
che era stato considerato un grande regnante. La visita di Montesquieu fu breve e brillano più
i suoi riferimenti alla reggia della Venaria che a Torino.
I salotti di Torino
A Torino nel corso del settecento un intellettuale aristocratico avrebbe frequentato
i salotti femminili che erano molto vivaci.
Madame Martin, madama Quaglia la contessa di Saint-Gilles,
conosciuta come Madame de Saint-Gilles, particolarmente visitata dal mondo anglofono.
Queste le influecer della metà del settecento potevano confrontarsi con le omologhe salonnières
della Francia di Luigi XV.
Cosa si faceva nei salotti
Cosa si faceva in questi salotti?
A imitazione di quelli ben più evoluti e meno provinciali salotti Parigini, anche qui in tono minore si riceveva l’alta aristocrazia e i diplomatici stranieri,
i filosofi, o gli economisti, i poeti e letterati. A volte le salonnières ricevevano insieme gli ospiti, a volte preferivano tenere separati gli artisti o i filosofi dagli aristocratici, ricevendoli in giorni diversi.
Si leggevano le ultime creazioni letterarie, si discutevano teorie filosofiche, si facevano esperimenti scientifici, si recitava in casa, si recensivano gli spettacoli.
Il salotto era un mondo di scambi culturali e di opinionisti dove si cercava in modo divertente di bandire la noia.
Corte, salotti e teatro, questa la vita sociale degli aristocratici nel pieno
del XVIII secolo.
I doveri del salotto
The Martelli Family by G.B. Benigni, 1777-1783 (Museum of Casa Martelli).
-Source:https://www.researchgate.net/figure/The-Martelli-Family-by-GB-Benigni-1777-1783-Museum-of-Casa-Martelli-and-the-statue_fig3_274426833
il salotto nel Settecento
Una parte determinante della casa di un aristocratico era il salotto, luogo deputato alla
ricezione degli ospiti non legata all'attività lavorativa. Qui la padrona di casa
riceveva i colti dell'epoca, ma anche ospiti che si dilettavano di lettere o di conversazioni erudite.
Era un momento importante e una istituzione codificata presso la borghesia e la nobiltà.
Fans della musica
Il diletto della musica
Le donne nobili e aristocratiche non occupavano solo il loro tempo a sovraintendere la casa ma si dilettavano anche di arti quali
in primo luogo la musica. L'educazione alla musica era molto importante sia per conoscere
gli autori e gli strumenti e non farsi cogliere impreparate nelle conversazioni colte.
E la passione del gioco
A game of quadrille, c.1740 by Hubert-François Gravelot. Yale Center for British Art, Paul Mellon Collection.
Il gioco era il normale passatempo di gentiluomini e gentildonne, indiscriminatamente particato dai borghesi come dai nobili
e ovviamente dai popolani. Condannata ripetutamente questa passione non si riusciva ad estinguerla. A carte a scacchi a dama a dadi il gioco
imperava e impazzava.
Il gioco e ancora il gioco
Come viveva la grande società
Non tutta la vita sociale era fagocitata dalla corte dei Savoia. La grande società, quella dei grandi nobili aveva anche una vita
sociale propria compatibile con gli impegni di quella di corte.
La corte dei Savoia era piuttosto austera e l'etichetta molto pesante,
meno rigida e marcata era la vita sociale che svolgevano i nobili nei loro palazzi o castelli.
Non siamo a livello francese, non c'era
quel lusso splendente e molto spesso alquanto sfacciato esibito dalla nobiltà francese.
I Piemontesi erano molto più
parchi e meno vistosi. Tuttavia la vita sociale dei grandi nobili era lussuosa e si svolgeva dentro i loro palazzi cittadini o nei
castelli spesso riadattati e resi più confortevoli.
In tutto questo lusso la famiglia Didier era costretta a più modesti livelli,
non appartenendo, anche riguardo all'etichetta, alla casta nobiliare che vantava antichi ceppi o cariche importanti nell'amministrazione
e nella corte Sabauda. I Didier galleggiavano nel loro limbo a cui erano magnificamente e meritatamente approdati come devoti servitori dei Savoia.
La vita della Grande società : l'ingresso nel castello
Description
Deutsch: Im Schloss. Signiert. Öl/Lwd., 70 x 140 cm
Date before 1936
Source Düsseldorfer Auktionshaus (as "Das Schlosskonzert", but there are no musicians at all on this painting)
Author Creator:Stephan Sedlacek - This is a faithful photographic reproduction of a two-dimensional, public domain work of art. The work of art itself is in the public domain for the following reason
L'ingresso al castello
La vita della Grande società: il "divertissement"
(Königsstetten 1868-1936 Vienna) Grande società, firmato Stephan Sedlacek, olio su tela, 74 x 116 cm Fonte: https://www.dorotheum.com/de/l/1574647/
La Grande società
La vita della Grande società: la prova.
August Stephan Sedlacek Painting, "The rehearsal" - Fonte: https://image.invaluable.com/housePhotos/DirectAuctionGalleries/54/679954/H22611-L220753451_original.jpg?_gl=1*yqfo2h*_ga*OTI5MTQ2NzEzLjE2NTEzMzM1NTU.*_ga_0K6YBFZV6P*MTY1Mjg4NjA5NS41LjEuMTY1Mjg4NjE4NC4w
La prova
E la classe lavoratrice?
A young girl and child carry baskets on their heads. Wellcome Library
Classe lavoratrice
Si può dire che i lavoratori e sopratutto le lavoratrici del Settecento lavoravano
quanto quelle di oggi, ma senza una vita confortevole. Per quanto anche oggi
la miseria e i disagi sono comuni e molta parte della
popolazione mondiale vive in modo ancora peggiore di quello che potevano vivere nel Settecento.
Sottopagati e lontanissimi da una vita abbastanza agiata o agiata quale era quella dei borghesi e dei nobili,
la gente lavoratrice e quella povera non aveva mezzi per partecipare
al benessere delle due classi dominanti e tantomeno di quella ecclesiale. In un certo senso
la situazione si ripete oggi, dove ad esempio un CEO di una grande industria è pagato infinitamente di più
di un lavoratore comune. E poi sono tutti da vederen i suoi meriti lavorativi rispetto ad un normale
amminisytratore o a un ingegnere.
La classe lavoratrice: sgusciatrice di piselli
Ragazza che sguscia i piselli-
William redmore Bigg - huile sur toile - 1782 - (Plymouth Museum and Art Gallery (United Kingdom))
Ragazza che sguscia i piselli
Questa sgusciatrice di piselli se vivesse oggi guarderebbe strabiliata allo stipendio di un banchiere
o di un dirigente di un grande gruppo industriale o commerciale. La redistribuzione della ricchezza rimane a tutt oggi
una pura utopia e un giusto salario è solo previsto per le classi inferiori.
La classe lavoratrice: venditrice di fragole
Francis Wheatley - Strawberrys, Scarlet Strawberrys from The Cries of London, 1795. The strawberry seller wears a simple canvas or leather bodice. Yale Center for British Art, Paul Mellon Collection
La venditrice di fragole
La classe lavoratrice: contadine nei campi
Bex Holland and Liv Free. Photo Nic Loven. Fonte: https://www.thelovens.co.uk/CE/?p=697
contadine nei campi
La classe lavoratrice: un andirivieni continuo di piccoli dettaglianti
Cos'era quel frastuono continuo, quel levarsi di grida che poteva disturbare il sonno del nobile sfaccendato al mattino o della sua consorte?
Ma erano le grida e i richiami di una moltitudine di dettaglianti che viveva alla giornata con il ricavato dei prodotti venduti. Molti di loro
facevano il giro delle case dei vari quartieri per servire i clienti abituali o i nuovi. Altri stazionavano per le vie, oppure nei mercati dedicati
ai loro prodotti o attività. Le eleganti figure che seguono sono tutte state realizzate da Francis Wheatley tra il 1792 e il 1795
. . In mezzo a questo tumulto, privo di personaggi aristocratici, Wheatley creò queste immagini di venditori ambulanti che,
sebbene considerate durante la sua vita come di poca importanza oltre ai suoi ritratti di società,
ora sono le opere su cui si basa la sua reputazione. . . Tuttavia, queste immagini idealizzate sono lontane dal reportage sociale
. . . L'equilibrio languido e l'abile drappeggio delle figure di Wheatley suggeriscono modelli classici,
come se questi venditori ambulanti fossero gli equivalenti urbani dei pasci e pastori del mondo pastorale
. . . Mi piace supporre che queste belle immagini celebrino le qualità delle persone che Wheatley, come Laroon prima di lui,
ha vissuto in prima persona nelle strade e nei mercati, crescendo a Covent Garden,
e ha scelto di testimoniare in questo affettuoso e sottile... insieme di quadri politici,
esistenti in pertinente contrasto con i ritratti di ricchi mecenati che lo evitavano quando era nel bisogno.
The Gentle Author's Cries! of London (p. 24)
Sono personaggi e scene realizzate a Londra, ma non era molto differente anche a Torino. Era la stessa panoramica di vite che sopravvivevano
ai confini con la miseria sempre incipiente. Ma anche al giorno d'oggi questo livello di sopravvivenza non è stato superato.
La classe lavoratrice: venditrice di fiori
La venditrice di frutta
La classe lavoratrice: la venditrice di latte
Milk Below! – This is believed to be the origin of the more recent milkman’s cry, “Milko!”
La lattaia
La classe lavoratrice: venditore di arance
Cries of London' Plate 3: 'Sweet China Oranges, Sweet China', Luigi Schiavonetti, 1765–1810, Italian, after Francis Wheatley, 1747–1801, British, 1794
Il venditore di arance: "arance fresche! Volete comperare?"
La classe lavoratrice: venditrice di biglietti per vedere gare
Do You Want Any Matches? - Francis Wheatley 1792-95
Bigliettaia
La classe lavoratrice: venditrice di pesci
New Mackerel, New Mackerel! - Francis Wheatley 1792-95
La pescivendola: "pesce fresco, appena pescato! Chi lo vuole?!
La classe lavoratrice: arrotino
Knives, Scissors and Razors to Grind - Francis Wheatley 1792-95
L'arrotino: "è arrivato l'arrotino! Coltelli lame come nuovi!"
La classe lavoratrice: impagliatore di sedie
Old Chairs to Mend! - Francis Wheatley 1792-95
L'impgliatore
La classe lavoratrice: la venditrice di canzoni d'amore.
A New Love Song, on Ha'pence a Piece! - Francis Wheatley 1792-95
Canzoni! Canzoni per far innamorare! Successo assicurato!
La classe lavoratrice: venditore di pan di zezzero caldo
Hot Spiced Gingerbread, Smoking Hot! - Francis Wheatley 1792-95
Venditore di zezzero
La classe lavoratrice: veditore di rape e carote.
Turnips and Carrots, ho! - Francis Wheatley 1792-95
Veditrice di carote
La classe lavoratrice: venditori di piselli.
Fresh Gathered Peas, Young Hastings - Francis Wheatley 1792-95
Veditrice di legumi
La classe lavoratrice: ciliegie fresche!
Round and Sound, Five Pence a Pound, Duke Cherries - Francis Wheatley 1792-95
In una città come Torino nella metà e nella fine del settecento avevano fatta la comparsa molti negozi, le guide turistiche li segnalavono
facendo così uscire dall'anonimato molti abitanti borghesi della città. La raffigurazione sopra riportata fa riferimento
all'Inghilterra, dove è rappresentata la passeggiata mattutina di un aristocratico
e l'immancabile visita al negozio della modista. Ma una scena analoga l'avremmo trovata anche nella Torino di fine settecento.
Nel Cuore del Settecento
Nel cuore del Settecento
Nel XVIII la città risaltava per la presenza di una serie di Segreterie di Stato dove facevano capo uffici che si stanziavano a tela di ragno sul territorio. Ma era la vita culturale stessa della città che volente o nolente si era votata ad accogliere le riforme volute da Vittorio Amedeo II, riforme che riguardavano i collegi superiori e sopratutto l'Università degli Studi. Nel primo ventennio del Settecento era stata posto fine all'egemonia degli ordini religiosi nel controllo dell'istruzione `pubblica. Anche se la necessitò di questi era ancora riconosciuta , ma sottoposta alle disposizioni di un unico Magistrato della Riforma. Verso la città arrivavano adesso dalle provincie i nuovi ceti amministrativi
Credits:
Per approfondire vedi:
Andrea Merlotti
Corte e città in una capitale dell’assolutismo.
L’immagine di Torino nella letteratura del Settecento, in La città nel Settecento,
a cura di M. Formica, A. Merlotti, A. Rao, Roma, ESL, 2014.
Società Civile e Società militare
Società civile e società militare
Società civile e società militare.
Nascevano le scuole per «armi dotte», che confluire nell'Accademia delle Scienze di Torino, diventata istituzione sotto le insegne regie nel 1783.
Si cercava così di creare un circuito di accademie scientifiche a livello europeo,
in rapporto alla crescita delle sedi diplomatiche dei
rappresentanti stranieri. Un'istituzione d'origine barocca come l'Accademia
reale era stata pesantemente riformata negli anni intorno al 1730
e questo aveva consentito il flusso di una élite di studenti stranieri.
Un mondo cosmopolita era sorto nel cuore della città, proprio grazie al successo di queste istituzioni.
I gentiluomini che vi confluivano , scortati quasi sempre da tutor dotati di una buona cultura,
andavano ad incastonarsi nel tessuto sociale torinese,
alimentavano le logge massoniche e contribuivano alla circolazione di quella letteratura di viaggio che in questo periodo prese grande diffusione.
Il castello di Moncalieri, posto sulla collina, dal 1750 era diventato la sede di
Vittorio Amedeo III e Maria Antonia Ferdinanda, allora ancora duchi di
Savoia. Dal 1773, quando
erano ascesi al trono, via si erano stabiliti sino a sette/otto mesi l'anno. Cosi
ministri, ambasciatori e molti cortigiani, per esser pin vicini alla sede della
corte, avevano acquistato ville in collina o avevano rinnovato quelle che già
possedevano.
Credits:
per approfondire vedi:
Andrea Merlotti
Corte e città in una capitale dell’assolutismo.
L’immagine di Torino nella letteratura del Settecento, in La città nel Settecento,
a cura di M. Formica, A. Merlotti, A. Rao, Roma, ESL, 2014.
La Basilica di Superga
Author Antoniors81 -Own work -attribution:This file is made available under the Creative Commons CC0 1.0 Universal Public Domain Dedication.
Basilica di Superga
Paris Orlando - Own work- Basilica di Superga (Turin) - attribution: CC BY-SA 4.0
Basilica di Superga facciata
Il castello di Moncalieri
Marrabbio2 - Own work - Castle of Moncalieri -permission details GFGL - attribution: CC BY-SA 3.0
Castello di Moncalieri
La palazzina di caccia di Stupinigi
Stupinigi – Veduta - Paris Orlando - Opera propria -Exterior of the Palazzina di caccia of Stupinigi - Credits: CC BY-SA 4.0 - Fonte:https://it.wikipedia.org/wiki/Stupinigi#/media/File:Exterior_of_the_Palazzina_di_caccia_of_Stupinigi.jpg
Giuseppe Duprà (1703–1784)
English: The Savoyard royal family of King Charles Emmanuel III of Sardinia, his three dead wives and their children
Italiano: Ritratto di Carlo Emanuele di Savoia con la famiglia - Famiglia reale Sabauda di re Carlo Emanuele III - This is a faithful photographic reproduction of a two-dimensional, public domain work of art. The work of art itself is in the public domain for the following reason
Godere dei favori della corte
Data la loro presenza a corte i Didier godono del favore regio. Questo unito alla vicinanza con la corte e il re stesso, rende possibile da parte della vecchia nobiltà accettarli con una certa distaccata benevolenza.
Tenendo però sempre un occhio storto su questi parvenu.
La politica dei Savoia era annobiliare e dotare di un titolo quelli che nella borghesia stanno stretti o personaggi di valore. E' un principio seguito anche da altri governi del nord Italia, valido per gli stati accentratori.
il Sovrano teme sempre che si risveglino le autonomie dei vecchi nobili feudali e quelle degli enti locali. Per questo la nobiltà deve essere concessa solo e sempre dal re con lettere patenti.
Solo così il re ottiene il controllo totale e decide lui, in modo assolutistico, chi può entrare nell'ordine o meno.
Vittorio Amedeo e la consorte ostaggi dell'etichetta della corte
Cerimonie di una corte
Le cerimonie nel Settecento erano moltissime e molto faticose, non era solo la corte a imporle,
ma per la sua importanza quelle della corte erano centrali per la vita aristocratica dell'epoca.
La prima cerimonia della corte era il lavaggio dei piedi che il re faceva a 13 poveri. Il "pediluvium" era una
cerimonia religiosa e non civile e si svolgeva nel periodo della festività della Pasqua.
La seconda cerimonia della corte, per importanza,
erano i baciamani di capodanno («complimenti»).
I baciamani di capodanno erano l’insieme dei baciamani che
si tenevano fra Natale e capodanno dove le principali magistrature dello Stato,
la nobiltà di corte con i gradi più alti dell’esercito facevano ai sovrani e ai principi
sabaudi gli auguri, rinnovando la loro fedeltà.
Questi baciamani di capodanno sono detti anche come «complimenti».
Si svolgevano solo a Palazzo reale. Se fuori sede, come alla Venaria o in un’altra delle
residenze venivano annullati. Se un rappresentante della dinastia si trovava a Torino,
in casi molto rari il re poteva ordinare che la cerimonia si svolgesse.
Il baciamano delle magistrature (31 dicembre)
Codificato da re intorno al 1720 con le regie Costituzioni
promulgò dei cerimoniali per i principali corpi dello Stato.
Le magistrature prima di recarsi alla corte si riunivano
intorno alle 8 nella casa del loro presidente.
Era qui, nelle case dei loro presidenti
una delle sedi principali e giuridicamente riconosciute.
In assenza del loro primo presidente l’intera
magistratura non poteva prendere parte alle cerimonie di Stato.
Il Consiglio dei memoriali con il suo presidente, il Grande Cancelliere era la
prima magistratura a prestare il baciamano ai sovrani.
Cerimonie di una corte
La carica di gran cancelliere, sotto il regno di Carlo Emanuele III rimase vacante dal maggio
1745 al settembre 1768, in questo periodo il Consiglio dei memoriali
non poté intervenire al baciamano.
Era nella sede delle magistrature che si tenevano commissioni, «giunte» e riunioni
e il luogo dell'adunanza era nei palazzi dei magistrati.
Pur possedendo dimore molto ampie i funzionari più alti e i ministri vivevano a corte.
Era necessario possedere perciò un appartamento all'altezza della situazione, dove
si svolgevano le riunioni, o i congressi, per ricevere visite di personaggi.
Ma non bastava, occorreva anche avere spazio sufficiente per svolgere
le funzioni pubbliche del magistrato. Da questo nasceva l'esigenza
di avere più anticamere con passaggi o corridoio che collegavano le
altre stanza utilizzate secondo le necessità.
Ecco il modo di ricevere e la collocazione nelle varie
stanze nella casa di un nobile:
Nell'ultima camera di ricevimento sono stati ricevuto i signori togati con i patrimoniali.
Gli altri signori del mantello nella camera gialla.
Nell'anticamera nuova gli uscieri.
Si è lasciata la prima anticamera verde per li servitori di livrea che custodiscono li mantelli.
I signori del Magistrato sono stati serviti come al solito del cioccolate e altri rinfreschi,
tanto alla mattina che al dopo pranzo.
Cerimonie di una corte
Avvio delle magistrature per il solenne baciamani di Capodanno.
Intorno alle 10, le magistrature si avviavano verso Palazzo reale, con carrozze e processione di gala,
per giungervi intorno alle 10,30. I membri
delle magistrature si portavano a corte in toga.
Il cerimoniale regolava rigidamente colori e decorazioni delle toghe.
Senato e Camera erano immediatamente riconoscibili perché il Senato indossava toghe rosse (o porpora) e la Camera
toghe nere.
Riconoscere dalla toga il ruolo di chi le vestiva all’interno della sua magistratura era perciò molto facile.
Nel Senato la toga di velluto rosso era indossata dai presidenti, ma solo quella del primo presidente,
a cui nel baciamano spettava tenere l’arringa e baciare per primo la mano al re, era bordata
d’ermellino.
La toga porpora con le mostrine di velluto rosso alle maniche era indossata dai senatori,
l’avvocato generale, l’avvocato fiscale generale e l’avvocato
dei poveri, le «mostre dello stesso colore,
ma di satin e non di velluto, distinguevano i sostituti degli avvocati generali.
L’avvocato dei poveri si distingueva per le mostrine in satin nero;
i segretari, il procuratore dei poveri e il priore degli attuari indossavano una toga
rossa più corta e con «mostre di taffetà nero. Essendo Senatore Vittorio Amedeo indossava la toga porpora
con le mostrine di velluto rosso alle maniche.
Regole analoghe valevano per la
Camera dei conti.
Il cerimoniale deciso dal sovrano era piuttosto rigido.
Il primo presidente del Senato del Piemonte doveva uscire accompagnato da un usciere con tanto di mazza
e a seguire un corteo aperto dagli uscieri colle bacchette alzate,
dal procuratore dei poveri, dal priore degli
attuari, dal capitano di giustizia col manto rosso, dai due segretari e altro.
Cerimonie di una corte
La carovana dei magistrati raggiunge il Palazzo reale
I magistrati raggiunto il Palazzo e lasciato fuori tutto il personale di rango minore,
venivano sistemati nell’anticamera dei paggi, ben fornita per l'occasione di banchi.
Intanto il re, conclusa l’udienza che aveva dato agli
ambasciatori, si portava alla camera dell’alcova e si preparava a ricevere il baciamano.
In genere la sua posizione era vicino al fuoco e in piedi, col cappello sotto il braccio
o sempre in piedi contro la tavola che era situata fra le due finestre, col cappello
sotto il braccio per suo comodo.
Il maestro delle cerimonie faceva entrare il Gran cancelliere, standogli a sinistra;
dietro di loro entravano i referendari del Consiglio dei memoriali, questo accadeva alle ore 11.
Il gran cancelliere fatte le tre genuflessioni di rito, teneva l’arringa, s’inginocchiava per baciare la mano,
seguito poi dai referendari. Allo stesso modo facevano il Senato di Piemonte, la Camera
dei conti, il Consiglio comunale di Torino a cui nel 1741 si era aggiunta, la regia Università.
Per quanto riguarda Senato e Camera dopo le «toghe rosse» (Senato) e le «toghe nere» (Camera) vennero
ammessi solo gli avvocati generali, fiscali e dei poveri, il segretario ordinario, esclusi tutti i gradi inferiori.
Nel 1771 fu ammesso anche il capitano di giustizia, furono ammessi nel 1783 anche i rettori dei collegi di Teologia, Legge e Medicina.
Nota sull'uso della toga rossa
Cerimoniale per li Senati cit., pp. 310-311. L’uso della toga rossa da parte di segretari,
procuratore dei poveri e priore degli attuari era stato il risultato di anni di trattative, originate proprio
dalla partecipazione al rito del baciamano, giacché sino allora le cariche avevano indossato la toga nera;
ma il presidente Riccardi aveva convinto il re che nella cerimonia del 31 dicembre sarebbe stato meglio che tutto il Senato
avesse avuto toghe dello stesso colore. Cfr. E. GENTA, Senato e senatori di Piemonte nel secolo XVIII, Torino, 1983, pp. 13-14.
Cerimonie di una corte
E quando avevano finito il loro omaggio al re? Ciascuna magistratura veniva condotta nella camera di parata della regina,
dove attendevano di prestare
il baciamano alla sovrana, che intanto li aveva attesi nel gabinetto del «circolo», insieme alla sua corte.
Le magistrature, seppure alquanto stremate, ripetevano nuovamente il baciamano nel pomeriggio, questa
volta per il principe ereditario e per i principi della casa reale.
Cerimonie di una corte
Il baciamano della nobiltà (1° gennaio)
I baciamani svolti dal 25, del 26 fino al 31 dicembre riguardavano i funzionari dello
Stato, quello dei 1° gennaio era di spettanza della corte, dei ministri, degli alti gradi dell'esercito
e, in generale, della nobiltà.
Le rigide regole di corte si accordava male
con l'apertura alla borghesia nella burocrazia e nella magistratura tiepidamente operata dai Savoia.
Era prassi che fossero ammesse a corte solo le dame già nate nobili
o quelle il cui marito era nella stessa condizione.
Nel 1768 si prevedeva che fossero ammesse a corte solo
le mogli de’ vassalli che godono già da tre generazioni di tale prerogativa, purché
di famiglie nobili o almeno di eguale condizione dei mariti.
L’accesso a corte dei ceti emergenti restava sottoposto a un provvedimento «di grazia»
del sovrano: "le mogli di persone che coprono impieghi distinti ed a quelle dei loro figli,
se per la loro nascita o quella del marito non sono al caso di essere ammesse alla corte, si prenderanno gli ordini
di Sua Maestà".
Il baciamano restava il simbolo di appartenenza ad una classe sociale e a un rango elevato.
Carlo Emanuele IV volle celebrale la sua salita al trono nel 1797 ancora con un
solenne baciamano, quale era stata la cerimonia usata dai suoi antenati. Questo nonostante
il regno fosse occupato dalle truppe rivoluzionarie Francesi e lui stesso prigioniero
nel proprio palazzo.
Il baciamano scomparso con la sua fuga e l'esilio causato dalle sconfitte contro i Francesi,
per fare il suo repentino ritorno con la restaurazione.
Le invisibili: donne a corte
Le invisibili: le donne alla corte
E' innegabile, le donne alla corte dei Savoia contano poco o niente. E questa è una sorpresa perché nella corte Francese invece contano eccome. In Francia amanti e o consigliere dei re si ritagliano
un ruolo importante. Nel regno di Sardegna devono ritirarsi nei salotti per avere quel
successo che la corte nega loro.
A corte le donne non sono conosciute con i titoli portati dal marito.
Finita l'epoca di Vittorio Amedeo II così brillante ma con un mesto tramonto e un appiattirsi
della corte, il nuovo re Carlo Emanuele III aveva cercato di operare un'apertura. Odiava la Francia
e i modi della corte di quel regno. Ma si parlava francese e i modi erano composti, limitarsi nel lusso
e nelle stramberie, strizzare un poco l'occhio alla moda francese, ma niente di più. Per i viaggiatori
dell'epoca la corte sabauda doveva apparire un poco austera, frequentata da militari e con molti militari negli alti ranghi
e nella burocrazia. Non era per la corte Sabauda il secolo delle donne.
Una nobiltà di casta con tanto di paria.
L'ingresso nella nobiltà diventa più semplice con l'assolutismo, se si possiedono meriti particolari. Tuttavia le grandi cariche di corte restano per lo più legate alla
nobiltà di antica data. Il Gran Veneur anche detto Grande Cacciatore ad esempio non sarà una carica mai raggiungibile dalla famiglia Didier. Così quella di Gran Scudiere o di Primo Scudiere
o di Scudiere. Se
l'ingresso nell'ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, per grazia, e non già di giustizia che richiede prove nobiliari, sarà possibile a Bartolomeo o a Vittorio Amedeo,
con il titolo di cavaliere e commendatore, così non sarà mai possibile l'accettazione nel prestigioso Ordine dei cavalieri dell'Annunziata.
In questa nobiltà fatta di gradi e distinzioni i Didier, se confrontati con i grandi nobili, che sono numerosi, come i cavalieri dell'Annuziata o il Grand Veneur o ancora
i Ministri della corte, lasciano l'impressione di essere rimasti dei paria, poiché dopo Vittorio Amedeo, il tempo e anche la sorte sarà a loro sfavorevole.
Rosalia Cavalleris di Rivarossa consorte di Vittorio Amedeo e dama dei principini
Vittorio Amedeo Didier, che ubbidendo agli ordini del padre si è sposato con la Madamigella Rosalia, in un matrimonio combinato tra le due famiglie,
ha fatto strada e con il nuovo re, Vittorio Amedeo II, è diventato consigliere regio per poi ottenere il titolo di Riformatore.
Abita con la consorte nel Palazzo reale di Torino, ma i due stanno in appartamenti separati, dislocati in due differenti ali del palazzo.
Vittorio Amedeo verso il Castello, Rosalia vicino al Teatro regio.
Possiede anche una casa in Torino e una per la villeggiatura in Rivalta.
La casa in Torino si trovava vicino a Santa Maria di Piazza, casa
Bonaudi, cantone Sant Ottavio, qui vi aveva sede anche l'avvocato Giovanni Alemandi.
La consorte di Vittorio Amedeo, Rosalia Cavalleris di Rivarossa, è dama di camera dei principi figli della duchessa di Savoia, Maria Antonia Fernanda di Borbone, la figlia del re di Spagna, nel 1760.
Casa Bonaudi, oggi Casa Bonaudi conte di Monteau
Casa Bonaudi Conte di Monteau (casa) - Torino (TO)
Casa Bonaudi
Casa Bonaudi, dove risultano domiciliati gli avvocati Vittorio Amedeo Didier e Giovanni Allemandi
Casa Bonaudi conte di Monteau
La palazzina si caraterizza per il suo cortile quadrato, ed è edificata su quattro corpi di 4 piani che si trovano uno in via Stampatori mentre tre in via S. Maria. La costruzione ha lo schema della dimora familiari barocche di rappresentanza. Il corpo principale in via Stampatori si apre nell’androne principale dal quale si accede al cortile.
Le cameriste di corte
Erano quattro le dame di camera dei principini, e sostanzialmente erano delle cameriere, in questo caso delle babysitter, solo con la
differenza che essendo i principini Altezze, dovevano essere serviti da donne aristocratiche. Le dame di camera si dedicavano a servire
la minestra e ad accudire al guardaroba. Alcune di loro poi dovevano sempre essere di guardia per i servizi del momento.
Il regolamento per le dame di camera o cameriste della regina
Il regolamento per la dame di camera o cameriste della regina
Dovranno ogni mattina trovarsi tutte alla toletta per servire
nelle loro funzioni e nel rimanente del tempo vi sarà sempre
la fama di guardia aiutata da quella di sottoguardia.
Avranno la cura delle piccola Guardaroba, cioè di quella
in cui si custodiscono le lingerie, e merletti d'ogni sorta
le vesti da camera, giupponi, Fisson, fettucce, ed a loro spetterà
di preparare ogni giorno ciò che sarà necessario per il servizio
della regina.
La gran guardaroba, cioè quella in cui si conserveranno vestiti ed abiti
della regina, dovrà essere in custodia del sarto, a cui spetterà di
preparare quotidianamente quell'abito che dovrà vestire la regina
secondo l'ordine che ne avrà ricevuto dalla prima d'onore.
Quando la regina mangerà sola nella sua camera in cui dovrà essere servita
dalla prima dama d'onore le famme riceveranno i piatti, ed altre cose simili
alla porta della stanza dalle mani dei garzoni di camera e li porteranno
alla prima dama d'onore o altra che ne farà le veci, che li riporrà sopra la tavola
e faranno lo stesso della coppa quando la regina vorrà bere,
ricevendo quella dalle mani del Someliere e alla porta di detta camera
restituiranno i piatti e coppa dalle mani di chi li avranno ricevuti.
La lingua di corte
Si ma che lingua si parlava a corte? Alla corte di Torino non si parlava più l'Italiano che era stato introdotto da Emanuele Filiberto alla
rinascita del Ducato e quando la corte si era trasferita a Torino.
Si parlava un piemontese di corte che variava negli accenti rispetto
al piemontese largo parlato nel resto del Piemonte e anche dal Torinese vero e proprio. Si parlava con gli ospiti stranieri in Francese.
In realtà lo stato Sabaudo era trilingue, essendo l'Italiano molto usato, e si accompagnava al Francese e al Piemontese.
Vittorio Amedeo e la moglie
parlavano un ottimo piemontese di corte. Le dame nei salotti parlavano con gli ospiti stranieri un francese intriso di pronunce piemontesi
che poteva essere difficile da capire per chi non era francese.
La polemica su quale lingua usare a corte, era molto diffusa all'epoca e c'era
anche chi proponeva di usare il piemontese di corte, che era un piemontese colto differente da quello dei borghesi e del popolo come da quello delle
provincie.
Alcuni viaggiatori poi lamentavano che il francese parlato nei salotti Torinesi non era comprensibile facilmente da loro, stranieri, particolarmente anglofoni.
Tuttavia Vittorio Amedeo
redasse le costituzioni anche in francese, che ben conosceva e in primis in italiano, essendo bilingue il regno di Sardegna: italiano e francese. Così
con questa trifonia si doveva convivere nei domini dei Savoia.
La corte: una presenza stabile o quasi a Torino nel Palazzo reale
La corte aveva presenza stabile in Torino. Al contrario di Versailles infatti la reggia della Venaria non era usata come
luogo permanente e stabilito dalla corte Sabauda.
Venaria era nata come palazzina di caccia e diletti, non come sede
di un potere sovrano stabile. Il Palazzo reale di Torino era il luogo deputato a questo. Qui ai cancelli del Palazzo vi era
un corpo permanente di guardie che davano sin da subito al visitatore la sensazione di una corte piuttosto militare, anche visto
il gran numero di funzionari che indossavano l'uniforme.
Ma la corte di Torino, non grande come quella di Versailles e non così sprofondata
nel lusso, sapeva pur nella sensazione di provincialità rispetto a quella francese, dare un tono
di eleganza e a secondo i periodi di disinvolto brio.
La corte a Torino e a Moncalieri con Vittorio Amedeo III
Vittorio Amedeo III il cui regno durò dal 1773 al 1796, preferiva al Palazzo reale di Torino il castello di Moncalieri
e vi trasferiva
la corte per sette mesi all'anno.
Le cerimonie iniziavano con il baciamano di capodanno, a Marzo
seguiva la stagione teatrale del Teatro regio e dopo il Carnevale che si chiudeva con
la corsa delle carrozze di via Po attendeva l'arrivo di Maggio per trasferirsi alla Venaria, e qui restava
fino al 24 Giugno per poi rientrare in Torino per la festa di San Giovanni.
A partire dai primi di Luglio
i cortigiani erano trasferiti a Moncalieri da dova la corte e il sovrano si spostavano solo per le cacce a Stupinigi.
E in Moncalieri rimanevano fino a Natale per rientrare in Torino per il baciamano
Maria Antonia di Borbone Spagna
Maria Antonia di Spagna
Maria Antonia Ferdinanda di Borbone-Spagna nacque a Siviglia il 17 novembre 1729 e morì in Moncalieri il 19 settembre 1785. regina consorte di Vittorio Amedeo III di Savoia re di Sardegna. Il 31 maggio 1750 a Oulx, Val di Susa si sposò con Vittorio Amedeo III e la coppia si stabilì a Torino, da questa unione nacquero ben 12 figli. Il re di Sardegna ricevette in dote da Maria Antonia Ferdinandami possedimenti spagnoli a Milano. Loro corte fu frequentata da molti pensatori e politici, Maria Antonia portò una rigida etichetta. Ancora prima di essere regina si mostrò molto religiosa e dotata di una personalità schiva. Dalla morte di Elisabetta Teresa di Lorena nel 1741 non c'erano più state regine, e Maria Antonia fu la prima a più trent'anni di distanza dalla precedente. Il figlio Carlo Emanuele sposò nel 1773 Maria Clotilde di Francia, sorella di Luigi XVI. Maria Clotilde e Maria Antonia Ferdinanda divennero molto vicine. Morì nel Castello di Moncalieri e venne tumulata nella Basilica di Superga.
Rosalia Cavalleris di Rivarossa dama di Clotilde, regina di Sardegna
Più tardi, 1788, regnante Vittorio Amedeo III la stessa Rosalia, ragazza sveglia che sapeva quando parlare o stare zitta, compare nell'impiego a corte come dama di camera
della principessa di Piemonte, Marie Adélaide Clotilde Xavière de France, dal 1796 regina di Sardegna.
Maria Clotilde di Borbone- Francia
Madame Adelaide
Marie Adélaïde Clotilde Xavière, sorella minore di Luigi XVI, nacque nel palazzo reale di Versailles il 23 settembre 1759 e morì a Napoli il 7 marzo 1802. Madame Clotilde, fu principessa di Francia e nel 1759 divenne regina di Sardegna con il nome di Clotilde. Sposò, nel 1775 Carlo Emanuele di Savoia, principe di Piemonte ed erede al trono di Sardegna. Il matrimonio venne combinato per puro interesse politico, ma la coppia si rivelò subito molto affiatata. La fede Cristiana fervente che entrambi possedevano li accumunò per tutta la vita, ma non ebbero il tanto sospirato figli. In seguito a ciò nel 1794 entrambi entarono nel Terzo Ordine Domenicano.
Nel frattempo, però, a Parigi era scoppiata la rivoluzione e la gioia di Maria Clotilde per la visita del fratello maggiore conte d'Artois, fuoriuscito con la sua famiglia per organizzare la reazione, venne cancellata dal dolore causatole dalle tragiche notizie che arrivavano dalla Francia, dove l'altro fratello maggiore e sua sorella avevano perso la vita sulla ghigliottina. In seguito a ciò l'intera Europa mobilitò gli eserciti e cominciò la guerra contro il nuovo governo giacobino. In tale contesto, la furia delle armate rivoluzionarie s'abbatté come una calamità su Torino e, quasi contemporaneamente, Carlo Emanuele ascese al trono in un momento estremamente difficile: una parte del regno era occupata, le casse dello Stato erano vuote, l'esercito era indebolito e disorganizzato e tra le persone comuni covava la rivoluzione.
Verso la fine del 1798 il re fu costretto a cedere tutti i suoi domini peninsulari e la corte partì in esilio alla volta della Sardegna. A Cagliari Maria Clotilde conobbe padre Giovan Battista Senes di Osilo, un ex-gesuita confessore delle monache cappuccine cagliaritane, che divenne suo assistente spirituale mantenendo tale compito anche dopo il ritorno sul continente e col quale si impegnò affinché i gesuiti tornassero nell'Isola e specialmente alla direzione del Convitto Canopoleno e della Casa Professa di Sassari e del Noviziato di Cagliari.
Maria Clotilde si spense il 7 marzo 1802. Subito acclamata "angelo tutelare del Piemonte", il 10 aprile 1808, appena sei anni dopo la morte, venne dichiarata venerabile e se ne iniziò la causa di beatificazione. È tumulata nella cappella della “Buona Pastora” presso la chiesa di Santa Caterina a Chiaia, dove il consorte, rispettoso del suo desiderio di semplicità, le fece edificare una modesta tomba, poi restaurata su commissione dell'allora principe Umberto nel 1933.
Anna Giovanna figlia di Rosalia e Vittorio Amedeo, dama della Contessa di Provenza
La figlia di Rosalia, Anna, sarà dama di compagnia della contessa di Provenza, 1792.
La corte aveva pianto alla morte di due figli ancora infanti di Vittorio Amedeo, ed essi avevano trovato sepoltura nel Palazzo reale.
Anna Giovanna, cameriera della contessa di provenza
Anna Giovanna Cenni biografici
5 Anna Giovanna Maria (nata a Torino S. Giovanni il 7 Settembre 1758), dama di camera destinata alla contessa di Provenza il 12 Dicembre 1792. Pensione di £ 400 il 17 Gennaio 1792. Sposa:
1N... Gandolfo, sostituto avvocato fiscale a Cuneo. 2... Berta
La Contessa di Provenza
Marie Josephine Luise de Savoie contessa di Provenza
Maria Giuseppina di Savoia nacque a Torino, 2 settembre 1753 e morì a Hartwell House il 13 novembre 1810.
Principessa del regno di Sardegna divenne e contessa di Provenza e principessa di Francia grazie al matrimonio
combinato dal nonno Carlo Emanuele III di Savoia tra lei e Luigi Saverio di Borbone-Francia,
conte di Provenza e nipote del re Luigi XV di Francia.
Sposata il 16 aprile 1771 per procura e davanti all'altare il 14 maggio 1771 alla reggia di Versailles,
destò le preoccupazioni di Maria Teresa d'Austria, in quanto madre di Maria Antonietta
poiché il matrimonio tra lei e Luigi XVI non aveva ancora portato figli.
Questo fatto poteva portare all'annulamento da parte della chiesa indebolendo così la posizione dell'arciduchessa Maria Antonietta.
Le ansie dell'imperatrice piano piano svanirono. Maria Giuseppina era agli occhi dell'obeso Luigi Saverio poco avvenente, inoltre non riusciva quasi a camminare per una deformazione dell'anca. Scoppiata in Francia la Rivoluzione i sovrani e la corte furono esiliati nel palazzo delle Tuileries. I conti di Provenza trovarono una conveniente sistemazione nel palazzo del Lussemburgo, ma ogni sera si recavano alle Tuileries per cenare insieme come era di abitudine. Giuseppina, informata per ultima del tentativo di fuga dei reali il 20 giugno 1791 ricevette l'ordine di scappare di nascosto con una dama di compagnia per raggiungere il belgio. La fuga dei cognati di Giuseppina, Luigi XVI e Maria Antonietta, si concluse drammaticamente a Varennes. Quella di Giuseppina riuscì e lei si riunì con il marito a Namur. Con la morte del fratello Luigi XVI e quella del nipote Luigi Carlo, ossia Luigi XVII che non regnò mai, il conte di Provenza rivendicò il trono con il nome di Luigi XVIII. Giuseppina morì in esilio nel 1810 e non arrivò a regnare sul trono di Francia con Luigi XVIII. La sua tomba è nella cripta nel duomo di Cagliari, chiamata il santuario dei Martiri, questo perchéla Sardegna, protetta dalla flotta Inglese non era caduta come la Francia o il Piemonte sotto il dominio Napoleonico.
E' questo il momento in cui la famiglia nel ramo italiano raggiunge l'apice, con Vittorio Amedeo e con dame e nobili si avrà anche
una poetessa e Accademica, Teresa figlia di Vittorio Amedeo.
Teresa de la Motte figlia di Rosalia Cavalleris e di Vittorio Amedeo, Accademica e alunna del Matastasio
Teresa de la Motte sarà alunna del celebre poeta Arcadico della corte Asburgica, il Metastasio.
Quando verrà la rivoluzione con il nuovo governo in Piemonte verrà ricordata per i suoi versi e i componimenti poetici
Teresa, Accademica Fossanese
L'Accademia Fossanese, della quale Teresa faceva parte, era stata fondata approvata nel 1787 con regie patenti che poi ricevette il titolo di regia Accademia di Fossano,
era divisa tra Arcadia e innovazione, viene accusata di una produzione prevalente di poesia, e non di
componimenti letterari più profondi. Tra i suoi membri più noti vi era l'Abate Muratori e la poetessa Diodata di Saluzzo.
Diodata di Saluzzo Roero la più importante poetessa dell'Accademia di Fossano
Portrait of the poet woman Diodata Saluzzo-Roero (Saluzzo Roero) (1775-1840) - Lithograph of Camilla Guiscardi
Diodata di Saluzzo Roero
Rosa Ignazia Diodata Saluzzo Roero nacque a Torino il 31 luglio 1774 e morì in Torino il 24 gennaio 1840.
Scrittrice e poetessa italiana, iniziò a soli 12 anni a comporre poesie ricevendo gli apprezzamenti da Foscolo dal Parini dall'Alfieri e dal Monti . I suoi maestri furono tutte figure di spicco della cultura Piemontese. Era figlia di Jeronima Cassotti e Giuseppe Angelo Saluzzo di Monesiglio (nel 1757 fondatore con Lagrange e Cigna della Società Privata Torinese). Tuttavia una parte molto attiva nella sua formazione la ebbe Prospero Balbo. Amazzoni, l'ootava che completava il suo poema epico pubblicato a 20 anni composto in 24 canti ricevette ottimi giudizi critici. Rovine, il poemetto successivo ebbe l'elogio di Alessandro Manzoni. Membra dell'Accademia dell'Arcadia con il nome di Glucilla Eurotea, fu membra anche dei Pastori della Dora. Sposta nel 1779 a 25 anni con il conte Roero di Revello, tre anni dopo ne rimase vedova. L'Accademia delle Scienze di Torino la ricevette come socia e fu nominata dalla Commissione esecutiva del Piemonte raggiungendo il punto più elevato del suo successo. Ma la restaurazione portò per lei un declino lento fatto di tristezza e delusione, le sue opere erano poco accolte da una parte del pubblico.
Si dedicò a viaggi che certo non giovarono alla sua salute già non buona. Fuorono gli anni nei quali dedicò diversa composizioni alle famose donne del passato: Erminia, Tullia, Ipazia, tre donne filosofe, e anche ad altre. Il Castello di Bisio uscì nel 1823, ed era una tragedia. Altre poesie vennero pubblicate postume nel 1843 per merito dei suoi fratelli. La morte la colse a Torino nel 1840 e venne sepolta nella chiesa di San Bernardino, nella cappella di famiglia, in Saluzzo.
Teresa Fossati, Accademica Fossanese
Teresa Didier de la Motte poetessa e Accademica di Fossano
1 Maria Teresa Caterina (nata a Torino SS. Stefano e Gregorio il 9 Agosto 1753) Poetessa alunna del Metastasio da cui sappiamo già era accademica fossanese.
Poetessa Arcadica, pubblica poi alcune poesie essendo la sua fantasia risvegliata dalla diseredazione di suo marito Vittorio Fossati da parte del genitore. Sposa
-1 conte Baril di Torricella
-2 l'avvocato Vittorio Fossati di Polonghera. Figlio di
Alberto (n. Torino morto Torino 1783 ma data errata deve essere corretta perché ha filiazione ancora nell'85) Diseredato senza che nessuno ne conosca il motivo dal genitore. Maria Teresa è citata come de la Motte nei ruoli matricolari del figlio.
Tra i figli nati ricordiamo: CARLO GIOVANNI (n.
Torino, 31 luglio 1776, f 1843 che fu maggior
generale di fanteria, e che chiese insieme allo zio nel
1835 1a concessione del titolo di conte della Motta,
ottenendo dal re Carlo Alberto solo il titolo di conte.
-3 conte Giuseppe Antonio del Carretto
Le composizioni poetiche:
Poetesse e scrittrici, Volumi 1-2
Maria Ferrari Bandini Buti
E.B.B.I., Istituto editoriale italiano B.C. Tosi, s.a.
Poetesse e scrittrici - Volumi 1-2 - Pagina 230
https://books.google.it/books?id=sE_zAAAAMAAJ
Maria Ferrari Bandini Buti - Visualizzazione snippet - Altre edizioni
CRESCIMBENI G., Storia della volgar poesia. Venezia ... QUADRIO F. S., Della storia e della ragion d'ogni poesia. Milano, 1741, voi. ... La Didier pubblicò alcune poesie di rimprovero al suocero, dimostratosi troppo severo col figlio. Abbiamo ...
Citata in: Torino rivista mensile municipale - Pagina 52
Cinquanta cittadine Torinesi nell'anno della XI Della repubblica
La cittadina FOSSATI nata DIDIER ha la rima facile e compone sonetti, canzoni e drammi; ed ha scoccato pure epigrammi feroci contro la memoria dello suocero il cui testamento non l'aveva soddisfatta .
Pietro Metastasio
Pietro Metastasio
Pietro Antonio Domenico Bonaventura Trapassi detto Pietro Metastasio nacque a Roma il 3 gennaio 1698 e morì a Vienna il 12 aprile 1782. Presbitero, è riconosciuto come il riformatore del melodramma italiano. Poeta, librettista, è stato un personaggio della Corte di Vienna dove godette di un buon successo. A Vienna nell'Aprile del 1732 Metastasio si stabilì nell'appartamento del direttore dei teatri di Carlo VI che si trovava nella Michaelerhaus. La magione gli era stata messa a disposizione da Pio di Savoia ed era divisa tra Metastasio stesso e Martines, il maestro di cerimonia del nunzio Apostolico a Vienna Niccolò Martines Poichè i due si conoscevano i rapporti tra loro furono di sincera amicizia, e Metastasio nominò il figlio di questi suo esecutore testamentario. Inoltre sempre Metastasio si occupò dell'educazione e formazione musicale di Marianna, altra figlia del Martines. A cavallo degli anni 1730 e 1740 i suoi drammi Adriano, Demetrio, Issipile. Demofonte, L'Olimpiade, La clemenza di Tito, Achille in Sciro, e Attilio regolo, vennero prodotti per il teatro imperiale.Spesso questi drammi furono composti con una incredibile rapidità in occasioni speciali, l'Achille in 18 giorni, l'Imperia in solo nove. Metastasio tornò dopo questo a comporre testi sacri :La Passione di Nostro Signore Gesù Cristo, diventato in breve un musicatissimo oratorio. Una caratteristica del Metastasio era la tecnica della sua arte che riusciva a padroneggiare da vero virtuoso nei minimi dettagli. Grazie alle esperienze di Napoli e Roma e il grande entusiasmo di Vienna per le sue opere dettero uno slancio enorme alla sua carriera
Metastasio non era nato nobile e per questo motivo a Vienna veniva escluso dai circoli dell'aristocrazia e nella società trovò uno scarso successo. Il suo tipo di vita ma anche il clima di Vienna a lungo andare pesarono sulla sua salute e di conseguenza anche sul suo spirito. Scrisse sempre meno, a partire dal 1754 compose le sue cantate e la canzonetta Ecco quel fiero istante, che ebbe notevole successo. I suoi rapporti sociali si ridussero ai minimi termini. Afflitto dalla vecchiaia come da quella della sua vena poetica rimase quasi inattivo negli ultimi anni di vita. Continuò però a insegnare privatamente e fu maestro dell'arciduchessa di Austria la giovane Maria Antonietta, che grazie ai suoi insegnamenti, non parlando bene né il tedesco né il francese, seppe parlare un ottimo italiano Accademico della Crusca dal 3 settembre 1768, morì lasciando i suoi averi circa 130.000 fiorini ai figli di Martines Trovò sepoltura in San Michele a Vienna nella cripta della chiesa. Una lapide sepolcrale con un busto lo ricordano nella chiesa dei Minoriti.
Teresa, figlia dell'avvocato Vittorio Amedeo sposò Alberto Fossati reyneri.
Di questa illustre famiglia, i Fossati reyneri, diamo alcune note.
Oriundi di Genova, poi in Polenghera, Nicolò Maria, di Bartolomeo, da Genova,
era nel 1729 appaltatore delle munizioni generali del pane per le truppe sarde.
Da lui nacque Alberto (n. Torino, ivi 24 dic. 1783), che ebbe per figlio l'avvocato Vittorio.
Sposò costui Teresa del conte Vittorio Didier della Motta.
Da questo matrimonio nacque fra gli altri, Carlo Giovanni (n. Torino il 31 luglio 1776, dec. 1843),
che fu maggiore generale di fanteria, e che chiese nel 1835 la concessione del titolo di conte della Motta.
Ebbe con Patenti del 7 aprile 1835 la concessione del titolo di conte per lui e per suo nipote Vittorio Alberto.
In questa patente è ricordato l'atto di valore compiuto il 25 giugno 1795, quando all'assalto del colle d'Inferno,
si slanciò nelle ridotte nemiche facendo ivi dei prigionieri.
Ed ecco la carriera militare del figlio di Teresa e di Vittorio Fossati Reyneri che raggiunse ben il grado di generale.
Fossati cav. Gian Carlo:
figlio del fu Vittorio e della fu Maria Teresa Didier de la Motte (= della Motta), nato il 31 luglio
1776 a Torino.
19 marzo 1791, nominato cadetto nella Legione degli Accampamenti; 30 giugno 1792, cadetto nella
Legione degli Accampamenti promosso sottotenente soprannumerario (PeC22); 9 aprile 1793,
sottotenente soprannumerario nella Legione degli Accampamenti trasferito col grado di sottotenente
effettivo nel corpo dei Granatieri reali (PeC25); 10 giugno 1794, promosso tenente (PeC28); 25
giugno 1795, combatte valorosamente nei combattimenti tenutisi nella valle dell’Inferno ove entra
per primo in una ridotta francese.
Dopo la restaurazione: 15 gennaio 1815, promosso capitano nel rgt di Pinerolo; 24 novembre 1815,
tale nel rgt di Saluzzo; 30 agosto 1817, tale dei granatieri; 1818, promosso maggiore; 1823, tenente
colonnello nella Brigata Pinerolo; 2 ottobre 1827, tenente colonnello dei Cacciatori di Savoia
(RM30); 18 ottobre 1828, promosso colonnello della Brigata Acqui (RM30); 1833, promosso maggior
generale.
Ha fatto le campagne dal 1792 al 1796. Decorato dell'OMS il 1 agosto 1817 per i fatti della valle
dell'Inferno. Decorato dell'OMSSML il 3 novembre 18
I dal Carretto
In un secondo matrimonio Teresa sposò il conte Giuseppe Antonio del Carretto, rappresentante di altra
illustre famiglia. Da questo matrimonio nacque il cav. Vittorio Severino Bergamasco, di cui diamo il
ruolo militare.
Carretto, del, cav. Vittorio Severino Bergamasco:
figlio del fu conte Giuseppe Antonio e di Maria Teresa Didier, nato il 29 maggio 1790 a Torino.
26 luglio 1814, nominato sottotenente soprannumerario nel reggimento della regina (RM375); 17
ottobre 1814, tale effettivo; 4 dicembre 1818, tale dei granatieri; 2 luglio 1819, promosso tenente; 1
gennaio 1822; tale nella B. Piemonte (RM375); 16 febbraio 1823, tale dei granatieri; 19 gennaio
1825, promosso capitano di 2^ classe; 20 gennaio 1827, nominato capitano delle porte del castello di
Casale.
Ha fatto la campagna del 1815 contro la Francia.
Le chiese usate dai Didier in Piemonte, battesimi, matrimoni e morti
Emigrato in Piemonte alla Venaria, Bartolomeo era parrocchiano della chiesa della Natività di Maria Vergine, ma per
competenza, essendo impiegato a corte della Venaria dipenderà dalla Cappella di Sant'Uberto che era la
cappella del regio palazzo. Tuttavia gli atti più importanti vennero da lui compiuti nella parrocchia.
Chiesa parrocchiale del Carmine
K.Weise - Opera propria - Church of Our Lady of Carmine in Turin - attribuzione: CC BY-SA 3.0
K.Weise - Opera propria - L'interno della chiesa dall'ingresso -attribuzione: CC BY-SA 3.0
Chiesa parrocchiale del Carmine
Monte Carmelo
Battesimi
Antonio Maria Gabriele Giacchino figlio del cav Maurizio 1858
Francesco Antonio Bartolomeo Enrico figlio dell ill mo cav Vittorio Amedeo 1755
Carlo Saverio figlio del commendatore Vittorio Amedeo 1756
Anna Giovanna Maria figlia dell'Illmo commendatore Vittorio Amedeo 1758
Giuseppe Martino Carlo figlio del cav Vittorio Amedeo in casa 1759
Angelo Vittorio Bartolomeon Giuseppe Luigi figlio illm cav Giuseppe e Mestiatis 1794
della parrocchia Sant'Agostino in casa
Gabriele Maria Gaetano Giuseppe Vittorio figlio di Giuseppe e Mestiatis 1802
La Parrocchia di San Giovanni Battista
Eccekevin - Own work - Turin Cathedral - Duomo of Turin - attribuzione: CC BY-SA 4.0
Livioandronico2013 - Own work - The central nave. Behind the altar, the panel painting that replicates the original viewing on the Cappella della Sacra Sindone (Chapel of the Holy Shroud) with the Altar of Bertola -
attribuzione: CC BY-SA 3.0
San Giovanni
San Giovanni
Libro dei Battezzati della
Parrocchia di San Giovanni
Anno 1755 f. 131
Didie'
Francesco Antonio Bartolomeo Enrico figlio degli Ill.mi Sig.ri
Cavaliere Vittorio Amedeo e Rosalia Cavalleris g.li Didie' nato, e
battezzato il 6 7bre 1755 P.o li Ill.mi Sig.ri Conte Enrico Secondo
Birago, e Francesca Margherita Rovera.
Anno 1756 f.188
Didie'
Carlo Saverio figlio degli Ill.mi commendatore Vittorio Amedeo e
RosaliaCavalleris di Rivarossa g.li Didier nato li 12. e batt. li 23
Xbre 1756 pad.no Ill.mo sig. Abb.te Canonico e Prevosto della
metropolitana di Carlo Francesco Novarino di San Sebastiano.
Anno 1758 p. 21
Didie'
Anna Giovanna Maria figlia dell'Ill.mo Commendatore Vittorio e Rosalia
Cavalleris di Rivarossa giugati Didie' nata e battezzata li 7: 7bre
1758 P.P. Ill.mo Sig. Commendatore e Vassallo Giambattista Dell' ala
Drotty e Sig. Contessa Anna Margarita Cavalleris di Rivarossa.
Anno 1759 p. 62
Didie'
Giuseppe Martino Carlo figlio dell'Ill.mi Sig.ri: Cavagliere Vittorio
e Rosalia Cavaglieri di Rivarossa giug.ti Didie' nato li 11: ha avuto
1'acqua lustrale in casa con permissione di J:cl m.a: R m.o Mons.re
Arc.o Giambattista Ronero (o Rovero ), ha ricevuto li Sacramenti del
S.o Battesimo li 13: 9bre 1759: Sig.ori avocato Giuseppe
Damilano , e Domenica Didie'.
19 Maggio
Angelo Vittorio Bartolomeo Giuseppe Luiggi figlio dell 'Ill.mi Sig.
Cavaliere Giuseppe e Luisa Mestiatis g.li Didier Della Motta
Parrocchia di S. Agostino nato ed avuta l'acqua in casa per necessita'
dal Sig. Chirurgo Roagna li 19 Maggio 1704
Ill.mo Sig. Conte e Commendatore. Vittorio Amedeo Didier Della
Motta e la Sig .ra Angela Baronio.
decessi
Angela Gabriela Luigia figlia illmo cav Vittorio Amedeo 1755
Bartolomeo Francesco Antonio 1760 4 anni figlio dell illmo cav. Vittorio Amedeo
Santa Maria di Piazza
Georgius LXXXIX - Opera propria - Chiesa di Santa Maria di Piazza (Torino) -autorizzazione: CC BY-SA 3.0
Santa Maria di Piazza -interno -da Torinoxl.com- Link: https://www.torinoxl.com/chiesa-santa-maria-piazza/
Santa Maria di Piazza
Santa Maria di piazza
Battezzati
Carola Emilia Rosalia Aloysia figlia conte Carlo e Aloysia Plaisant 1795
Aloysio Giuseppe Saverio figlio DD Carlo e Aloisia Plaisant 1793
Vittorio Amedeo Ludovico Francesco figlio DD commedatore Carlo Francesco Saverio 1791
Giuseppe Maria Barnaba Bartolomeo Carlo figlio illmi DD cav e comm Carlo Francesco Saverio 1790
Carlo Giuseppe Maria Lorenzo figlio Illmi D conte Carlo e Aloysia Plaisant 1796
Giuseppa Giovanna Carola Liberata figlia del cittadino Carlo 1799
Matrimoni
Illmo cav. Carlo Saverio e Da Maria Anna Giuseppa Domenica Aloysia Plaisant 1788
Decessi
Vittorio Amedeo 1808
Rosalia Agnese Bartolomea Cavallris di Rivarossa 1813
Santi Stefano e Gregorio
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Santi Martiri un tempo Santi Stefano e Gregorio
SS Stefano e Gregorio
decessi
Claudio Pancrazio di 17 anni figlio Illmo commendatore Bartolomeo 1754
Battesimi
Maria Teresa Caterina figlia Illmo Sig Vittorio Amedeo 1753
cappella Santa Sindone
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Cappella della Sindone - interno -
Cappella della Sacra Sindone - Musei reali Torino
https://museireali.beniculturali.it
Cappella Santa Sindone
SS Sindone
Battezzati
Felice Camillo Ludovico figlio sig cav e commendatore Vittorio Amedeo 1762
Pietro Agostino Giacinto Maria figlio illmo commendatore Vittorio Amedeo 1765
Vittorio Gaetano Giuseppe Bartolomeo figlio ilmm commendatore Vittorio Amedeo 1768
Giacinto Luigi Maria figlio illmo commendatore Vittorio Amedeo 1773
morti
Giuseppe anni 3 figlio dellilmo cava commendatore Vittorio Amedeo 1763
sepolto reale cappella
Illma sig Domenica Catarina Didier sepolta chiesa parroccia regia traslata Dora 1784
San Filippo Neri
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Carlo Dell'Orto - Opera propria -Interno della Chiesa San Filippo Neri a Torino su progetto di Filippo Juvarra (1730) - attribuzione: CC BY-SA 4.0
San Filippo Neri
Battesimi
Agela Lucia Gabriela figlia ilmm Sig Vittorio Amedeo 1754 padr Lorenzo Gabriele Mestiatis
Matrimoni
illmo Sig. Vittorio Amedeo figlio dell ilmo cav e commendatore Bartolomeo della Venaria
abitante parr SS Stefano e Gregorio e sig madamigella Rosalia Bartolomea Cavalleri
Il culto della Sindone
Il culto della Sindone
I Didier come ogni torinese cattolico erano molto attaccati al culto della Sindone.
Un culto che continua a fiorire anche in questi tempi e che per fortuna non tende a diminuire, così
possiamo dire che ancora oggi la Sindone gode di buona salute.
Questa una cronologia
delle ostensioni a partire dal 1734
1737 – Ostensione disposta da Carlo Emanuele III
1750- Per le nozze di Vittorio Amedeo III con Clotilde di Francia
1798 – Ostensione nel reale appartamento di Carlo Emanuele IV (prima della sua abdicazione)
1799 – Ostensione effettuata da Monsignore Buronzo di Signa, incaricato della custodia della Sacra Sindone
1804 – La Sacra Sindone viene mostrata a Pio VII, di passaggio a Torino per l’incoronazione di Napoleone I
1814 – Per il ritorno di Vittorio Emanuele I nei suoi Stati
1815 – Per il ritorno di Pio VII dalla prigionia a Fontainbleau
1822 – Per l’ascesa al trono di Carlo Felice
1842 – Per le nozze di Vittorio Emanuel I con Maria Adelaide
1868- Per le nozze di Umberto I con la principessa Margherita
1898 – In occasione di parecchi centenari e dell’Esposizione di Arte Sacra
1931 – Per le nozze di Umberto II con Maria Josè del Belgio
1933 – Per l’Anno Santo
La Sindone, sue origini.
La Sindone è stata datata con il C14 intorno al 1350. Il merito di questa indagine scientifica va senza dubbio alla Chiesa Cattolica di Roma
e all'allora pontefice Giovanni Paolo II. Partendo da questo dato di fatto,
e pensando con nostra opinione personale non scientifica, le contestazioni a questa datazione non attendibili.
Facciamo notare, solo dotati di ignoranza, una analisi di quale modello si è avvalso l'artista che ha firmato
il falso. Ad una prima vista ci colpisce la posizione delle mani, quella destra sopra la sinistra.
E' una posizione tipica di alcuni monumenti sepolcrali risalenti proprio agli anni intorno al 1350 e a seguire,
cioè l'epoca a cui presumibilmente la Sindone è stata creata, ed è comparsa. Notiamo una forte affinità di questa
posizione con alcune sepolture. Pensiamo l'artista che l'ha creata avrebbe dovuto fare necessariamente
riferimento al modo di sepoltura della sua epoca, e in effetti la Sindone ci pare la sepoltura di
un potentato della metà del secolo XIV. Questo particolare modo di tenere le mani lo abbiamo
riscontrato in prevalenza in alcune aree geografiche quali la Spagna e l'Italia.
La Sindone naturalmente è una reliquia, ma dal punto di vista della reliquia possiamo interrogarci
sul fatto che i sostenitori della così detta miracolosità della sua creazione, cioè non fatta da mano umana,
come spiegherebbero, stando la datazione al C14, che questo "miracolo" sia accaduto intorno al 1350? Cioè, che senso
avrebbe un intervento divino per fare apparire su un lenzuolo del 1350 un corpo di un crocefisso
secondo il rituale riportato dai Vangeli?
Che il lenzuolo appena comparso a Liry fosse un falso, ne esiste sufficiente prova e documentazione
con tanto di intervento papale che appunto non ne toglie la sigla di contraffazione. E le parole del Vescovo D'Arcy,
che ne vedeva la verità di questa contraffazione ancora oggi sembrano attendere giustizia.
Mai uomo di chiesa ebbe a patire tante calunnie ed ebbe tanti detrattori per aver riportato quella
che pensava essere la verità sul manufatto.
D'altra parte se c'è un manufatto, ci sarà anche un committente, che in questo caso dovrebbe essere
abbastanza ricco da permettersi di pagare l'artista a cui ha commissionato l'opera.
Riportiamo quanto su Wikipedia.org alla voce Sindone:
"
la prima notizia riferita con certezza alla Sindone che oggi si trova a Torino risale al 1353: il 20 giugno il cavaliere Goffredo (Geoffroy) di Charny, che fece costruire una chiesa nella cittadina di Lirey dove risiede, dona alla collegiata della stessa chiesa un lenzuolo che dichiara essere la Sindone che avvolse il corpo di Gesù.
Egli non spiega però come ne sia venuto in possesso.
Il possesso della Sindone da parte di Goffredo è comprovato anche da un medaglione votivo ripescato nel 1855 nella Senna, conservato al Museo Cluny di Parigi: su di esso sono raffigurati la Sindone (nella tradizionale posizione orizzontale con l'immagine frontale a sinistra), le armi degli Charny e quelle dei Vergy, il casato di sua moglie Giovanna. "
Quindi si può supporre che il commitente fosse il cavaliere Goffredo di Cherny, ricco abbastanza da commissionare l'opera
e da erigere una chiesa per conservarla.
Ma la Sindone oggi? Dopo essere passata ai Savoia, portata a Chambery, ed essere stata trasferita a Torino nella cappella a lei
dedicata. La reliquia era diventata un baluardo della dinastia che la proteggeva e conservava esponendola ogni tanto.
Con l'avvento della repubblica Italiana il Papa è il proprietario della Sindone, avendola ricevuta in dono da Umberto II Savoia,
il quale erroneamente pensava gli appartenesse. La Sindone è una reliquia e il suo vero miracolo
è di unire credenti e non credenti nello stupore per la fede che oltrepassa questa vita. Non si può
considerare la Sindone solo un vecchio lenzuolo macchiato o una contraffazione. Certo beato chi ha fede e crede
senza toccare, ma siccome c'è un poco di San Tommaso in tutti noi, la reliquia ci ricorda che Gesù
non è più nella sua tomba ma è sempre ogni attimo con noi, anche nello sconforto e nell'estremo tormento,
e sempre leverà la sua voce per dirci "Non temete".
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i Didier: una nobiltà recente ma consolidata
Nessuno alla fine del XVIII secolo dubita che i Didier siano nobili, con i figli che servono nell'esercito come sottufficiali.
Sono passate tre generazioni dai tempi di Bartolomeo, la nobiltà della commenda è diventata trasmissibile.
Si tratta di una nobiltà cavalleresca, anacronistica nel secolo XVIII ma pur sempre una nobiltà. Un tempo i cavalieri combattevano e compivano imprese,
erano veri jihadisti giurati quando partecipavano alle crociate.
Nel Settecento si accontentano di comparire nelle cerimonie e di portare uno spadino.
Tuttavia questa nobiltà permette a Carlo Francesco Saverio e a Vittorio Gaetano Giuseppe, i due figli di Vittorio Amedeo che avranno discendenza,
di militare nell'esercito con dei gradi di sottufficiale. La nobiltà del tempo si stringeva in reparti dove si trovavano molti nobili,
e solo questi aveva l'accesso alle cariche militari.
La famiglia Didier che con Vittorio Amedeo si era distinta nelle lettere e nella legislatura della Riforma, nonché nell'Università,
e nell'avvocatura, con i figli di questo muterà e si risolverà a cercare il lustro, senza per altro riuscirvi, nella carriera militare.
Così, la nobiltà illustrata da Vittorio Amedeo grazie
all'ingegno e al sapere, si mantiene tentando improbabili carriere militari e con una vita da gentiluomo poco sostenibile, quando finiranno le fortune.
L'Accademia reale di Torino
L’Accademia e gli Archivi di Corte in uno scatto degli anni quaranta del Novecento (da Palmas, 1989)
L'Accademia reale di Torino
Quale istruzione hanno avuto i figli di Vittorio Amedeo? Non sappiamo con certezza. E' probabile che i figli di
Vittorio Amedeo dopo un collegio dei Gesuiti, frequentarono l'Accademia reale, dove confluivano
i nobili. Era questo una Accademia cavalleresca, una specie di Harward o Oxford dell'epoca
frequentata dai rampolli delle famiglie nobili e aristocratiche.
L'Accademia reale
Dove si formavano i giovani gentiluomini alla vita di corte? Ma all'Accademia reale.
In questa scuola si istruivano nelle lettere, nella storia, si imparava l'italiano e il francese,
e materie prerogativa dei nobili rampolli quali il ballo, la scherma, gli esercizi equestri
(per cui gli studenti disponevano dell'edificio della cavallerizza).
Si andava spesso ad assistere alle lezioni dell'Università di Torino.
Le materie militari erano trattate ampiamente, un posto d'onore era riservato all'architettura ed all'arte delle fortificazioni.
Non si trattava propriamente di un'accademia militare, anche se quella militare era una possibilità
Il re Vittorio Amedeo II diede un primo riassetto all'istituto nel 1729:
furono ammessi anche gli studenti universitari e conseguentemente i corsi furono organizzati in tre distinti "appartamenti",
secondo l'indirizzo degli allievi.
Una riforma nel 1756 la soppresse. I giovani che sceglievano la carriera militare ebbero un corso di studio appositamente dedicato,
i teologi e gli alti funzionari ebbero un'istruzione legata alla loro formazione. La reale Accademia di Savoia fu soppressa nel 1798 dai Francesi che avevano occupato lo Stato sabaudo.
Per approfondire vedi:
In questa Accademia i figli di Vittorio Amedeo poterono conoscere i rampolli dei nobili di antica data,
quelli che poi conteranno nei comandi e onori militari o nelle cariche civili più importanti.
Coloro che sceglievano l'esercito, preferivano la Cavalleria. Qui si trattava di un forte snobbismo
verso le artiglierie e i suoi ufficiali, poiché solo la cavalleria era considerata
il big della nobiltà. I figli di Vittorio Amedeo ne uscirono come sottufficiali
di fanteria, ma troveranno inserimento in corpi o reggimenti prestigiosi, anche se le loro carriere militari
per vari motivi si interruppero presto.
Ecco una breve storia dell'Accademia.
Intorno al 1730 si ebbe una prima suddivisione il discipline e classi di studenti,
sistemati nei cosiddetti tre appartamenti: nel primo venivano accolti quelli
che erano destinati a un’educazione militare e cavalleresca insieme,
nel secondo quelli tra gli studenti che si preparavano in materie propedeutiche alla frequenza dei corsi universitari,
dove ci si recava periodicamente presso il vicino ateneo, nel terzo erano ospitati gli allievi più giovani,
da addestrare nei rudimenti delle basse scuole. Un programma di studi più articolato e dettagliato
per i corsi del secondo e del terzo appartamento fu stabilito nel 1759, tenendo a mente il modello
dell’Accademia austriaca di Wiener-Neustadt.
Gli ospiti del secondo appartamento, dal 1769 poterono uscire dall’edificio dell’Accademia per seguire lezioni nell'università,
e anche quelle svolte nelle reali Scuole teorico-pratiche d’artiglieria e del genio.
Nel 1778 fu abolito il terzo appartamento. A fine secolo l'Accademia era diventata una scuola
per sola formazione superiore. Con Napoleone l'Accademia reale venne trasformata in liceo
e il suo profilo cavalleresco e cosmopolitico venne cancellato
Per approfondire vedi:
Formare alle professioni. La cultura militare tra passato e ...
Monica Ferrari, Filippo Ledda
L'Accademia reale di Torino
Dal 1730 al 1794, l’accademia vide passare quasi 1700 persone, i gentiluomini erano frequentemente accompagnati da governatori.
Oltre un quarto degli iscritti confluì nel primo appartamento, il più esclusivo in quanto riservato alle carriere militari
e diplomatiche, dove si riversavano i rampolli di molte illustri famiglie straniere.
Un rapporto non esplicitato dai piani di studio e di addestramento che si svolgevano all’interno dell’edificio
era legato poi alle pratiche della caccia, arte nobile per eccellenza. La caccia godeva di una tacita
istituzionalizzato per quanti dall’Accademia avevano, a diverso titolo, accesso alle stanze e ai rituali della corte.
Il cavallerizzo e i palafrenieri, che erano parte integrante del personale del maneggio, dovevano prestavano
la propria opera all’allestimento degli equipaggi.
Credits:
Formare alle professioni. La cultura militare tra passato e ...
https://books.google.it
Monica Ferrari, Filippo Ledda
L'Accademia reale di Torino
I gentiluomini inglesi nei loro tour settecenteschi apprezzarono quel misto di politica e di diplomazia
che era l’Accademia reale, anche per via dei contatti con la vita di corte a cui questa era aperta.
I cerimoniali potevano sembrare troppo gravosi ai rampolli.
L’esquire Richard Garmston, siamo nel 1787, era poco entusiasta della caccia ad animali di grossa taglia
del quale era stato spettatore alla reggia di Venaria; la caccia alla volpe in stile d’oltre Manica restava la sua passione.
Le gazzette inglesi dedicano alle residenze sabaude, fra cui Venaria, attenzione, non solo per avvenimenti pubblici,
ma anche alle campagne di caccia.
A premiarono il successo internazionale dell’Accademia reale di Torino furono proprio i turisti Inglesi,
questo almeno fino alla caduta dell'antico regime. In Inghilterra d'altra parte veniovano acquistati cani e cavalli
per la caccia e questo contribuì a creare per questi «accademisti» una certa familiarità,
L'Accademia tuttavia per i suoi elevati costi restava prerogativa esclusiva della nobiltà e essere suoi studenti apriva una
via maestra per l'introduzuine nella società. La conoscenza della caccia, dei suoi metodi, dei ranghi dei suoi partecipanti e dei
differenti modi di conduzione erano insieme al manneggio dei cavalli una prerogativa alla quale i rampolli non potevano
sfuggire. Quando saranno inseriti nella vita sociale sarà loro premura sfoderare quelle conoscenze nelle materie che avevano appreso
nelle stanze dell'Accademia. Così avrebbero potuto trascorrere giornate intere nelle attività considerate cavalleresche, insieme
ai loro amici della società bene.
Per approfondire vedi:
Formare alle professioni. La cultura militare tra passato e ...
https://books.google.it
Monica Ferrari, Filippo Ledda
Ed ecco i ricordi di uno dei frequentatori dell'Accademia reale, l'Alfieri di sostegno, da prendersi
con le molle come tutti i diari, ma pur sempre una testimonianza di un pezzo di vita di allora.
Vi feci dunque il mio ingresso il dì 8 maggio 1763. In quell’estate mi ci trovai quasi che solo;
ma nell’autunno si andò riempiendo di forestieri d’ogni paese quasi,
fuorché Francesi; ed il numero che dominava era degli Inglesi. Una ottima tavola
signorilmente servita; molta dissipazione; pochissimo studio, il molto dormire, il
cavalcare ogni giorno, e l’andar sempre più facendo a mio modo mi avevano prestamente
restituita e duplicata la salute, il brio e l’ardire
Intanto, essendomi stretto d’amicizia con parecchi giovanotti della città che stavano
sotto l’aio, ci vedevamo ogni giorno, e si facevano delle gran cavalcate su certi cavallucci d’affitto,
cose pazze da fiaccarcisi il collo migliaia di volte non che una; come
quella … di correre pe’ boschi che stanno tra il Po e la Dora, dietro a quel mio cameriere,
tutti noi come cacciatori, ed egli sul suo ronzino faceva da cervo; oppure si
sbrigliava il di lui cavallo scosso, e si inseguiva con grand’urli, e scoppietti di fruste, e
corni artefatti con la bocca, saltando fossi smisurati, rotolandovi spesso in bel mezzo,
guadando spessissimo la Dora, e principalmente nel luogo dove ella mette nel Po …
Ma questi stessi strapazzi mi rinforzavano notabilmente il corpo, e m’innalzavano
molto la mente; e mi andavano preparando l’animo al meritare e sopportare, e forse a
ben valermi col tempo dell’acquistata mia libertà sì fisica che morale.
Non c'è nobiltà se non sai praticare la caccia
La caccia era praticata dall'aristocrazia, ma principalmente dai nobili, che nei loro feudi, almeno i nobili che avevano un feudo,
avevano anche il diritto di caccia e pesca. Ecco cosa pensava un nobile di allora il Denina, ben conosciuto da Vittorio Amedeo Didier.
Denina:
"Sarebbe troppo irragionevol partito il proporre che i nobili in mancanza di guerra
avessero ad occuparsi di caccia: perciocché, quantunque secondo le massime
dell’antica nobiltà fossero le caccie passatempo signorile, per far di questo esercizio
un’occupazione ordinaria di molta gente bisognerebbe che le campagne in vece di
lavoratori si popolassero di bestie e che di nuovo i fertili campi e i ridenti prati si
convertissero in folte selve e foreste. Per le caccie de’ Principi, oltre il primo e diretto fine,
che è di proccurare un necessario sollievo ed un utile esercizio a persone
dalla cui vita e sanità dipende la felicità di intieri popoli, si può anche in certi paesi
aver altri vantaggi, come quello di proccurare nelle vicinanze delle grandi città la
coltura de’ boschi. Ma se ogni signor di feudo s’invogliasse di cacciare per simil
modo nelle sue terre, non si avrebbero ad aspettar secoli per veder disertare le più
ricche pianure. Deesi dunque cercare in qual altra guisa possano le persone nobili
impiegarsi utilmente. "
Le cacce reali a Stupinigi
La Sala degli Scudieri a Stupinigi, la sala appena prima del Salone Centrale, fu affrescata da Vittorio Amedeo Cignaroli
nel 1777 con scene di caccia dei Savoia.
Una scena mostra i Savoia che partono per la caccia dalla Palazzina di Stupinigi.
Il re Vittorio Amedeo III di Sardegna è raffigurato a cavallo di un cavallo scuro, mentre il suo figlio maggiore,
il futuro re Carlo IV, è a cavallo di un cavallo bianco.
In un'altra scena si vede il re Vittorio Amedeo III di Sardegna che indica il cervo al futuro Carlo IV il cui cavallo bianco
si sta impennando. Si notano anche le carrozze leggere dei partecipanti, a due ruote, con uno o due posti, ma eleganti e decorate. In
città era più pratico noleggiare una portantina per spostarsi, era semplice trovarne ad ogni angolo di strada trafficata. Non
mancavano i risciò trainati da un uomo. Ma per la caccia, evento sociale sopratutto se quella reale ci si doveva adattare alle
regole sociali di allora. La caccia reale era un grande apparato corale e scenografico.
Un'altra scena mostra gli "hallali" dove il cervo viene attaccato dai cani nel fiume. Sullo sfondo si vede il Castello di Moncalieri.
Al centro di questa scena si vede indicare il re Vittorio Amedeo III di Sardegna. Il futuro Carlo IV è sul cavallo bianco.
La scena finale mostra la "curée chaude" quando parte della carne del cervo viene data ai cani.
La nobiltà così detta di sangue
Django Unchained-Quentin Tarantino 2012-Leonardo Di Caprio in Calvin demonstrates the difference between men
Le famiglie nobili di antiche origine, magari risalente alle crociate, si consideravano "nobili di sangue", cioè erano convinti che la nobiltà
si trasmettesse per loro con il sangue, uno discendendo dall'altro, era ereditaria. Questa tesi
per chi ci credeva era motivo di orgoglio. Oggi sappiamo che il sangue di tutte le persone e dei popoli
del mondo è lo stesso e per fortuna non esiste sangue blu, cioè con il sangue la nobiltà non ha niente a che vedere.
La nobiltà detta "di sangue" vedeva malissimo i nobili
la cui nobiltà derivava da un annobigliamento
del principe o sovrano, per servizio, per spada, o dall'aver acquistato terre nobili, feudi,
ed essere poi stati annobigliati dal sovrano
stesso, o infine coloro la cui nobiltà era stata donata dal principe per "servizio nelle magistrature.".
Questi non erano antichi nobili di sangue. Per esempio i Didier non potevano vantare una simile nobiltà.
Ma anche a veder male la faccenda erano i rappresentanti del terzo stato, sempre attenti a che il principe
non concedesse la nobiltà troppo facilmente perché pressato dalle richieste dei postulanti.
Ecco come tecnicamente viene presentata una classificazione della nobiltà in Piemonte,
riportiamo la scaletta di una conferenza tenutasi sull'argomento.
introduzione al tema di Enrico Genta e Gustavo Mola di Nomaglio
Gli oratori esordiscono sottolineando la difficoltà di trattare il tema “nobiltà di sangue”
che comporta il rischio di ripetere cose già dette nei precedenti incontri.
Vengono letti alcuni passi dello Chernel che stabilisce tre diversi tipi di nobiltà:
– ereditaria (accordata dai re ad antenati famosi) detti anche “gentiluomini di nome e d’arme”.
Questo tipo di nobiltà era ricordato anche in Piemonte nel ‘500 anche se si potevano vantare
poche vere nobiltà di ereditarie, cioè di sangue;
– di spada;
– di robe.
Il Crollalanza si rifà molto alla Francia distinguendo nella nobiltà di sangue due categorie :
– di razza (= di sangue vera e propria), di cui si perde nei tempi l’origine o che risale alle Crociate;
– di nobilitazione.
Il Du Cange ricorda che ci sono varie forme di gentiluomo ed in particolare cita:
– i nobili di razza
– i nobili per gli uffici ricoperti.
La definizione di “gentiluomo” è stata data dai giuristi, figure di studiosi che pur risentendo
del momento storico in cui operano e di indubbi interessi di parte,
restano pur sempre non influenzati dal potere del principe, restano “arbitri”.
Nel prosieguo del tempo le definizioni di gentiluomo subiscono un diverso trattamento,
tanto da mettere in crisi la vecchia concezione di nobiltà concepita nel diritto comune,
dove è appunto la citata figura di giurista “arbitro” che definisce che cosa sia nobiltà.
Con l’affermarsi del sovrano assoluto, e quindi con la diminuzione di autonomia sia della nobiltà,
sia dei giuristi, cambia dunque il sistema di definizione; il sovrano assoluto non poteva infatti accettare
la libertà che il sistema feudale lasciava ai nobili. I giuristi non sono più dei “liberi professionisti”,
non sono più degli arbitri imparziali, ma diventano dei funzionari dello Stato assoluto.
Al principe assoluto non interessa la nobiltà in sé, gli interessa che il nobile faccia atto di sottomissione
e che provi nuovamente, secondo le nuove regole, la sua nobiltà. Può così affermare il principio che la nobiltà
deriva dal proprio potere, cosa che porta inevitabilmente al versamento di quattrini.
E’ dunque il sovrano che stabilisce chi sia nobile, cosicché la nobiltà di sangue perde rilievo
perché più che la tradizione vale ormai la volontà del principe; l’antico concetto giuridico perde
importanza essendo cambiata la situazione storica con l’affermarsi delle monarchie assolute
che finiscono per abolire il ruolo dei grandi giuristi liberi affermando invece i grandi magistrati di stato.
In realtà il concetto di nobiltà di sangue rimane, ma è molto sfumato.
Nel 1738, per fissare una data, in Piemonte si verifica qualche dubbio tra i giuristi chiamati a stabilire
la materia nobiliare, perché non esisteva una norma certa a cui rifarsi.
Vengono quindi definiti i noti parametri .
– avere padre ed avo nobili
– condurre vita da nobili
– avere reputazione di nobili
– ricoprire cariche riservate alla nobiltà o che di per sé nobilitino
– avere alleanze familiari illustri
– essere nobili da almeno 3 generazioni.
Tutti questi parametri debbono coesistere contemporaneamente, nessuno escluso.
In realtà, data la difficoltà di determinare in modo oggettivo ed inequivocabile la presenza o meno
di alcuni di questi parametri, restava pur sempre ai giuristi un ampio margine discrezionale,
certamente in parte voluto.
Anche in Francia la nobiltà viene “catalogata” con esattezza; è tuttavia da ricordare come la nobiltà
transalpina fosse molto più forte che in altri stati, tanto da poter condizionare anche il re.
Ecco dunque la responsabilità della nobiltà codina ed ottusa che non seppe cogliere l’esasperazione
che portò alla rivoluzione francese.
All’ epoca di Carlo Alberto in Piemonte si pensò di costituire una Camera di Nobili, il Senato.
In realtà esso non mantenne queste caratteristiche anche perché Carlo Alberto nominava i senatori
non solo tra i membri dell’aristocrazia. Del resto gli stessi nobili piemontesi ritennero
che l’aristocrazia piemontese non fosse sufficientemente forte e ricca da avere una Camera a sé riservata.
Si affronta poi il tema della regolamentazione delle cariche che comportano nobiltà;
in particolare ci si sofferma sui procuratori (le cui piazze, a numero chiuso, erano acquisibili a pagamento),
che godono di una attenta regolamentazione, e sugli avvocati, molto meno normati.
Queste figure suscitano un’ampia discussione tra tutti i presenti,
con confronti tra i vari regimi francesi ed inglesi, che conclude la serata.